Contemporaneamente all’esperienza delle grandi città-stato del sud sumerico, in altre aree del Vicino Oriente avviene quella che gli storici chiamano con il nome di «seconda urbanizzazione» (secc. XXIV-XXIII). Questa è stata evidenziata e studiata soprattutto in seguito alla scoperta di Ebla che ha dato vita ad un rinnovato interesse per la zona dell’alta Mesopotamia e della Siria orientale dove sono state riportate alla luce numerose città di cui si era perduta ogni traccia e che hanno dimostrato invece l'importanza e la consistenza di questo fenomeno. Si tratta di grandi città che sorgono quasi improvvisamente e che pur avendo la struttura politica tipica dei centri sud-mesopotamici, presentano tratti culturali propri. Non solo, sono anche città che sorgono in zone dove le condizioni ambientali sono radicalmente diverse da quelle della bassa Mesopotamia e della Susiana, in quanto rendono impossibile praticarvi una redditizia agricoltura irrigua, di carattere intensivo. In queste regioni periferiche del mondo mesopotamico è possibile infatti solo lo sviluppo di un’agricoltura estensiva, fondata sullo sfruttamento delle precipitazioni atmosferiche e non delle acque fluviali
Tra queste città le più importanti sono: Ebla, Til Barsip, Tell Leilan, Tell Barri (antica Kakhat), Tell Mozan (antica UrKish; da cui provengono numerose impronte di sigillo), Tell Brak (la cui identificazione con l’altra grande capitale hurrita accanto a UrKish, cioé Nawar ricordata dai testi di Ebla, ormai sembra certa), Tell Biya’ (antica Tuttul dove sono stati rinvenuti un tempio e un palazzo con una struttura simile a quelli di Ebla), Tell Khuera (dove è un palazzo dell’età di Ebla), Tell Beidar (da cui provengono un centinaio di tavolette amministrative contemporanee ai testi più antichi di Ebla ed è l’unico sito fuori dall’area della bassa Mesopotamia dove sono state rinvenute tavolette pittografiche che ci inducono a pensare che la scrittura qui è arrivata poco dopo essere nata).
Tra le città citate, la più importante è sicuramente Ebla in quanto gli scavi del grande Palazzo Reale G (2400-2300) hanno riportato alla luce un imponente archivio politico e amministrativo, costituito da ben 17.000 tavolette in argilla, che ci ha permesso di ricostruire, assieme alla documentazione archeologica, non solo importanti aspetti della civiltà eblaita, ma anche un periodo storico di una regione che fino a pochi anni fa era del tutto sconosciuta.
Ebla sorse sulla collinetta calcarea di Tell Mardikh che fu abitata sin dalla metà del IV millennio a.C. Dei lunghi secoli di formazione e di sviluppo di questo stanziamento originario, quasi nulla è noto. Quel che sappiamo è che nei secoli centrali del III millennio a.C. si colloca invece la sua fase urbana con la serie degli arcaici sovrani della Ebla più antica, tramandati da più di una lista di antenati regali, oggetto di culto funerario nella grande città dell’età degli archivi che è l'età di massimo splendore. Le ragioni di tale sviluppo, che assume caratteri di particolare accelerazione alla metà del III millennio a.C., sono da ricercare in fattori di carattere naturale. La collocazione di Ebla, pressoché ai limiti occidentali dell’area dove le precipitazioni atmosferiche si mantengono al di sopra dei 200 millimetri annui, consente sia la pratica dell’agricoltura estensiva dei cereali, sia lo sfruttamento delle colture mediterranee tipicamente collinari della vite e dell’olivo. Inoltre, da questa stessa posizione deriva la possibilità di praticare una pastorizia particolarmente ricca: le greggi di ovini e gli armenti di bovini possono usufruire allo stesso tempo dei pascoli collinari a occidente e della transumanza stagionale nelle steppe predesertiche a oriente. La posizione della città non lontano dalle regioni montuose del Libano, dell’Amano e del Tauro, ricche di legnami e di metalli, soprattutto argento e rame, permette il controllo di materie prime di fondamentale importanza per le tecnologie dell’epoca. Non solo, per la sua peculiare collocazione strategica a mezza strada tra la grande ansa dell'Eufrate e la costa del Mediterraneo, a Ebla confluiscono inoltre profumi ed unguenti dall'Egitto e rarissime materie prime allo stato grezzo, come il lapislazzuli proveniente dal lontano Afghanistan.
