Probabilmente lo sviluppo più ricco di conseguenze dei cinquecento anni del "medioevo ellenico" si ebbe durante l'VIII secolo a.C., quando le regioni greche si aprirono nuovamente alle influenze del Vicino Oriente. Tale apertura c'era stata anche in epoca micenea; e in alcune zone, che erano rimaste immuni da distruzioni nel crollo della civiltà micenea, i rapporti commerciali e culturali con il Vicino Oriente non si erano mai interrotti durante il successivo "medioevo". Tali legami erano stati tuttavia mantenuti unicamente in alcune regioni ed in misura limitata, e solamente nell'VIII secolo essi vengono ripresi con notevole intensità.
Tra i vari centri attraverso i quali si attuavano queste comunicazioni c'erano Cipro e Creta che, come l'Eubea e Atene erano sfuggite alla disgregazione post-micenea. Ma di particolare importanza come punti di contatto erano Al Mina ed altri mercati portuali (emporia) che gli Eubei, per primi, avevano stabilito sulla costa della Siria settentrionale.
Tra le opere artistiche che testimoniano i primi contatti con l'Oriente abbiamo una statuetta in avorio proveniente dalla necropoli del Ceramico.
129. Statuetta d'avorio del Ceramico; 720 a.C.; m. 0,24; Atene, Museo Nazionale. La piccola scultura è stata rinvenuta con altre quattro immagini d'avorio dello stesso tipo in un'area sepolcrale del Ceramico: e l'associazione con frammenti di ceramica del geometrico tardo impongono una datazione attorno al 720 a.C. Il confronto con prototipi orientali, come le dee nude di Nimrud, mostra con assoluta chiarezza come gli artisti greci potessero raccogliere motivi da qualsiasi quadrante dell'orizzonte, per trasformarli e vivificarli con la loro capacità creativa. Infatti mentre la nudità, simbolo di fertilità, rappresenta un influsso orientale (i Greci non raffigureranno mai le divinità nude), il copricapo della statua è tipicamente greco.
Tuttavia, nel campo dell'arte, il risultato più rilevante della nuova apertura verso l'Oriente, fu la decorazione "orientalizzante", che inizia nell'VIII ma che caratterizzerà tutto il VII secolo, dei vasi, su cui vennero decisamente abbandonate le astratte figurazioni geometriche a favore di motivi floreali tipici dell'Oriente, come il loto, le rosette e le palmette e di animali e mostri orientali come le sfingi, le pantere e i leoni.
La ceramica di questo periodo ci presenta una situazione assai varia: numerosi erano i centri importanti e ciascuno aveva un suo stile particolare e si valeva dei propri procedimenti tecnici; tuttavia è possibile raggrupparli in due grandi categorie: l'una costituita dai centri della Grecia continentale e l'altra dall'Oriente greco.
Non solo, inizialmente, in alcuni vasi troviamo la convivenza dei due stili, quello geometrico e quello orientalizzante (80. Olpe con lepri e 66).
66. Oinochoe tardo-geometrica; 750-740 a.C.; Atene, Museo dell'Agorà. In questo vaso possiamo notare come lo stile geometrico abbia perso spazio e ruolo in favore di elementi figurativi: tra le anse vi è infatti un pannello con la figura di un cervo di chiara ascendenza orientale. L'opera testimonia, più di ogni altra, in maniera palese la convivenza tra l'eredità geometrica e il nuovo apporto orientale.
Nella Grecia propriamente detta i centri artistici più importanti nel periodo orientalizzante furono Corinto e l'Attica.
A Corinto, come in Attica, la produzione vascolare incomincia nel periodo geometrico, per cui i primi esemplari recano decorazioni geometriche (9. Cratere corinzio). Corinto dalla fine dell'VIII ai primi anni del VI secolo, era, da un punto di vista politico e commerciale, la più potente polis greca, e la sua influenza si faceva sentire in Oriente ed in Occidente. Essa era divenuta uno dei principali avamposti dei mercati fenici; vasellame corinzio si è rinvenuto in grandi quantità non soltanto in Grecia, ma anche in Italia ed in Oriente, Egitto compreso.
Sono le fabbriche di Corinto ad assorbire e adattare con maggiore fortuna il repertorio decorativo orientalizzante; nasce così la ceramica protocorinzia (725 a.C. ca.) con un paio di decenni di anticipo rispetto alla ceramica protoattica.
