Al periodo di Gemdet Nasr, segue il periodo Proto-Dinastico così chiamato perché ricostruibile non solo sulla base di un'accresciuta documentazione archeologica, ma anche e per la prima volta sulla base di testi sufficientemente espliciti, dapprima solo di carattere amministrativo ma alla fine del periodo anche di carattere storico-politico e giuridico, che ci permettono di conoscere le vicende delle dinastie reali di alcune città mesopotamiche.
Il periodo Proto-Dinastico (detto anche Dinastico Antico) si articola in tre fasi: Proto-Dinastico I (ca. 2900-2750), Proto-Dinastico II (ca. 2750-2600) e Proto-Dinastico III a sua volta suddiviso in IIIa (ca. 2600-2450) e in IIIb (ca. 2450-2350).
Il processo di urbanizzazione iniziato nel periodo di Uruk continuò a svilupparsi dando i primi concreti risultati: la regione di Sumer, la Babilonia, le grandi valli del Tigri e dell'Eufrate, la zona pianeggiante del Khabur si ricoprirono di città. Anche la Siria, a lungo ritenuta estranea a questo fenomeno di urbanizzazione, ha dimostrato splendidamente, grazie alla scoperta di Ebla, di essere stata coinvolta (vd. cap. IV). Questo processo ha avuto quindi grande estensione e costituisce un elemento caratteristico dell'epoca protodinastica.
Rispetto alla preminenza e al relativo isolamento di Uruk nei periodi precedenti, nel Proto-Dinastico (soprattutto nelle fasi II e III) si assiste dunque ad un accentuato policentrismo, con una serie di città-Stato di dimensioni e potenzialità equivalenti, ed in rapporto competitivo fra di loro soprattutto per il controllo delle acque che diventa sempre più importante a causa di un ulteriore inaridimento del clima (abbiamo visto l'importanza dell'agricoltura nella costituzione delle città).
Le città documentate archeologicamente, e in qualche caso, come detto, anche da testi scritti, di questo periodo sono: a sud, Uruk e il vecchio centro di Eridu, cui si affianca l'emergente città di Ur che col tempo diventerà il sito guida della Mesopotamia subentrando alla stessa Uruk; a oriente, su un nuovo ramo del Tigri che si è costituito in seguito ad un cambiamento del corso del fiume all'inizio del III millennio, Lagash e Umma; nelle zone centrali della bassa Mesopotamia, Adab, Shuruppak, Nippur (la città santa per eccellenza essendo sede del dio Enlil, la divinità più importante del pantheon sumerico) Kish ed Eshnunna; molto pìù a nord, ma sempre di cultura basso-mesopotamica i centri urbani di Assur (sul Tigri) e Mari (sull'Eufrate) la cui rilevanza politica si farà sentire soprattutto nel II millennio.
Grazie non solo alla documentazione archeologica, che comunque rimane preponderante, ma anche a quella testuale, sappiamo che in periodo Proto-Dinastico si accentuano le differenze, già evidenti o per lo meno potenziali nel periodo tardo-Uruk, tra il nord e il sud della Mesopotamia. Dall'archeologia sappiamo che le città del nord possono contare su un approvvigionamento idrico più costante poiché la portata dei fiumi nel nord non si modifica eccessivamente e questo porta ad un aumento in quest'area degli insediamenti agricoli. Nel sud si ha invece una minore disponibilità idrica che aumenta la necessità di realizzare canali i quali però non sempre riescono a sopperire la richiesta di acqua e quindi si assiste ad una diminuzione costante degli insediamenti agricoli: per fare un esempio nel territorio di Uruk si passa dai 62 villaggi del periodo tardo-Uruk ai 29 del periodo Proto-Dinastico. Si assisterà dunque ad una tendenza (di lunga durata) verso uno spostamento progressivo a nord delle aree privilegiate (con inevitabili crisi delle zone più a valle), in attesa di una unificazione politica e progettuale dell'intero alluvio, che avverrà forse troppo tardi per evitare la crisi dei centri più meridionali.