Quindi Ebla riesce a stabilire un monopolio per l’approvvigionamento dei beni primari essenziali che impone relazioni frequenti e di tipo paritetico con i grandi centri urbani della Mesopotamia e forse della costa del Levante e questo, fin dall’inizio della fase protosiriana matura documentata dai più antichi testi dell’età degli archivi.
Ebla dunque potrà contare per tutto il corso della sua storia su una ricchezza enorme e composita che le deriva essenzialmente dall'agricoltura e dal commercio, due attività organizzate e controllate da una efficiente e capillare amministrazione centrale rappresentata dal Palazzo Reale.
Politicamente, durante il XXIV secolo a.C., Ebla assume il controllo di una vasta area della Siria interna compresa fra la catena montuosa del Gebel Ansariyah ad ovest, le rive del medio Eufrate ad est, la catena del Tauro a nord e la regione di Homs a sud..
Il controllo politico di un territorio così esteso è assicurato da una serie di alleanze con i centri minori sancite per il tramite di matrimoni dinastici stabilito con diverse città, soprattutto per il tramite di matrimoni dinastici.
A causa della sua estensione e della sua importanza Ebla deve affrontare relazioni non sempre facili più difficili e mutevoli nel tempo con le grandi città della Mesopotamia come Mari sul medio Eufrate, Nagar nella regione del Khabur e Kish, la maggiore città del paese di Akkad in bassa Mesopotamia. Non risulta alcuna menzione delle grandi città di Sumer, se si fa eccezione per la lontana, ma raramente citata Adab.
Grazie ai dati provenienti dagli archivi siamo in grado di ricostruire alcune vicende che portarono all'ascesa e al crollo dell'impero eblaita. Inizialmente la potenza di Ebla sembra essere bloccata dal forte potere di Mari. Successivamente, negli ultimi anni prima della conquista a opera di Sargon, Ebla è invece lanciata in una politica espansiva e forse aggressiva verso Oriente. La sua importanza si afferma per la prima volta con il più antico sovrano attestato dai documenti della cancelleria eblaita, Igrish-Khalam. Sotto il secondo sovrano, Irkab-Damu, le ambizioni espansionistiche di Ebla conoscono insuccessi e pause, sebbene il sistema amministrativo ed econiomico risulti sempre molto fiorente. È probabile che questo sia dovuto ad un'importante figura di amministratore: il gran visir (lugal-sa-za), rivestita in questo primo momento da un certo Ibrium, il quale ha posto le premesse della grande fioritura economica e politica di Ebla, documentata senza equivoci dai testi degli ultimi anni degli archivi. Sotto l’ultimo sovrano, Ish’ar-Damu, coadiuvato nel governo della città dal figlio di Ibrium, Ibbi-Zikir, in una posizione istituzionalmente analoga a quella del padre, Ebla raggiunge l’apice del potere economico e politico.
In questi anni, più intense e regolari diventano le relazioni con le città di Kish, Mari e Nagar che assumono presto la forma di una coalizione politica di potenze settentrionali in grado di determinare un blocco degli accessi alle risorse del Tauro e dell’Amano, vitali per la prosperità della nascente potenza di Akkad.
Ma, appena consolidata la sua straordinaria macchina da guerra con la formazione di un esercito stabile, Sargon si accinge a compiere una memorabile spedizione nel Paese Superiore. Come egli stesso afferma, Mari, Yarmuti ed Ebla vengono conquistate e devastate. Anche di quest'ultimo episodio è testimone l'archivio, le cui tavolette presentano inconfondibili i segni delle fiamme; ma è stata proprio questa cottura forzata in circostanze drammatiche che le ha conservate fino ai nostri giorni.
Nei secoli seguenti Ebla fu ricostruita e conobbe un periodo di ripresa, finché non venne inesorabilmente distrutta dal re ittita Mursili I attorno al 1600 a.C.
