Dopo il crollo della civiltà micenea, il volto della Grecia si trasformò notevolmente. Mentre (per quanto ci è dato di sapere) il mondo miceneo era stato sostanzialmente unitario, nel senso che la cultura e la vita sociale erano praticamente identiche nei diversi regni, dopo la sua fine, le regioni della Grecia, iniziarono a disgregarsi ed isolarsi, indebolendosi notevolmente. Questo fenomeno fu in parte determinato dalle specifiche condizioni geografiche della regione: la Grecia infatti, estrema propaggine della penisola balcanica, è una terra montagnosa e brulla, dove le poche zone coltivabili sono tra loro separate da montagne inaccessibili. In assenza di un forte potere centrale come era stato quello dei regni micenei, non potevano che prevalere dunque gli elementi di divisione. Le antiche città micenee come Pilo e Micene scomparvero dalla storia. La maggioranza della popolazione, che si era ridotta drasticamente (come sembra apparire dalla diminuzione del numero delle tombe ritrovate), si raccolse in piccoli villaggi sparsi sul territorio. L'economia si impoverì e non fu più in grado di alimentare il commercio internazionale. Non solo, il livello culturale dei popoli greci decadde notevolmente e, fino al momento in cui adottarono l'alfabeto fenicio (dopo l'800 a.C.), i Greci non scrissero più. Scomparsi gli scribi, erano scomparse le uniche persone che conoscevano la scrittura, che era stata usata per le necessità economiche e burocratiche dei palazzi micenei, ma ormai era divenuta inutile alle piccole comunità di villaggio di questo periodo.
Per tutti questi motivi, il periodo intercorrente tra i secoli XI e VIII a.C., fra l’esaurirsi della civiltà micenea e il sorgere di quella greca, è stato detto, impropriamente «medioevo ellenico», volendo con questa definizione, indicare un’età oscura, barbara, di decadenza, con un paragone, fin troppo evidente, con il medioevo europeo. Ma, come da un pezzo è ormai superato il pregiudizio di una barbarie del nostro medioevo così non possiamo dare giudizi sommari e spregiativi sul medioevo ellenico, che è piuttosto un periodo di formazione, durante il quale si verificarono alcuni fenomeni molto importanti dal punto di vista storico, sociale e culturale: l’introduzione in Grecia della scrittura alfabetica appresa dai Fenici; l’avvio della colonizzazione greca nel Mediterraneo; la nascita della città-stato greca, la polis.
Possiamo infatti affermare che il mondo greco dall'VIII secolo a.C. in poi è il frutto non di Micene, ma di questo cosiddetto «medioevo». Quindi, per quanto poveri in confronto ai loro ricchi antenati, furono proprio i greci di questo periodo che gettarono le basi della nuova società greca, innovando sul piano tecnico, sia nell'ambito della ceramica che in quello della metallurgia, lavorando il ferro, metallo assai raro in epoca micenea.
Fu probabilmente un enorme sviluppo della lavorazione del ferro, ora utilizzato non più esclusivamente per gioielli e ornamenti ma anche per utensili e armi, che migliorò, accelerandola, la qualità della vita in molti settori. In questo modo la popolazione della Grecia poté subire un incremento a partire dalla fine del X secolo a.C. quando i siti occupati diventarono più numerosi.
I miglioramenti ottenuti nel campo metallurgico favorirono, probabilmente, il passaggio su vasta scala dalla pastorizia all’agricoltura con l’aratro, e la produzione alimentare aumentò sensibilmente. Tra il IX e l'VIII secolo a.C. in molti siti greci comparvero i primi silos per cereali.
In questa situazione più stabile e sicura si verificarono durante l'VIII secolo a.C. tutta una serie di importantissimi cambiamenti. Innanzitutto, la fine dell'isolamento: i Greci ripresero i contatti commerciali e culturali con il Vicino Oriente, specie attraverso gli insediamenti in Ionia e i mercati portuali (emporia), fra cui su tutti Al Mina, che gli Eubei, per primi, avevano stabilito sulla costa della Siria settentrionale. Questi rapporti furono di fondamentale importanza per la vita economica e sociale della popolazione greca: non solo infatti causarono un indubbio arricchimento, ma permisero l'acquisizione di una tecnica d'importanza capitale come la scrittura alfabetica appresa presso i Fenici.