Nel Protocorinzio Antico (725-700 a.C. ca.) la forma più comune è l'aryballos di forma globulare (17. Aryballos protocorinzio). Accanto a prodotti che perpetuano una decorazione lineare di tipo tardo-geometrico e che perdureranno in forme talora ibride e via via più correnti per buona parte del VII secolo a.C., si assiste alla nascita di uno stile nuovo, definito 'orientalizzante', perché ricco di motivi ornamentali e figurati di origine prettamente orientale. La decorazione, spesso in stile miniaturista, si svolge in fasce ripetute intorno al vaso, le figure sono prevalentemente animali, reali o fantastici, che si inseguono o sono disposti uno di fronte all'altro in posizione araldica, intervallati da motivi fitomorfi di riempimento. Un tipico esempio è un' Olpe protocorinzia dal Louvre (91). Negli aryballoi, in particolare, si afferma il primo vero stile figurato della lunga tradizione ceramografica corinzia, caratterizzato non solo da animali e riempitivi a treccia (rosetta e altri elementi fitomorfi) ma anche da scene narrative (84. Aryballos di Zeus e Centauro, Boston Museum of fine arts; 85. Aryballos protocorinzio con sfingi); le tecniche disegnative adoperate sono la silhouette e la linea di contorno, ma verso la fine del Protocorinzio Antico si sperimenta per la prima volta l'uso dell'incisione sulla silhouette nera per i dettagli interni: il tentativo dà esiti piuttosto felici e costituisce la base per l'affermazione del vero e proprio stile a figure nere all'inizio del Protocorinzio Medio (700-650 a.C.) verso il 670 a.C. Nel corso di questo secondo periodo i fregi animalistici si fanno più complessi, con gli animali (reali o fantastici) disposti in file (86. Aryballos di Boston con Bellerofonte e la chimera, particolare; 87. Aryballos con chimera); la tecnica a figure nere si perfeziona, ma continua ad essere usata la linea di contorno per teste femminili e dettagli minori; lo stile figurato raggiunge livelli elevatissimi, nella purezza dei contorni e nell'eleganza (86, 87); nello stesso tempo un nucleo di aryballoi piriformi di dimensioni assai ridotte, viene decorato da molteplici fasce figurate sovrapposte, esempio di notevole virtuosismo miniaturistico; tra i motivi di riempimento compare la rosetta a punti che sarà frequentissima nel Protocorinzio Tardo e nello stile transizionale. Nel Protocorinzio Tardo (fino al 630 a.C. ca.) si affermano nuove tecniche già sperimentate in precedenza: alcuni artigiani, ad esempio, usano con ampiezza il rosso e stendono il giallo e il bruno dei dettagli direttamente sull'argilla, in uno stile policromo, i cui capolavori più noti sono l'aryballos MacMillan (88) e l'olpe Chigi, particolare (90). Si diffonde l'olpe. Dopo l'Olpe Chigi si verifica quello che Humfry Payne ha definito "periodo di transizione" (640-615 a.C. circa) al quale segue il passaggio allo stile corinzio (615-550 a.C.) con il ritorno alla prevalenza del fregio continuo di animali a figure nere. Le forme dei vasi restano sostanzialmente immutate rispetto al periodo precedente e sono frequenti l'aryballos e l'olpe; si registra però un aumento delle dimensioni dei vasi e quindi le figure di animali si fanno più grandi (92. Olpe del pittore del Vaticano 73). L’olpe è decorata a fregi sovrapposti con animali reali e fantastici: teorie di pantere, tori, cervidi, aironi, sfingi, con rosette a cerchio di punti sul fondo color avorio. Si tratta di un vaso prodotto a Corinto intorno al 630-615 a.C., nella fase definita “Transizionale”, da un ceramografo denominato, proprio sulla base di questo esemplare, “Pittore del Vaticano 73”. Tutta la produzione del Pittore che rientra nei canoni dello stile orientalizzante, è caratterizzata da un’esecuzione accurata che dà luogo a rappresentazioni chiare, nitide ed eleganti.
Per quanto riguarda l'Attica la fase orientalizzante più antica viene definita protoattica e suddivisa in tre fasi: Protoattico Antico, Medio e Tardo. Una oinochoe rinvenuta ad Egina (730 a.C.) ma di fabbricazione attica rappresenta il punto di transizione tra il periodo geometrico e il VII secolo, in quanto vi compaiono gli ornamenti tipici di entrambi i periodi. Nel Protoattico Antico (710-680 a.C. ca.) vengono fabbricati vasi di grandi dimensioni, spesso di uso funerario, dove i soggetti preferiti sono solenni sfilate di carri e di guerrieri, ma anche vivaci scene a carattere animalistico. Il distacco dalla ceramografia corinzia, che già verso il 690 a.C., elabora uno stile narrativo a figure nere ben definito e generalmente miniaturistico, rimane notevole nei primi due periodi protoattici. Nel Protoattico Medio (680-650 a.C. ca.) continuano ad imporsi vasi di grandi dimensioni, che saranno raramente esportati, con figure talora colossali, come quelle dell'anfora di Eleusi del Pittore di Polifemo (670-650 a.C.) recante sul collo la scena dell'accecamento di Polifemo e sul corpo Perseo e le gorgoni. (132. Anfora di Polifemo da Eleusi). Il disegno è caratterizzato da un'alternanza di colore nero e bianco e quindi di tecnica a silhouette e a linea di contorno; le scene sono grandiose, esuberanti e vivaci con una crescente presenza di soggetti eroici (Eracle e Nesso, Odisseo e Polifemo, Achille e Peleo) e con motivi ornamentali curvilinei.
130. Anfora di Herakles e Nesso; 670 a.C.; m. 0,40; New York, Metropolitan Museum. Si tratta di un'anfora di grandi dimensioni dipinta su un lato solo. Gli elementi curvilinei come la treccia dimostrano una chiara ascendenza orientale. Più importanti sono però i motivi figurati. Sul collo sono dipinte le raffigurazioni di un leone e di un cervo maculato; sulla spalla del vaso sono cavalli al pascolo e nella parte centrale abbiamo un carro trainato da cavallo e un uomo di grandi dimensioni (Eracle) che tiene in mano una spada puntata contro un centauro (Nesso), mentre una figura femminile che potrebbe identificarsi con Deianira attende gli eventi su di un carro. La decorazione è eseguita con vernice nero-bruna e con un generoso uso di ritocchi in bianco e con sporadiche incisioni. Le figure sono in parte disegnate a contorno, in parte a silhouette, col tronco indicato di profilo o di fronte e gli arti arrotondati.
Nel Protoattico Tardo (650-600 a.C.) si assiste alla completa affermazione, probabilmente per influenza corinzia, della tecnica a figure nere con particolari interni incisi e all'introduzione di motivi decorativi come le rosette e di figure animali tipicamente corinzi. Lo stile è monumentale, spesso caratterizzato da figure grandiose che diventano però via via sempre più normali. Capolavori di questo periodo sono l'anfora del pittore del Pireo (138) e parecchi vasi rinvenuti a Vari (135 e 136) decorati con scene di Prometeo e Bellerofonte, nonché mostri ed animali selvaggi (620-600 a.C. ca.), con la tecnica a figure nere e i particolari interni incisi. Viene poi la famosa anfora di Nettos (137) con Eracle, Nesso (particolare) e le Gorgoni (610-600 a.C. ca.). Il tipo di anfora, di grandi dimensioni e con grandi anse ad orecchio traforate si avvicina all'anfora di Eleusi. Sul collo è raffigurato il duello tra Herakles e Nesso che ha dato nome al vaso. Sul corpo del vaso è invece rappresentata l'uccisione della Gorgone e l'inseguimento di Perseo da parte delle sorelle. Entrambe le scene sono di grande impatto emotivo: al centauro implorante, Herakles pianta il piede nella schiena in un gesto brutale e violento che non sarà mai ritentato nell'arte greca. Al centro le Gorgoni, che sembrano volteggiare in una sorta di danza diabolica, danno movimento all'intero vaso e trasmettono il loro essere demoniaco attraverso i grandi occhi spalancati e l'enorme bocca digrignante.