Torniamo ora all'archivio. Per il disinteresse che verso di esse mostrarono il sovrano e i soldati di Akkad, le tavolette non furono rimosse né disperse né asportate. I loro luoghi di ritrovamento dunque corrispondono nella stragrande maggioranza al luogo originario di conservazione e, per una piccola quantità, al luogo d'uso al momento della distruzione e del saccheggio. Si è così potuto ricostruire che le tavolette erano conservate nel Palazzo Reale in tre diversi ambienti.
L’archivio principale, da dove proviene la massima quantità di testi, scoperto nel 1975 si trova in un vano ricavato sotto il portico orientale della Corte delle Udienze accanto all’ingresso al Quartiere Amministrativo, dove le tavolette erano archiviate ordinatamente sulle scaffalature lignee che rivestivano tre delle pareti. In tutto, da questo archivio provengono 1727 tavolette intere, 4713 frammmenti grandi e alcune migliaia di pezzi di piccole dimensioni.
Un gruppo assai minore di testi, per lo più di piccole e medie dimensioni era conservato in un archivio ridotto, un ambiente piuttosto angusto ricavato all’estremità settentrionale dello stesso portico orientale, dove le tavolette erano invece deposte su due mensole aeree, scomparse nell’incendio, ma di cui sono rimaste le impronte sui bianchi intonaci del vano. Un terzo ambiente era il magazzino trapezoidale, costruito all’interno del Quartiere Amministrativo, di fronte alla Sala del Trono: in quest’ultimo vano, a differenza delle altre due stanze, le tavolette dovevano essere deposte su banconi in mattoni crudi, almeno in parte chiusi da battenti lignei decorati con figure a rilievo.
I casi più significativi di chiaro impiego delle tavolette al momento della conquista e del sacco a opera di Sargon riguardano sia il luogo nel quale alcuni dei documenti venivano scritti, sia il modo di spostare le pesanti tavole d’argilla, sia i vani dove i testi venivano consultati. Ad esempio, davanti alla maggiore sala d’archivio, è un piccolo vestibolo, fornito di basse panchette e caratterizzato da un’illuminazione migliore del deposito dei testi, che probabilmente era uno dei luoghi dove almeno alcune delle tavolette venivano scritte in quanto in esso sono stati trovati, insieme a non pochi testi per lo più del tipo delle ordinanze regie e delle lettere, diversi frammenti di bacchette d’osso che potrebbero essere resti di stili e uno strumentino in steatite nel quale si potrebbe riconoscere una specie di cancellino con cui spianare, per un verso, le caselle e, per l’altro, le colonne delle tavolette. D’altro lato, proprio davanti al Portale Monumentale, una ventina di documenti, anche di grandi dimensioni, sono stati trovati ammucchiati sopra una tavola bruciata nell’incendio: è evidente che queste tavolette venivano trasportate su una tavola da due inservienti, quando al momento della conquista della città, vennero precipitosamente abandonate. Infine, rare tavolette singole sparse sono state trovate sui pavimenti del Quartiere Meridionale, lontano dalle sale d’archivio della Corte delle Udienze e del Quartiere Amministrativo che probabilmente erano state lasciate in consultazione
L’argomento delle tavolette è estremamente vario. Se la grande maggioranza di documenti è di genere economico e amministrativo, una percentuale minore comprende testi di carattere lessicale, giuridico, epistolare, rituale e letterario. Ed è proprio questa straordinaria varietà uno dei motivi della grande importanza storica dei documenti economici di Ebla: si va dai rendiconti mensili di distribuzione dei tessuti, ai capi d’abbigliamento e di manufatti metallici, alle registrazioni di entrate di grandi quantità di bestiame ovino e bovino suddivisi per villaggi o unità produttive e ai documenti relativi alle attività agricole concernenti soprattutto la semina, dalle registrazioni parziali di entrate e uscite per lo più di metalli in relazione a centri vassalli o alleati, ai giganteschi riepiloghi annuali di consegne dei prodotti della metallurgia, dagli elenchi di ampi gruppi di dipendenti dell’amministrazione palatina ai rendiconti mensili delle offerte, per lo più animali, agli dèi e ai templi.