Dalla documentazione scritta sappiamo che nel nord il tempio è, ovviamente, nella prima fase (Gemdet Nasr e Proto-Dinastico I) sempre il riferimento politico-amministrativo più importante, ma non ha quel ruolo totalizzante che sembra invece mantenere nel sud mesopotamico dove sembra lasciare meno spazio alla popolazione «libera».
Sempre dai testi siamo a conoscenza di una evidente differenza etnico-linguistica tra il sud e il nord della Mesopotamia: in entrambe le aree la lingua utilizzata è quella sumerica, ma nei testi che provengono dalle città del nord notiamo una maggiore presenza di nomi semitici (accadici). Non solo, semitici sono anche molti scribi e quindi questo ci documenta una presenza consistente, nei centri settentrionali, di gruppi di popolazione semitica, già in posizione sociale elevata.
Anche nel sud esiste una presenza chiaramente semitica testimoniata da tutta una serie di testi che presentano prestiti linguistici accadici riguardanti essenzialmente termini riferiti a funzioni di mobilità e di controllo come «sovrintendente» o «mercante». Ma in questi stessi testi, oltre a prestiti accadici, vi sono numerosi termini definiti dagli studiosi proto o pre-sumerici, attribuiti ad una lingua di sostrato, che indicano evidentemente la presenza nel sud mesopotamico di popolazioni diverse dai Sumeri e dagli Accadi: sono termini che si riferiscono tutti ad attività produttive di base, come il termine per «aratro», «fabbro» o «contadino». Tuttavia sumerici sono tutti i termini riferiti ad attività amministrative e a funzioni di alta specializzazione come «giudice» (di.cud), «medico» (a.zu) o «scriba» (dub.sar).
Quindi l'apparizione di testi scritti consente, come abbiamo visto, sia di fare importanti considerazioni sulla struttura economica ed organizzativa del paese mesopotamico, sia di avere delle informazioni più dettagliate sulla consistenza sia numerica, ma anche sociale, delle varie popolazioni che lo abitano.
Quello che non possiamo stabilire con certezza, per il momento, è l'origine di queste popolazioni.
Sempre grazie alla documentazione testuale sappiamo anche che ogni città è governata da un dinasta locale, la cui titolatura, che varia da città a città, ci permette di far luce, sia pure in parte, sul quel problema centrale della storia del Vicino Oriente Antico rappresentato dal rapporto tra il potere templare e quello palatino.
Ad Uruk si usa il termine en che significa «sacerdote», mentre a Lagash si usa il termine ensi che significa «fattore (del dio)», amministratore di fattoria, e come il precedente è legato all'ambito templare, nel senso che il sovrano è colui che gestisce la grande fattoria, cioè la città, in nome del vero proprietario che è il dio. A Kish e a Ur il capo della città porta il nome di lugal che è l'unico dei tre che significa propriamente «re», ed è composto da due parole lu che ha il significato di «uomo» e gal che ha il significato di «grande». Lugal è dunque l’«uomo grande», colui che abita la «casa grande» (la é-gal) ed è un termine che rompe evidentemente una tradizione, in quanto non mette in evidenza il rapporto tra l’uomo e la divinità, tra il capo e la divinità, ma vuol sottolineare le capacità di colui che viene investito di questo nome che è l’uomo più grande degli altri. Non è un caso che questo termine compaia per la prima volta a Kish e a Ur. Kish è vicina a Gemdet Nasr, dove è sorto il primo palazzo di cui si abbia conoscenza e dove la componente laica è quindi più forte che altrove. Ur è la città del famoso cimitero reale che mostra una esaltazione del culto della personalità dei sovrani mai attestata né prima né dopo in Mesopotamia: oltre al suo grandioso sfarzo, questo cimitero conserva, all’ingresso, le sepolture di ben 60 guardiani deposti insieme ai loro sovrani.
Il termine lugal sarà il termine che si affermerà soprattutto dall’epoca di Accad in poi e che verrà assunto da tutti quei capi di città che sono più importanti degli altri, che vincono in guerra contro gli altri.