Le forme dei vasi preferite erano i grandi e capaci crateri, i lebeti, le idrie e le anfore, poiché le loro estese superfici si prestavano assai bene alle ampie composizioni.
La rivoluzione dell'VIII secolo non riguardò solo l'arte ma toccò ogni aspetto della vita, ed accompagnò la maturità dell'età del ferro greca. Il ferro era stato in uso già prima dell'inizio del millennio (la 'prima età del ferro'), ma un enorme sviluppo della metallurgia ferrosa tra il 750 ca. e il 650 ca. migliorò, accelerandola, la velocità e l'efficienza della vita in molti settori, e in questa situazione più stabile e sicura la popolazione della Grecia si moltiplicò in misura notevole.
L'accresciuto numero di abitanti favorì il passaggio su vasta scala dalla pastorizia all'agricoltura con l'aratro, e la produzione alimentare aumentò sensibilmente. Ciononostante, continuava a non esserci abbastanza terra coltivabile per tutti, a causa (ma ci mancano dati concreti) di questa grave sovrappopolazione.
La pressione demografica spinse un enorme numero di Greci, in molte città, ad emigrare oltremare. Da questo secolo, iniziò infatti una straordinaria espansione dei Greci in tutto il Mediterraneo: decine di nuove poleis sorsero dalle coste della Francia meridionale (Marsiglia) a quelle dell'Africa (Cirene); ma furono soprattutto le terre dell'Italia meridionale e della Sicilia a conoscere i principali insediamenti greci. Questa è conosciuta come "l'era della colonizzazione".
Un altro fenomeno sociale importante, accanto a quello della colonizzazione, è la nascita dei primi grandi santuari: per Zeus a Dodona, Olimpia e Nemea, per Apollo a Delfi Pito), Delo, Didima e Claro, per Artemide ad Efeso, per Poseidone a Istmia presso Corinto ecc. Le prove che questi santuari discendessero direttamente da quelli dell'epoca micenea sono scarse o contraddittorie (e in ogni caso, anche ammesso che ciò fosse vero, solitamente le divinità non rimasero le stesse). Comunque sia questi importanti luoghi di culto assunsero un ruolo decisivo nell'VIII secolo, influirono sullo sviluppo sociale ed ebbero un'enorme espansione nei duecento anni che seguirono. Alcuni di questi centri divennero famosi per i loro oracoli; i templi oracolari di Dodona e, in particolare di Delfi, giunsero a esercitare una straordinaria influenza.
Intorno a quattro santuari vennero inoltre organizzati grandi spettacoli, i giochi olimpici, pitici, istmici e nemei. Da un lato il loro carattere panellenico contribuì a controbilanciare il particolarismo delle varie città-stato. Ma al tempo stesso le gare che costituivano il nucleo essenziale di questi raduni fornivano l'esempio più evidente della sfrenata competitività che manteneva così fortemente separati quegli Stati; ed era lo stesso spirito competitivo (agòn) che spingeva città e singoli individui a impiegare molto tempo in attività fisiche e a dedicare tante opere d'arte ai santuari. Tra questi oggetti troviamo, dall'ottavo secolo in avanti importanti opere scultoree.
Nelle civiltà minoica e micenea l'architettura aveva come principale campo di esperienze il palazzo, e sul continente anche le fortificazioni. Nell'arte greca di età arcaica e classica il tema fondamentale diviene il tempio. Su questo tipo di edificio, praticamente il solo ad essere progettato, si concentrò la ricerca e la sperimentazione degli architetti.
Il culto in età micenea era concentrato all'interno del palazzo: il tempio coincideva col mégaron della dimora del sovrano. Allorché protagonista del culto divenne l'intera comunità, le cerimonie religiose si tennero all'aperto, su altari all'interno di un recinto sacro detto tèmenos, mentre le statue delle divinità erano protette da un semplice baldacchino su colonne.
Si venne affermando quindi il concetto che il tempio fosse l'intera area sacra (il latino templum ha la stessa radice, e in origine lo stesso significato, del greco tèmenos = spazio delimitato; in questo caso, delimitato per scopi religiosi), mentre la costruzione colonnata destinata ad ospitare l'immagine di culto ne era solo un elemento: la casa (nàos) del dio. In essa non entravano normalmente che pochi addetti.
All'origine il nàos fu di legno. Dalla metà dell'VIII alla metà del VII secolo si conducono ricerche tecniche attraverso le quali si affronta e si perfeziona la lavorazione della pietra.
Così insieme all'inizio della statuaria di grandi dimensioni, anche gli edifici di culto vengono rinnovati e ampliati, ricostruiti in pietra con estrema accuratezza e raffinatezza tecnica fin dalle strutture di fondazione. La costruzione è sempre a secco, senza uso di malta. Il che comporta un grande rigore nel taglio della pietra, in modo da creare una precisa combaciatura degli orli e degli spigoli. Dal vano singolo si passa a una cella con prònao, e infine si afferma l'elemento fondamentale dell'architettura templare: la peristasi (colonnato), che circonda e contiene la casa della divinità. Dalla copertura a terrazza si passa a quella a doppio spiovente. Dalla cella divisa in due navate da una fila di colonne (ciò che obbligava ad una collocazione laterale della statua di culto) si passa a una cella priva di colonne o divisa in tre navate da un doppio colonnato. Il rapporto lunghezza/larghezza si armonizza in proporzioni ottimali.