Assistiamo in questo periodo anche alla nascita dei primi grandi santuari che nei secoli a venire svolgeranno un ruolo politico fondamentale: all'interno di essi infatti verranno organizzati i grandi giochi che con il loro carattere panellenico contribuiranno a controbilanciare il particolarismo delle varie città stato.
La crescita demografica, che nell'VIII appare alquanto spettacolare, causò, come ci ricordano le fonti, una «carenza di terre» anche se a noi mancano dati concreti. Questo avrebbe spinto un enorme numero di Greci, in molte città, ad emigrare oltremare. Da questo secolo, iniziò infatti una straordinaria espansione dei Greci in tutto il Mediterraneo: decine di nuove città sorsero dalle coste della Francia meridionale (Marsiglia) a quelle dell’Africa (Cirene); ma furono soprattutto le terre dell’Italia meridionale e della Sicilia a conoscere i principali insediamenti greci. Questa è conosciuta come l’«era della colonizzazione».
Ma tutti questi elementi, ripresa dei contatti con l'Oriente, acquisizione della scrittura, nascita dei grandi santuari e colonizzazione fanno da sfondo a quello che è il principale fenomeno politico e sociale della fine dell'Età del ferro: la nascita della polis. Il modo e il momento in cui la polis nacque nel mondo greco sono oscuri e, data la natura del fatto, non possono non esserlo.
La polis è la caratteristica fondamentale della Grecia classica, quella creazione che ne rappresentò un motivo di orgoglio supremo, il segno distintivo, ma anche la causa e l'origine dello splendore e della miseria della sua storia. È naturale pertanto che sulla polis, sulla sua origine, sulle sue istituzioni, sui suoi ideali, sui suoi rapporti con le altre poleis, sulla sua decadenza, si sia concentrata da sempre l'attenzione degli studiosi. A lungo si è dibattuto il problema della sua origine. Gli antichi parlavano di synoikísmos o synóikisis, cioè di unificazione sotto un’unica capitale. E questo poteva avvenire per varie e diverse vie. Un gruppo di villaggi poteva amalgamarsi materialmente per formare un’unica città, come fu il caso, ad esempio, di Sparta e Corinto, creando un centro urbano intorno a cui ruotasse una popolazione fino ad allora variamente disseminata. Oppure i villaggi potevano restare dov’erano, accettando consensualmente uno di loro come centro comune, così da farne la metropoli; che è quanto avvenne nell’Attica, dove lo sviluppo di Atene non soppresse i villaggi del territorio, ma li subordinò alla nuova unità urbana. Alcuni hanno ritenuto che la polis fosse lo sviluppo naturale del ghenos, della fratria, della tribù e delle loro istituzioni fondate tutte sulla religione domestica. Altri studiosi ritengono che sia stata la crescita demografica a rendere necessaria una struttura più ordinata e complessa della vita sociale. Snodgrass e altri ritengono che i Greci abbiano tratto ispirazione dalle città orientali, in particolare da quelle fenicie. Numerosi elementi sembrano andare in questa direzione: indipendenza di ognuna di esse, esistenza di un consiglio presso il re, dinamismo del commercio e della colonizzazione, presenza di grandi santuari dove affluiscono i pellegrini stranieri ecc.
L'una e l'altra ipotesi non si escludono a vicenda e possono apparire valide, di volta in volta, quando si tratta di stabilire l'origine di una città particolare. Il problema generale appare, però, assai più complesso. Il problema dell'origine della città greca, infatti, non va affrontato esclusivamente considerandolo come la nascita di un agglomerato urbanistico, ma soprattutto come la nascita di una concezione particolarissima, cioè quella della polis, che è un'entità politica e morale, un'unità armonica di uomini prima che un agglomerato di case.