Nel vecchio Sumer, malgrado l’emergere della figura dei sovrani, l'utilizzazione di questi diversi titoli ci fa capire come il contrasto tra il potere politico-religioso e il potere politico-palatino, non sia mai risolto in maniera chiara o comunque univoca, visto che in alcune città prevale l'uno e in altre l'altro. La convivenza delle due istituzioni nella stessa città crea una conflittualità che caratterizzerà tutta la storia mesopotamica.
L’unica area del Vicino Oriente che rimarrà esente da questa conflittualità sarà l’Anatolia, in quanto i sovrani ittiti saranno sia signori del tempio che del palazzo, quindi sia capi politici che capi religiosi.
Per il periodo in questione siamo in grado, come già accennato, di ricostruire le vicende di alcune città e di alcuni personaggi grazie ancora una volta alla documentazione scritta rappresentata essenzialmente da iscrizioni coeve e dalla cosiddetta «Lista Reale Sumerica». Quest’ultima è un componimento storico-letterario che venne redatto, nella forma che conosciamo meglio, poco dopo il 2000 a.C., e che enumera i re che governarono la Mesopotamia dai tempi primordiali fino ai re della III Dinastia di Ur e alla dinastia che governò la città di Isin a partire dal 2000 a.C. (dalla quale venne redatta)
L’idea centrale della Lista è che la sovranità sia una specie di dono divino, attribuito dalle divinità solamente ad una città per volta; e che alla caduta di una città il potere venisse immediatamente conferito ad un altro centro. Un’idea che evidentemente voleva legittimare le ambizioni dei sovrani di Isin alla supremazia sulla Mesopotamia ma che fa sì che la lista presenti omissioni, imprecisioni e contraddizioni.
Il primo re di cui abbiamo notizia da una iscrizione trovata a Kish è il lugal di questa città Mebaragesi (ca. 2630-2600 a.C.)che secondo la Lista Reale Sumerica è contemporaneo di Gilgamesh, definito come en di Uruk. Quindi nella Lista abbiamo la compresenza di personaggi reali come Mebaragesi, la cui storicità è confermata dalla suddetta iscrizione, e di personaggi mitici come Gilgamesh. Da qui la necessità di considerare la Lista come un documento storicamente valido, ma solo in misura parziale.
Dopo Mebaragesi abbiamo menzionato un altro re di Kish, Mesilim (ca. 2550 a.C.), noto dai testi di Lagash per l’arbitrato che avrebbe esercitato in una disputa riguardante un territorio ricco di pascoli e di colture (il gu-edinna) conteso fra la stessa Lagash e la vicina città di Umma, e la cui storicità è dimostrata da una testa di mazza conservata al Louvre, che nella parte centrale reca un’iscrizione con il suo nome (fig. 57). Mesilim dunque doveva godere di una posizione di privilegio, visto che è chiamato a svolgere un arbitrato da due contendenti che evidentemente vedevano in lui il detentore di una autorità maggiore. Per questo si ritiene che nella fase più antica del Proto-Dinastico la città di Kish esercitasse una sorta di supremazia sulle altre città sumeriche. E quindi non sembra un caso che il titolo di re di Kish rimanga nella tradizione sumerica e poi anche accadica, come il titolo di colui che ha il potere su tutta la bassa Mesopotamia. Anche Sargon come primo titolo avrà quello di re di Kish.
Sembra poi, sulla base dei grandiosi resti del cimitero reale di Ur, che l’egemonia sulla Mesopotamia sia passata successivamente nelle mani dei sovrani di Ur, di alcuni dei quali conosciamo i nomi, grazie al ritrovamento di alcune iscrizioni presso el 'Ubaid, come Mesannepadda e Aannepadda.