Nel VII secolo la trabeazione è ancora prevalentemente lignea, con rivestimenti in terracotta dipinta, ma progressivamente si arrivò ad usare la pietra per tutti gli elementi, tanto strutturali che ornamentali.
Fatto assai importante, la colonna, il capitello e la trabeazione si organizzano e si fissano in ordini architettonici. I principali ordini sono il dorico, che si afferma nel continente greco e nelle colonie occidentali, e lo ionico, adottato in alcune delle isole e sulle coste dell'Asia Minore.
Mentre nelle civiltà orientali l'iniziativa del privato cittadino nel campo dell'arte rimase del tutto sconosciuta, in Grecia essa assume subito un ruolo notevole e appena le condizioni economiche lo permettono il cittadino greco offre nel santuario, anziché le piccole offerte fittili prodotte in serie, una statua, più grande o più piccola a seconda delle proprie possibilità, offerta come un oggetto prezioso, splendente, àgalma; e il più prezioso, il più splendente era appunto l'immagine del corpo umano che poteva rappresentare o il dio o il devoto. Nel caso rappresentasse il devoto, quest'immagine personificava la sua continua umana presenza, senza però avere nessun riferimento personale in quanto restava concepita secondo una tipologia astratta: quella del koùros (giovane uomo nudo), e della kòre (giovane donna vestita) che caratterizzeranno tutta la produzione arcaica.
Nello scolpire la figura umana lo scultore greco vuole esprimere la perfezione dell'essere vivente. Pur riproducendo la struttura del corpo umano così come la vediamo, non rappresenta questo o quell'uomo, questa o quella donna, individui particolari soggetti alla transitorietà, alla caducità di tutte le cose del mondo, ma l'uomo ideale, somma delle più alte qualità fisiche e morali. Non rappresenta dunque l'uomo come è nella sua apparenza esteriore, ma come dovrebbe essere.
Il cammino glorioso della scultura greca incomincia adesso nel VII secolo a.C., col cosiddetto stile dedalico (dal nome del leggendario artista cretese che l'avrebbe creato), che può datarsi fra il 660 e il 640 a.C., e che prosegue in un cosiddetto tardo dedalico sino intorno al 620 a.C. e in un post-dedalico, che si diffonde nelle colonie occidentali (e di là provocherà echi anche in Etruria). La tradizione attribuisce le prime creazioni plastiche al mitico Dedalo, il cui nome, forse all'origine un attributo professionale, significa 'colui che modella'. Contraddittorie, e spesso favolistiche, sono le notizie sulla sua vita e sulla sua attività. Di probabile origine cretese, egli avrebbe creato un nuovo canone, ispirandosi alle statue egiziane. Le fonti gli attribuiscono la paternità di moltissime statue di culto, che egli avrebbe eseguito sia in legno (xoana) sia in lamina di metallo sbalzato (sphyrelata), secondo tecniche di origine orientale. L'uso della pietra sarebbe stato introdotto dai suoi figli ed allievi che lavorano a lungo nel Peloponneso ma soprattutto a Paro, dove il reperimento della materia prima è facilitato dalle grandi cave di marmo cristallino. Così attraverso artisti più o meno direttamente ricollegabili al maestro l'arte dedalica si diffonde nel continente e soprattutto nelle isole.
Le fonti archeologiche confermano le indicazioni fornite dalla tradizione letteraria: non a caso le aree che hanno restituito i più antichi esempi di statuaria sono Creta e le Cicladi.
44. Kouros di Delfi; 650-625 a.C.; m. 0,197; bronzo; Delfi, museo. Si tratta di un bronzetto di dimensioni contenute offerto al dio Apollo. Esso presenta tutte le caratteristiche principali dell'arte dedalica: la completa frontalità, le braccia appoggiate ai fianchi e non impegnate in alcun movimento, i pugni serrati, i capelli disposti in ampie masse che cadono formando dei gradini, la fronte bassa, la calotta cranica schiacciata, una gamba più avanzata rispetto all'altra. Vista la snellezza delle gambe e della vita e la presenza della cintura, l'opera è da attribuirsi ad un artista cretese. Rivela influenze egiziane.
50. Dea di Auxerre; 650-625 a.C.; m. 0,75; calcare; Parigi, Louvre. Questa figura femminile è rappresentata in maniera rigida. Il braccio sinistro è steso lungo il corpo ma non ha il pugno serrato come il koùros precedente. Il braccio destro è alzato in atto di preghiera. Nonostante queste differenze, anche quest'opera presenta evidenti temi dedalici: il volto squadrato, la fronte bassa, la calotta cranica schiacciata, l'occhio completamente di profilo. La veste lunga fino ai piedi è quella tipica di tutto il VII sec. a.C. Solo dal secolo successivo avremo la distinzione fra peplo e chitone. L'acconciatura è simile a quella del koùros precedente: in questo periodo non c'è infatti distinzione fra quella maschile e quella femminile. Anche questa opera è da ritenersi cretese per la presenza della cintura che stringe la vita.
In alcuni casi le statue greche dello stile dedalico vengono datate grazie alla ceramica che è più facilmente inquadrabile per la sua collocazione in strati. La datazione delle due statue precedenti è infatti resa possibile mediante l'associazione a ceramica che presenta caratteristiche simili.
89. Aryballos a testa femminile; 650 a.C.; m. 0,068; Parigi, Louvre. È un contenitore per unguenti proveniente da Corinto, che presenta pitture a figure nere sul corpo e ha come collo una testa femminile. Poiché si tratta di un aryballos, cioè di una forma vascolare di cui conosciamo tutti gli stadi evolutivi, possiamo datarlo al 650 a.C. Visto che la testa presenta tutte le caratteristiche dello stile dedalico (squadratura, occhi completamente di profilo, fronte bassa, capelli che scendono a gradini), possiamo utilizzare questo vaso come 'fossile guida' per datare le due statue analizzate in precedenza.