Non c'è dubbio che l'urbanistica aveva nella città greca una sua importanza: certi elementi urbanistici furono certamente componenti comuni della polis greca e di essa peculiari e distintivi: l'acropoli, sede dei culti cittadini, l'agorà, luogo di incontri per scambi commerciali e per assemblee politiche, le mura, di cui, dal VI secolo in poi cominciarono a cingersi le città più importanti. E l'analisi di questi elementi urbanistici permette di risalire alla struttura e alle idee della società che di essi si serviva, ma la polis non si esaurì mai nella sua acropoli, nella sua agorà, nelle sue mura e poté persino esistere indipendentemente da tutte queste cose. Significativo è il fatto che nel 411 a.C. gli Ateniesi non si identificavano con la città governata dall'aristocrazia, ma con la flotta di stanza a Samo dove si trovava il nerbo del demos. In effetti il termine stesso di polis in greco non esprime esclusivamente il centro urbano: è vero che originariamente il termine indicò l'acropoli, la parte alta della città, distinta dall'asty la parte bassa di essa (in questo senso polis è usata spesso nei poemi omerici), ma presto questa distinzione andò perduta e polis finì per significare non solo la città, alta e bassa, ma anche tutto il suo territorio (città e campagna): significò cioè ogni territorio che costituisce nella sua interezza un'unità statale. Questo uso del termine è molto antico: lo ritroviamo già in Omero (Il. 14, 230: applicato a Lemno) ed Aristotele non esita ad applicarlo all'intera Tessaglia e all'intera Creta, intese come unità politiche.
La polis è dunque essenzialmente per i Greci una unità statale, una comunità di uomini liberi retti dalla legge: una comunità di cittadini interamente indipendente e sovrana sui cittadini che la compongono, cementata da culti e retta da nomoi. Non è veramente polis, da questo punto di vista, l'unico valido se vogliamo cogliere ciò che distingue la polis greca dalle altre città del mondo antico e moderno, una città governata da un monarca o da un tiranno.
L'autonomia e l'eleutheria, la piena sovranità all'interno e la piena indipendenza all'esterno (cioè dagli altri stati), sono i suoi ideali e i suoi segni distintivi: in essi si riassume tutta la vita e solo nella misura in cui essa diviene consapevole di questi ideali, può essere considerata polis nel senso vero della parola. È evidente dunque che la polis greca prima di essere una realtà urbana, è un concetto: in questo senso è dunque ancora più difficile comprendere la sua origine.
Le poleis non si affermarono ovunque: in quelle regioni della Grecia dove mancavano o erano scarse, si affermarono gli ethne (o koina), cioè «stati federali» in cui vivevano in uno stadio inferiore di vita organizzata popolazioni a struttura tribale (fondata su vincoli etnici e territoriali) sparse in villaggi o piccole poleis su estesi territori che impedivano l'affermarsi di un centro preponderante, e dai legami politici deboli. Gli ethne, che si fondavano sulla sympolitia cioè sull'esistenza di istituzioni comuni, erano caratteristici dell'arcaismo, ma rimasero anche in età classica ed ellenistica, la struttura politica degli Etoli, degli Achei, degli Acarnani, degli Arcadi, dei Beoti, dei Tessali, dei Focesi, dei Locresi e in generale di quella «Grecità periferica» alla quale si è rivolta da non molto tempo l'attenzione degli studiosi.
Dobbiamo dire che, in tutti questi stati il vincolo federale è molto debole, nel senso che non appena una o più poleis si rafforzavano, l'unità federale entrava in crisi: la lotta delle città tessale che minò nel V e nel IV secolo l'unità e l'esistenza stessa del koinon tessalico, e i continui tentativi di Tebe, che si ergeva a città dominante, di trasformare in una lega egemonica l'originaria struttura del koinon beotica, rappresentano gli esiti estremi di questo processo.
Ma gli ethne svolsero, in età arcaica, un ruolo molto importante dando vita al primo esperimento panellenico, cioè al primo tentativo di creare al di sopra delle frontiere dei singoli stati greci una comunità panellenica ed una possibilità di coesistenza pacifica: l'Anfizionia delfico-pilaica che fu un'associazione di ethne. Col termine anfizionia i Greci indicavano una lega di popoli vicini a scopo di culto e di difesa di un santuario comune. Quella delfico-pilaica fu quella che si costituì attorno al tempio di Demetra ad Antela presso le Termopili, che, aggregò dal 590 a.C. il santuario delfico di Apollo: da qui il nome. Di essa ne facevano parte tessali, beoti, dori, ioni, perrebi, dolopi, magneti, locresi, eniani del monte Eta, achei ftiotici, maliaci e focesi. Compiti fondamentali dell'Anfizionia, a noi noti dal giuramento anfizionico, conservatoci da Eschine e da un testo epigrafico del IV secolo, erano l'amministrazione e la sorveglianza del santuario, la manutenzione e la sicurezza delle strade che conducevano a Delfi, la cura del territorio sacro (che non doveva essere coltivato), la punizione con multe, con espulsione dal santuario e dall'Anfizionia e, in certi casi, con la guerra («guerra sacra» degli eventuali violatori delle norme anfizioniche. Multe, espulsioni, guerre sacre erano decisioni spettanti al sinedrio, composto dai rappresentanti delle città alleate. Questo non impedì agli stati più forti di controllare l'Anfizionia, legando a sé i membri minori e influendo sull'orientamento politico della lega: per esempio, nel secolo VI prevalse la Tessaglia, mentre nel 346 a.C. Filippo II di Macedonia riuscì a strumentalizzarla ai suoi fini espansionistici.