La scrittura utilizzata nelle tavolette è il sistema cuneiforme classico creato dai Sumeri attorno al 3000 a.C. nelle prime fondazioni urbane della Mesopotamia meridionale, per soddisfare le esigenze della complessa amministrazione riguardo le eccedenze alimentari che le comunità contadine inviavano al tempio o al palazzo, e riguardo alla redistribuzione di queste eccedenze a coloro che lavoravano al servizio di queste grandi organizzazioni.. Dunque, le terminologie amministrative e i criteri contabili, adottati dalla cancelleria di Ebla sono senz’altro quelle ormai sperimentate e canonizzate durante il periodo protodinastico nei paesi di Sumer e di Akkad, anche se sembra accertato che i criteri delle registrazioni di Ebla, e più in generale della sua amministrazione, riflettono una serie di particolarità specifiche dei centri settentrionali della regione di Akkad e con ogni probabilità dei medi corsi dell’Eufrate e del Tigri.
Anche se però la scrittura è quella sumerica, la lingua non è il sumerico, ma una lingua semitica molto arcaica. E nei testi non troppo schematici e sintatticamente più articolati, quali epistole, ordinanze, rituali, verdetti, incantesimi, inni, questa diversità emerge molto chiaramente. La lingua degli archivi, che ormai per comune consenso viene definita «eblaita» a indicare la sua sostanziale autonomia, è un’antichissima lingua semitica anteriore alla canonizzazione del paleoakkadico determinata dalla cancelleria reale della dinastia di Akkad. Pur avendo con quest’ultimo molti elementi in comune, è una lingua indipendente per diverse particolarità che la rendono molto simile a quella dei rari documenti redatti in lingua semitica nella Mesopotamia della metà del III millennio a.C.
Uno dei maggiori tesori epigrafici degli archivi di Ebla è costituito dai numerosi testi lessicali, che sono, in prevalenza, liste di parole sumeriche, spesso suddivise per categorie. Così vi sono liste di nomi di pesci, di uccelli, di alberi, di mestieri, certo trascritte a Ebla da originali sumerici della Mesopotamia meridionale.
Sebbene le liste lessicali sumeriche di Ebla, per il loro spesso ottimo stato di conservazione, siano già un contributo rilevante alla filologia sumerica, un valore eccezionale – perchè si tratta di testi unici – hanno le liste lessicali bilingui, che altro non sono che liste canoniche sumeriche accompagnate dalla rispettiva traduzione eblaita. Questo straordinario tesoro, che è stato giustamente definito come il più antico vocabolario bilingue della storia dell’umanità, è di significato eccezionale perché ha tramandato la traduzione eblaita di circa millecinquecento parole sumeriche. Il fatto che proprio a Ebla la cancelleria reale abbia curato la redazione di queste liste bilingui non deve destare meraviglia, perché Ebla è il più antico importante centro storico finora conosciuto, al di fuori della Mesopotamia meridionale dove il sumerico era parlato correntemente, in cui sia stata adottata la scrittura cuneiforme, creata appunto per scrivere il sumerico, allo scopo di esprimere una lingua con una struttura profondamente diversa.
Gli archivi di Ebla hanno permesso di ricostruire un sistema politico notevolmente diverso da quello mesopotamico. A capo dello stato è un «re» che porta il titolo di en «signore»: si è proposto che la durata di questa carica sia limitata nel tempo con una durata sette anni, ma rinnovabile (tanto che sono attestati regni della durata di venti/trent’anni, dunque di durata generazionale normale); che si tratti di carica elettiva è però pura ipotesi ed anche molto improbabile. Accanto al re un ruolo particolarmente importante è svolto dal «gran visir» (o capo dell’amministrazione lugal-sa-za), almeno per quanto riguarda la gestione patrimoniale e l’organizzazione del commercio; mentre il ruolo della regina, che rimaneva in funzione («regina madre») anche dopo la morte del re suo marito, è molto simile a quello del marito e quindi riguarda soprattutto aspetti politici, diplomatici e cerimoniali. Le funzioni cultuali infatti erano svolte dalla coppia reale in quanto ad Ebla mancava una struttura templare indipendente dal palazzo. Ma soprattutto il re era affiancato da un gruppo di «anziani» (abba), che nell’esercizio delle loro funzioni amministrative portano il titolo di lugal – lo stesso titolo che in Mesopotamia vale «re» mentre a Ebla significa qualcosa come «governatore».