A partire dalla metà, ma soprattutto alla fine, del VII secolo a.C. notiamo, nella plastica greca, una singolare passione per la monumentalità. Questo sviluppo sembra essere incoraggiato da un lato dal sempre maggiore affermarsi dei ludi atletici che stimolano, con la visione continua dei campioni più selezionati della razza ellenica, il senso della bellezza corporea, dall'altro dal progresso dell'architettura con la costruzione dei più importanti templi dorici, che si ornano di frontoni con statue a tutto tondo, di métope a altorilievo e di opere votive.
Come abbiamo detto, spesso le statue venivano create per essere poste nei templi. Non è forse dunque un caso che la statuaria in marmo di grandi dimensioni si sviluppi proprio ora (nel VII sec. a.C.), cioè in concomitanza con l'ampliamento e il rinnovamento degli edifici di culto, i templi.
Sembra che le prime grandi statue (ritrovate soprattutto ad Atene) siano state costruite per la prima volta, intorno al 650 a.C., a Nasso e Paro nell'arcipelago delle Cicladi, dove era disponibile marmo in abbondanza. Ovviamente, queste grandi sculture richiedevano mezzi finanziari notevoli per essere realizzate, per cui erano spesso commissionate da aristocratici.
Il primo esempio di scultura monumentale è la cosiddetta Statua di Nikandre rinvenuta a Delo che in questo periodo era controllata politicamente da Nasso.
72. Statua di Nikandre; marmo; 650-640 a.C.; m. 2; Atene, Museo Nazionale. La statua è per noi il più antico esempio di scultura monumentale che ci sia pervenuto. Sul lato sinistro della statua è incisa verticalmente un'iscrizione bustrofedica (cioè eseguita alternativamente da destra a sinistra e da sinistra a destra) nella quale si ricorda che la statua venne dedicata alla dea Artemis dalla fanciulla Nikandre, figlia di una dinastia di Nasso in occasione del suo matrimonio con Phraxos. Le dimensioni insolite fanno ritenere si tratti di una raffigurazione della dea piuttosto che della dedicante. La struttura presenta le principali caratteristiche dello stile dedalico: frontalità, bracci tesi che scendono lungo i fianchi con pugni serrati, capelli che scendono in grandi masse. Il fatto che Nikandre fosse di Nasso e che il marmo utilizzato provenga da quest'isola ha fatto attribuire l'opera ad uno scultore nasso.
Come abbiamo detto la grande statuaria sembra nascere nelle isole attorno al 650 a.C. ca. Tuttavia tra la fine del VII e gli inizi del VI sec. a.C. Atene acquista posizione predominante e si sviluppa, a partire da questo momento, la scultura attica arcaica, che inizialmente però risente di echi dedalici. Il canone monumentale della scuola nassia viene riproposto ad Atene da una personalità d'eccezione, nota con il nome convenzionale di 'maestro del Dypilon', che gli deriva dalla testa colossale di giovane rinvenuta nel cimitero del Dypilon che costituisce uno dei primi cimeli del grande periodo arcaico.
140. Testa di kouros dal Dypilon; 610-600 a.C.; m. 0,44; Atene, Museo Nazionale. La luminosa compattezza dell'ovale, articolato nelle precise scansioni dei lineamenti (l'arcata sopracciliare, nettamente delineata, sovrasta gli occhi allungati ma sporgenti, e continua nel lungo naso dall'attacco sottile che attraversa il viso con perentorietà) è esaltata dal decorativismo dei capelli resi in file di grosse perle che passano dietro le orecchia, preziosisticamente rese mediante due volute.
All'attività del maestro del Dypilon si può plausibilmente ricondurre anche il gruppo di statue maschili del Sunio, di dimensioni superiori al vero e caratterizzate da una massiccia solidità plastica addolcita da un nascente senso per la struttura anatomica, che si esprime nell'indicazione, mediante sobria grafia superficiale, della muscolatura sottostante.
139. Kouros del Sunio; 600 a.C.; m. 3,40; marmo pentelico; Atene, Museo Nazionale. Questa statua presenta sia elementi tipici dello stile dedalico (frontalità, bracci tesi con pugni serrati, occhi completamente frontali), sia elementi nuovi che segnano l'inizio del cosiddetto stile arcaico. Tra quest'ultimi abbiamo: l'avanzamento di una gamba, i capelli raccolti sul di dietro, il rilievo dato ad alcuni elementi anatomici come il bacino, i pettorali e soprattuto i ginocchi. La massiccia solidità plastica è addolcita da un nuovo senso anatomico che si esprime nell'indicazione della muscolatura.
L'opera annuncia quindi la fine dello stile dedalico, una fine che però non è violenta e improvvisa ma si definisce per passi. Il nuovo stile si forma infatti in impianti statuari dedalici.
Leggermente più tardi la grande statuaria in marmo si afferma anche nel Peloponneso (regione di Argo).
216. Kleobis e Biton; 600-590 a.C.; m. 2,16 e 2,18; marmo; Delfi, Museo. Una scritta frammentaria indica la seconda parte del nome dello scultore Ymedes. Si suppone di poterlo identificare con Polymedes di Argo nel Peloponneso. Si tratta dei fratelli Kleobis e Biton di Argo, giovani figli di una sacerdotessa di Hera, i quali, mancando i buoi, si sottoposero alla fatica di trascinare il carro della madre fino al santuario per 45 stadi (8 o 9 km). Qui giunti, si sdraiarono e ottennero dalla dea Hera, per intercessione della madre, una morte tranquilla. L'atteggiamento dei due gemelli è molto simile a quello del Kouros del Sunio: anche qui convivono elementi dedalici ed elementi arcaici. Già infatti notiamo temi tipici dello stile dorico come l'austerità e i bruschi passaggi di piano che creano un forte contrasto fra luci ed ombre.
Qui abbiamo considerato solamente le grandi statue che venivano dedicate (di solito da aristocratici) nei templi. Accanto a queste vi sono anche le statue funerarie, di dimensioni analoghe, che venivano utilizzate come segnacoli tombali, di cui però parleremo in seguito.