Tornando alle poleis, dobbiamo dire che secondo la tradizione, esse erano inizialmente governate da un monarca (basileus), a volte affiancato da un consiglio degli anziani (gerousia). Tuttavia col passare del tempo, i monarchi della Grecia, là dove esistettero, non si mostrarono più in grado di conservare il potere autocratico minacciato dalla competizione dei nobili. Questi nobili, pertanto, attraverso varie fasi (ad esempio, se il re si dimostrava incapace in tempo di guerra), ne indebolirono gradualmente l’autorità e giunsero alla fine ad assumerne le funzioni, trovando più opportuno spartirsi vicendevolmente il potere anziché combattere ciascuno contro tutti gli altri per un regno autocratico che aveva comunque fatto il suo tempo. Il governo dei nobili prese il nome di aristocrazia, cioè ‘governo dei migliori’ (dal greco aristoi = migliori, kratos = governo). L’aristocrazia era dunque una forma di governo in cui il potere era nelle mani di un gruppo di uomini che si ritenevano uguali fra loro, ma ‘migliori’ rispetto a tutti gli altri e perciò in diritto di esercitare le funzioni di governo. Gli aristocratici traevano la loro forza dalle ricchezze, che avevano accumulato sfruttando le loro proprietà terriere in campagna. Essi non si occupavano direttamente della gestione delle tenute agricole, che facevano coltivare da contadini e che controllavano attraverso uomini di fiducia, ma si limitavano a vivere di rendita e a godere dei profitti che il lavoro dei contadini procurava loro: avevano a disposizione insomma denaro e tempo che potevano dedicare completamente all’esercizio delle armi e all’amministrazione delle città in cui vivevano. Sapevano inoltre cavalcare, e possedevano cavalli, dove questi erano disponibili, così che Aristotele definisce alcuni dei primi regimi aristocratici come «costituzioni di cavalieri».
Ad un certo punto, a partire, diciamo, dal VII secolo, sembra che questa società abbia attraversato una crisi o piuttosto una serie di crisi che portarono ad importantissimi cambiamenti nella fisionomia politica e sociale del mondo greco. Gli storici moderni sono soliti individuare le ragioni di questa crisi nell'espansione commerciale e in importanti modificazioni delle tecniche di guerra.
La colonizzazione produsse un periodo di grande espansione economica: infatti tra madrepatria (metropolis) e colonie, che dalla prima si resero subito indipendenti, si sviluppò un fitto scambio di merci, indirizzato nello stesso tempo anche verso le popolazioni confinanti. Così, in questo periodo, si sviluppò una classe economica che potremmo definire «media»: artigiani che producevano manufatti di uso comune e di lusso (soprattutto vasi decorati, di raffinata bellezza), marinai, armatori e mercanti.
Questi ceti emergenti, che acquisivano un ruolo di primo piano, incominciarono a pretendere di aver maggiore peso in fatto di decisioni politiche. La ripresa economica delle città greche, era dovuta principalmente al loro lavoro: essi erano ben coscienti della loro importanza e mal tolleravano di essere sottomessi agli aristocratici.