Fra i testi degli archivi di Ebla con più rilevante valore storico vanno ricordati il rapporto sulla spedizione militare in alta Mesopotamia e forse in alta Siria del re di Mari, Enna-Dagan. Ma di straordinaria importanza è senz’altro e soprattutto il trattato di Ebla e l’ancora non identificata città di Abarsal, un importante centro, forse sull’Eufrate. Questo testo eccezionale, il più antico trattato internazionale che ci sia pervenuto, anteriore di alcuni decenni a quello tra Akkad e l’Elam stipulato da Naram-Sin, nipote di Sargon, comprende tutta una serie di clausole concernenti materie di commercio fluviale, di estradizione di rifugiati, di pene per criminali, in cui Ebla ha una posizione privilegiata rispetto all’altra città contraente.
Di particolare importanza perché gettano un luce insperata sulla più antica religione della Siria, finora avvolta nell’oscurità più completa, sono da un lato le liste di offerte mensili ai maggiori templi e agli dèi di Ebla da parte del re, della regina, di principi, di sacerdotesse e di dignitari e, dall’altro, alcuni inni a grandi divinità e un’ampia collezione di incantesimi, in parte in sumerico e in parte in eblaita, che si inquadrano in una tradizione mesopotamica ben nota.
Il pantheon di Ebla sembra essere stato dominato da un’enigmatica figura divina, Kura, che appare il maggiore dio della città, di cui molto stranamente si è persa ogni traccia nella più tarda tradizione religiosa della Siria. Un’altra grande divinità eblaita assai venerata, che sembra doversi leggere Idabal o Idakul, è quasi altrettanto misteriosa benché sia stata considerata, con qualche ragione ma non definitivamente, da alcuni un dio lunare e da altri una personificazione – o meglio ipostasi – di Hadad, il grande dio delle precipitazioni atmosferiche. Altri dèi importanti documentati dalle liste sono, invece, ben nnoti nella tradizione religiosa siro-palestinese più recente: Dagan, un dio della fertilità signore di tutta l’area siriana settentrionale secondo gli akkadi; Adda, scrittura arcaica dello stesso Hadad; Ishkhara, un grande dea ctonia della fertilità naturale; Rashap, il dio degli inferi; Shamash, il dio solare; Damu, che a Ebla sembra essere stato il patrono della dinastia regnante e che potrebbe essere una forma arcaica di Dumuzi-Tammuz, l’Adonis dell’età classica; Ishtar, una dea astrale signora del pianeta Venere che presiede alla guerra e alla fecondità; e infine Kamish, un dio forse della vegetazione che ricompare dopo oltre un millennio come dio nazionale dei moabiti sotto la forma Kemosh.
Gli incantesimi sono brevi composizioni rituali di grande interesse, che comprendono usualmente una breve parte allusiva a un mito e un più ampio scongiuro contro le forze del male, per contrastare situazioni negative come i morsi di insetti o di serpenti o malanni fisici, come il mal di denti. L’accostamento tra la sintetica ed ellittica rievocazione dell’episodio mitico e la siuazione sfavorevole da correggere è naturalmente la base stessa dell’efficacia dello scongiuro. I pochissimi inni religiosi presenti negli archivi di Ebla sono di eccezionale significato: tra questi è infatti conservata la più antica composizione letteraria semitica di una certa ampiezza – un centinaio di versi – mai pervenuta fino a noi: è una celebrazione poetica di Shamash, il grande dio solare, esaltato come dispensatore di vita, signore della giustizia e soprattutto guida sicura negli avventurosi e rischiosi viaggi commerciali in contrade remote alla ricerca di metalli e pietre preziose.