A partire dal 700 a.C. circa la consuetudine al sempre maggiore uso dell'avorio diviene comune in Grecia. Oggetti di avorio di età orientalizzante provengono dall'Attica, ma i rinvenimenti più notevoli sono quelli di Corinto, quelli dell'Heraion di Argo, del santuario di Artemis orthia a Sparta e della via sacra di Delfi.
Dal santuario di Artemis orthia a Sparta provengono raffigurazioni di Artemide generalmente rappresentata come signora degli animali, alata o meno. In una di queste (113 a sin), Artemide è resa in maniera arcaica con una grande testa, sormontata da una corona di foglie, direttamente inserita sulle spalle e le ali che si fondono o vengono a costituire anche il busto. L'esemplare è da datarsi tra il 700 e il 675 a.C. circa. In un'altra placchetta (113 a dx), databile tra il 675 e il 650 a.C. circa, l'immagine della dea è impostata frontalmente secondo i moduli della prima età dedalica. Non è alata, ma ha due uccelli in corrispondenza delle spalle che sembrano sostituire idealmente questo requisito. Il volto è trattato con notevole delicatezza e la veste, come quella dell'Artemide precedente, è ornata a motivi geometrici. Tra gli oggetti d'avorio più frequentemente incontrati nella stipe del santuario di Orthia, accanto alle placchette che costituivano i dischi delle fibule, sono da ricordare i pettini, anch'essi offerta adeguata e preziosa ad una dea. Il più importante e forse il meglio conservato ci offre una singolare, isolatissima figurazione del giudizio di Paride (115). Come in tutte le redazioni più antiche, Paride è barbato. La curva del pettine ha come effetto di ridurre le proporzioni del trono e di comprimere la statura dell'ultima delle dee (625-600 a.C. circa).
Forse negli anni attorno al 630-620 a.C può essere datato il capolavoro della produzione. Si tratta della figura di un giovinetto (alta 14,5 cm) rinvenuta a Samo (58). Il foro sulla testa e altri indizi mostrano che la statuetta non era indipendente, ma esisteva come sostegno di un arnese che si pensa possa essere una grande arpa. Il corpo del giovinetto è sorprendente per la squisitezza dell'intaglio che sa unire contorni teneri e ferrea disciplina strutturale. Così la linea del torace che si ristringe nella cintura, i fianchi rotondi e persino l'ammirevole riduzione delle gambe dal ginocchio in giù. Il volto, a parte la finezza di modellazione, appare meno convincente. I lineamenti troppo minuti sono in netto contrasto con gli immensi occhi orientali.
Dello stesso periodo è un formidabile rilievo da Samo (forse anch'esso, come il precedente, di arte laconica): con Perse che decapita la Gorgone (61). L'eroe con il supporto e il consiglio di Atena tronca la testa del mostro, apparentemente in ginocchio dinanzi a lui. I due protagonisti appaiono lievemente inclinati l'uno verso l'altra, ambedue con il volto frontale, mentre la dea è posta di profilo.
Tra gli ultimi avori (fine del VII secolo) più notevoli è un potnios, alto 18 cm, scoperto a Delfi, in un deposito votivo sepolto dalla via sacra (22). Rappresenta una figura maschile, armata di lancia, che doma un leone. Forse l'avorio fu dedicato a Delfi da un abitante della Ionia che riconosceva nella figura Apollo, signore degli animali
In età orientalizzante la produzione del legno è documentata con particolare evidenza. I rinvenimenti provengono quasi tutti dall'Heraion di Samo dove, per l'eccezionale umidità del terreno, un notevole numero di ex voto sono giunti sino a noi. Quelli più notevoli appartengono al VII secolo.
Tra questi è un'eccezionale figura di Hera o di una offerente assimilata a Hera (55). La dea è in piedi, immobile, fissa. Sul capo ha un'alta mithra decorata con motivi geometrici. La veste, stretta da una cintura, scende fino ai piedi. Una mantellina, anch'essa ricamata, copre le spalle. I capelli, con riccioli sulla fronte, scendono sulle spalle. Gli avambracci, lavorati a parte, dovevano essere leggermente piegati in avanti; nelle mani erano gli attributi della dea. L'impostazione richiama le creazioni della plastica monumentale attorno al 650 a.C.
Attorno al 625 a.C., è un'opera di notevole impegno (56). Si tratta di un rilievo, alto circa 19 cm (oggi sfortunatamente distrutto), che rappresentava Zeus e Hera. Zeus, con le braccia e le gambe nude, afferra Hera, riccamente vestita. Gli dei hanno sul capo un polos, tra di essi compare un'aquila, vista di dorso. Si tratta di una rappresentazione della unione sacra di Hera e Zeus. L'opera ricorda intagli orientali come conferma il perizoma del dio, ma il peplo e il piccolo mantello di Hera annunciano l'emergere dello spirito ellenico.
La produzione dei pithoi figurati cicladici supera largamente, per l'importanza e la qualità delle raffigurazioni, quella di Creta e di Rodi.
I pithoi sono colossali, possono superare m 1,50 di altezza: essi hanno piede appuntito, spalla breve e ripida, collo largo e alto, labbro espanso, anse massicce.
Le raffigurazioni sono disposte su registri sovrapposti: generalmente uno, al massimo due, sul collo; da uno a tre sul ventre. Gli elementi decorativi: linee, spirali, trecce. Le rappresentazioni più notevoli sono generalmente sul collo. Sono rappresentate: battaglie, centauromachie, divinità, scene del mito (nascita di Atena, uccisione della Gorgone), storie dell'epos (distruzione di Troia). Compaiono figure di animali, reali o mostruosi.
Il gruppo più notevole dei pithoi cicladici pu˜ essere datato tra il 700 e il 650 a.C.; la produzione si esaurisce nella seconda metà del VII secolo.