Nel frattempo però un’altra trasformazione rendeva sempre più precario il predominio dei nobili: l’innovazione dell’esercito. Con la nascita della polis era nato anche il problema di difenderla e quindi di possedere una superiorità numerica, in fatto di combattenti, rispetto all'avversario. Questo però era possibile solo se si apriva l'esercito a tutti coloro che erano in grado di acquistare gli armamenti. Dunque se in precedenza il nucleo più importante dell'esercito era stato la cavalleria, formata dai nobili che soli potevano comperare oltre all’armatura anche il cavallo, ora acquistò maggior rilievo la fanteria, formata appunto da mercanti, artigiani e piccoli proprietari che avevano sufficienti ricchezze per acquistare la corazza di bronzo, la spada di ferro, l’elmo e lo scudo rotondo di legno e di cuoio (hoplon, da cui il nome di opliti che veniva dato a fanti così armati). In battaglia gli opliti si disponevano l’uno a fianco dell’altro, secondo uno schieramento rettangolare che era protetto sui quattro lati da una barriera di scudi, portati dai fanti delle file esterne. Questa formazione compatta, detta falange, divenne il nucleo di tutti gli eserciti greci e si rivelò un’arma formidabile sia per attaccare sia per respingere gli attacchi nemici. La difesa della città dunque non veniva più garantita solo dai nobili, ma anche dal popolo e soprattutto dalle classi medie che avevano denaro per procurarsi l’equipaggiamento militare. Ben presto queste chiesero che la loro forza militare si trasformasse in forza politica e che gli aristocratici cedessero parte del loro potere. Come sempre nel mondo antico l'entità del contributo militare, l'apporto personale alla difesa comune, favorì l'ascesa della classe che tale contributo forniva.
Il conflitto sociale era dunque inevitabile: da una parte l’aristocrazia e dall’altra le nuove classi emergenti (mercanti, artigiani, piccoli proprietari). Alle rivendicazioni di queste ultime si unirono anche coloro – e non erano pochi – che non avevano tratto alcun vantaggio dalla ripresa economica e che vivevano ai margini della società, senza fonti sicure di reddito e spesso carichi di debiti. La coalizione antiaristocratica ebbe successo e, attraverso ribellioni violente, nella maggior parte delle poleis, il potere passò quasi dovunque nelle mani dei tiranni. I tiranni (così chiamati da una parola greca che in origine significava semplicemente ‘signore’, ma che fu poi usata per indicare chi si impadroniva del potere al di fuori delle leggi dello stato) solitamente erano degli aristocratici, passati però dalla parte del popolo, di cui avevano saputo conquistarsi l’appoggio. In genere i tiranni furono politici abili e saggi che attuarono una politica favorevole al demos: finanziando e spesso capeggiando la rivolta contro i nobili, essi acquisirono quei meriti che li portarono al governo. Distribuirono ai contadini le terre confiscate agli aristocratici, incoraggiarono i commerci e le colonizzazioni. Si diedero anche molto da fare per accrescere la bellezza e il prestigio delle poleis e per rendere migliore e più comoda la vita dei concittadini. Furono per lo più governanti pacifici e non si imbarcarono in imprese militari, che certamente avrebbero loro sottratto il favore del popolo. Malgrado la loro politica però i tiranni non resistettero per molto tempo al potere; il popolo non tollerò a lungo che le funzioni di governo fossero nelle mani di un unico individuo: esso infatti intendeva esercitare direttamente il potere strappato ai nobili. Quando i tiranni tentarono di prolungare troppo la loro carica, o addirittura di trasformarla in una vera e propria monarchia, furono inesorabilmente rovesciati, a uno a uno, da ribellioni popolari. Alla caduta dei tiranni in alcune poleis seguì l’instaurazione di un governo democratico; in altre, invece, gli aristocratici ripresero nuovamente il potere e ripristinarono gli antichi regimi.
Non tutte le città conobbero, almeno per questo primo periodo, la tirannide in quanto fecero ricorso all'opera di legislatori, il cui compito era quello di redigere testi atti a definire i diritti e i doveri dei membri della comunità e, in definitiva, a riportare la pace in seno alla polis. Così alle vecchie leggi fondate sulla tradizione orale e soggette all'arbitraria interpretazione dei giudici (sempre ed esclusivamente appartenenti alla classe aristocratica), si sostituirono le prime leggi scritte. I più antichi legislatori appartennero alle colonie: Zeleucro di Locri, Caronda di Catania, Diocle di Siracusa; nella madre patria, i legislatori più famosi furono Dracone e Solone ad Atene, Licurgo a Sparta. La storicità di questi legislatori, fatta eccezione per Dracone e Solone, è spesso contestata: per alcuni di essi è stata addirittura avanzata l'ipotesi che si trattasse di antiche divinità e che l'attribuzione ad esse delle leggi avesse lo scopo di dare a queste leggi, magari elaborate in età relativamente recenti, la forza e l'autorità di un'antica tradizione