Uno dei primi esemplari è un pithos proveniente da Tebe: 650 a.C. (62). Al centro del collo è raffigurata una figura femminile, coperta da una veste ornata, il capo coperto, che alza le braccia in gesto di adorazione, sostenuta da due asssistenti; ai lati due leoni, sollevati sulle zampe anteriori. Il ruggito e la tensione degli animali salutano l'implacabile apparizione della dea, la sottomissione degli assistenti. La potenza divina riesce a dominare gli uomini e la forza stessa della natura animale, con una tensione che esclude ogni altro avvenimento.
Quasi contemporanea è un'altra composizione su un esemplare da Tebe (64). In una foresta (la natura vegetale e animale è espressa per simboli) Perseo incontra la Gorgone dal corpo di centaura. Volgendo la testa indietro, la decapita. L'avvenimento è definitivo e brutale e le poche annotazioni della natura bestiale della Gorgone, i pochi accenni agli attributi di Perseo, servono solo ad accentuare la violenza dell'episodio. Da notare è la diversità del trattamento della veste e del corpo equino della Gorgone (con linee incerte, che contrastano con quelle bene ordinate della veste di Perseo) e la contrapposizione tra il pieno prospetto del mostro e il costante profilo dell'eroe. Il rilievo è appena accennato, i profili tendono a confondersi con lo sfondo. 650 a.C.
Su un frammento di pithos a rilievo da Tino (63), si ripropone la stessa scena che si trova sul collo del pithos da Tebe. Anche qui la dea della natura ha le braccia alzate ed è serrata fra due assistenti. Dal capo della dea emergono ramoscelli di foglie e il leone rampante attesta la sua potenza sul regno animale. Il volto è sottilmente decorato come la grande chioma di impianto dedalico. 650 a.C. circa.
Nel 1961 fu scoperto a Micono un notevole pithos a rilievo databile al 650 a.C. (65). Alto 1,35 metri, è decorato con scene tratte dall'Iliupersis, disposte in inserti metopali sul corpo e, sul collo, la raffigurazione del cavallo di Troia, il tutto eseguito a rilievo nello stile del VII secolo a.C. Il cavallo di Troia è rappresentato montato su ruote e ha sette aperture nel corpo e nel collo; nell'interno di ognuna di esse si scorge la testa di un soldato greco. Altre sette greci sono già usciti dal cavallo e si preparano al combattimento. é la più antica particolareggiata rappresentazione di questa famosa leggenda.
Creta. Le terrecotte di Creta sono caratteristiche, per abbondanza e qualità, durante tutto il VII secolo a.C. Esse provengono generalmente dai depositi di alcuni santuari tra cui principalmente Axos e Gortyna. I rinvenimenti di Gortyna sono i più notevoli.
Tra le prime terrecotte databili attorno al 650 a.C. è una statuetta di Athena, alta ben 36 cm, da Gortyna (27). La dea, a capo scoperto, reggeva lancia e scudo, probabilmente di bronzo. La parte inferiore della figura, campaniforme è lavorata al tornio (secondo le consuetudini comuni ad alcune figure femminili di età micenea). La figura, con occhi enormi e bocca profondamente segnata, è una delle più antiche immagini della dea in attacco.
Pressoché contemporanea alla precedente, è una statuetta di Artemide, alta 15 cm, proveniente anch'essa da Gortyna (28). La figura alata ci appare come una sorta di altorilievo piuttosto che una statuetta indipendente. E in effetti nella durezza degli intagli, specialmente nella grande ala arricciata, sembra di sentire un'eco di quel gusto per contorni aguzzi e spigolosi che si incontra nelle lamine di bronzo cretesi (35, 36, 37). Ha nella mano destra protesa un piccolo felino. Il gesto, e persino la parziale nudità, indicano ancora una volta la dea della natura.
Da Axos proviene una statuetta di dea nuda, databile alla fine del secolo (46). La dea eretta e rigidamente frontale, come vuole la tradizione dedalica, ha un alto polos sul capo e la nudità protetta da una mano sul grembo. Le lunghe gambe snelle e la vita sottile, avvicinano questa statuetta al piccolo kouros di Delfi (44).
Parallela alla produzione di statuette in terracotta, a Creta, è la produzione di pinakes che diventano frequenti attorno alla metà del VII secolo a.C.
Tra i più importanti esemplari abbiamo un minucolo pinax (8 cm) su cui è raffigurata l'uccisione di Agamennone (43). Si tratta della prima raffigurazione che ci sia giunta, dell'uccisione del grande re. Tutte e tre le figure hanno il volto di prospetto, mentre il loro atteggiamento rivela con grande chiarezza il loro carattere e la loro parte nell'azione. Agamennone al centro in trono appare soffocato tra l'eretta, rigida figura di Egisto e il femminile inclinarsi di Clitennestra. I due complici tengono tutti e due un lembo del manto sulla testa della vittima, come a immobilizzarlo. Egisto che uccide a tradimento opera dal dorso della vittima; mentre la donna che deve ingannare con belle parole e false dimostrazioni di affetto è sul davanti e il suo inclinarsi ci parla di fragilità femminile e di ingannevole premura.
Su un altro pinax, sempre da Gortyna sono raffigurate due sfingi affrontate (48). I loro corpi sono snelli e allungati. Singolare è la conformazione dell'ala aderente al corpo. I volti dal profilo acuminato e dal lunghissimo collo possiedono una certa femminilità. 650-625 a.C.
Samo. Importanti terrecotte, provengono da Samo, dall'Heraion, e sembrano avere una loro precisa formulazione già alla fine dell'VIII secolo a.C. Un torso femminile, databile al 650 a.C., è un capolavoro (57). Si tratta di una statua fittile rappresentante la dea Hera. La statuetta, tronca alla cintura, doveva essere di notevoli dimensioni. La testa appare un po' grande per il corpo delicato dalle spalle strette e le minuscole braccia. La chioma, nettamente distinta dalle spalle, si divide in due bande che si vengono a trovare molto ravvicinate sotto il mento, come a isolare il volto e ad esaltare la fragilità del collo. Ancora più sorprendente è la veste costituendo la prima attestazione di peplo obliquo.
Peloponneso. Da Sparta provengono importanti esemplari di terrecotte. I più antichi provengono dal santuario di Apollo ad Amyklai: tra questi abbiamo una testina (11 cm) che probabilmente apparteneva ad una statuetta che raffigurava il dio nelle vesti di guerriero (110). 650 a.C.
Un'altra testa (625-600 a.C.) di produzione laconica evidenzia invece i caratteristici temi dedalici come la cosiddetta parrucca 'a ripiani' (117).
Da Corinto proviene un'interessante statuetta fittile raffigurante una donna seduta (109). Quello che colpisce è la semplicità con cui è reso sia il corpo sia il volto di straordinaria freschezza.
Corinto è considerata dalle fonti, in particolare da Plinio, la patria della decorazione architettonica fittile. E poiché in conseguenza della distruzione operata dai Romani, il volto di Corinto dei grandi secoli dell'arcaismo ci è assai imperfettamente noto, occorrerà ricorrere al tempio di Artemide a Kalydon, separato solo da un tratto di mare dalla città, per avere degli esempi tra i più nobili e i più antichi di questa classe di monumenti. Iscrizioni dipinte ci confermano che artisti corinzi furono attivi nella produzione della decorazione plastica (antefisse e acroteri) e delle metope dipinte di questo santuario. In una delle trasformazioni o rifacimenti del tempio sono state impiegate antefisse decorate da uno straordinario volto, quello della dea stessa, a giudicare dal polos decorato con grandi rosette, di cui alcuni esempi, più o meno frammentari sono stati preservati; questi ci dimostrano come gli artisti corinzi sapessero accettare temi dedalici trasformandoli a loro modo (93; 630-620 a.C.). Della decorazione del tempio di Kalidon abbiamo anche alcune sfingi utilizzate come acroteri: il volto di queste, dai grandi occhi allucinati, più che incutere timore sembra provarlo (96; 610-600 a.C.)
Un altro tempio decorato da artisti corinzi è quello di Apollo a Thermos: questo lo si deduce sia dallo stile, sia dall'alfabeto usato nella maggior parte delle iscrizioni delle metope. Della decorazione conserviamo sia antefisse che metope (94, 96). In una delle metope è raffigurato Perseo che porta sotto il braccio destro la testa della Gorgone. L'eroe, dalle possenti membra, è figurato di tre quarti in rapido passo verso destra. 625-600 a.C.
Probabilmente Corinto, la cui profonda influenza artistica sulla Grecia settentrionale sembra confermata da queste decorazioni, vantava abili squadre di artigiani che si recavano l“ dove era necessario realizzare terrecotte architettoniche; artigiani che, sul posto, assoldavano qualche aiutante: e questo pu˜ essere testimoniato dallo stile corinzio delle figure insieme ad alcuni elementi locali delle iscrizioni.
Per un popolo ed un'età in cui domina il culto dell'eroismo, le belle armi rappresentano anche una delle supreme espressioni artistiche. In età orientalizzante molte armi furono dedicate nei santuari (in particolari in quelli di Olimpia e Delfi). Città e personaggi, di particolare prestigio, potevano dedicare armature o più frequentemente, l'elemento più caratteristico di esse: l'elmo. Le armi appartenevano a bottini di guerra; in qualche caso potevano essere il dono votivo dei vincitori delle gare (che dedicavano se stessi attraverso la propria armatura).
Nel VII le più importanti officine di produzione delle armi si trovano a Creta. Le armi che hanno maggiore interesse sono: scudi, elmi, corazze (destinate a proteggere il torace), mithrai (placche destinate a proteggere l'addome).
Tra i primi esemplari è un umbone di scudo proveniente dal monte Ida (19): al centro è una figura barbuta che solleva un leone e posa un piede sul collo di un toro (animale particolarmente importante per Creta); sui lati due geni alati suonano due tamburelli. I caratteri iconografici delle figure e delle scene rappresentate sono indubbiamente orientali.
A partire dal 650 a.C. circa e sino alla fine del secolo accanto ad un repertorio più tipicamente decorativo (cavalli e protomi di cavalli, in qualche caso alati; leoni; pantere; sfingi; grifi; serpenti), compaiono complesse raffigurazioni mitiche. Su una mithra di Olimpia (42) è l'incontro tra Menelao e Elena dopo la caduta di Troia e su un elmo di Delfi (40) è raffigurato il ratto di Europa.
Ma le rappresentazioni più interessanti si hanno su alcune corazze databili nella seconda metà del VII secolo a.C. che, benché rinvenute ad Olimpia, debbono essere opera di officine cretesi. Su quella più notevole (39) compaiono in alto due leoni e due tori araldici (e tra questi due sfingi e due pantere araldiche); più in basso Zeus, accompagnato da Lato e Themis, si incontra con Apollo, forse seguito da due muse.
Su un altro esemplare (38), recentemente scoperto, sempre ad Olimpia, si è pensato di riconoscere i Dioscuri che liberano Elena da Teseo e Piritoo. Elena è al centro, a sommo dell'arco elaboratamente ornato che sottolinea l'arcata epigastrica del torace. Uno dei rapitori la ritiene ancora per il polso, ma ella è già rivolta con un trionfale saluto verso i liberatori che vengono da sinistra. Elena è grandissima in confronto degli altri personaggi: scende con i piedi più in basso degli altri e sul capo ha un polos altissimo, quasi altrettanto importante che quello della Hera di Samo (55).
Conclude il panorama dei bronzi cretesi (potrebbe trattarsi di elementi decorativi destinati ad essere applicati su scudi dalla superficie esterna di cuoio?) una serie di rilievi con figure intagliate dai contorni angolosi (35, 36, 37) databili anch'essi alla seconda metà del secolo VII. Essi rappresentano cacciatori che recano la selvaggina, a meno di non voler riconoscere alcune imprese di Eracle, come la disputa con Apollo per la cerva cerinitide (35).