Meglio conosciuta è invece la storia della città di Lagash grazie ai testi recuperati a Tello e alla Stele degli Avvoltoi, che insieme ci documentano le vicende della contesa con la città di Umma a partire dal riferimento giuridico costituito dall'antico arbitrato di Mesilim, fino agli episodi più recenti. Il primo sovrano della città, che conosciamo, è Ur-Nanshe (2494-2465 a.C.) di cui conserviamo una placchetta (fig. 140) che lo ritrae nell’atto di accudire al tempio (un’attività tipica dei re di Lagash). Dopo di lui regnò Akurgal (2464-2455 a.C.) con il quale venne ripresa la contesa con la città di Umma, che diede vita ad una serie di conflitti durante uno dei quali lo stesso Akurgal perse la vita. Il sovrano successivo fu Eannatum (2454-2425 a.C.) che invece risultò vittorioso tant’è che l’ensi di Umma fu costretto a cedergli il territorio oggetto della contesa, il gu-edinna. Eannatum è il sovrano più famoso della città in quanto ci ha lasciato un testo iscritto su una stele, la cosiddetta Stele degli Avvoltoi, (figg. 144, 145, 146) uno degli esempi più belli dell’arte mesopotamica, che insieme alle rappresentazioni narra le vicende della guerra che portò a questa temporanea vittoria contro Umma.
Il successore di Eannatum, Enanatum I (2424-2405 a.C.) suo fratello minore, venne ucciso durante un'incursione dell’esercito di Umma nel territorio di Lagash. Il figlio di Enanatum, Entemena (2404-2375 a.C.) si alleò con la città di Uruk e riuscì a vincere in maniera definitiva la città di Umma, annettendosene probabilmente il territorio. Sembra dunque un momento di grande importanza per Lagash che però si esaurisce ben presto con la morte dello stesso Entemena. Sotto i suoi successori infatti la città subì un’evidente regressione a partire già dal regno di suo figlio, Enanatum II (2374-2365 a.C.) fino alla serie degli ensi, probabilmente dei grandi sacerdoti, con i quali il potere politico tornò nella mani della casta sacerdotale.
Di questi ensi conosciamo alcuni nomi come Enatarsi (2364-2359 a.C.) e Lugalanda (2358-2352 a.C.). Ma sicuramente il più famoso fu Urukagina (2351-2342 a.C.), noto come il primo riformatore dell’umanità. Egli represse gli abusi del clero sulla popolazione «restituendo agli dèi» ciò di cui si erano impossessati i suoi rappresentanti terreni e dando a ciascuno ciò che gli spettava con uno dei primi editti di remissione dei debiti documentato nel Vicino Oriente. La pratica, da parte dei sovrani, degli editti di remissione dei debiti diventerà molto diffusa, soprattutto in Mesopotamia e in Siria, dalla metà del III millennio fino alla fine del periodo paleo-babilonese (ca. metà del II millennio) ed è indizio di un’evidente crisi economica e sociale endemica che porta ad un impoverimento costante della popolazione che per rimediare ai debiti contratti arriva a perdere anche la propria libertà. Un fatto che, minando alle basi l’organizzazione dello stato, costringe i sovrani a prendere provvedimenti sempre più ampi per eliminare i debiti e liberare la popolazione dalla servitù. Questo però fino a che i grandi proprietari terrieri non assumeranno un forte potere politico che consentirà loro di inserire, nei contratti di prestito, delle clausole che renderanno inutile qualsiasi editto di remissione. A quel punto la crisi sociale diventerà irreversibile e sarà una delle cause principali del crollo dei grandi imperi orientali. I contadini, che facilmente si potevano indebitare a causa di guerre o di cattivi raccolti (dovuti per lo più alla scarsa piovosità), davano come garanzia prima il raccolto dell’anno successivo, poi la terra, poi la casa e infine le persone della famiglia come la moglie e i figli che arrivavano così a perdere la libertà. Ma in alcune aree, soprattutto siro-palestinesi, pur di non cambiare status, pur di non diventare servi e di non far diventare servi i loro familiari, i contadini decidono di darsi alla macchia e di fuggire in altri regni per iniziare una nuova vita. Naturalmente i grandi proprietari per ovviare a questo problema decidono di stipulare con i regni confinanti degli accordi che prevedono la restituzione dei fuggiaschi. Questi vedendosi così chiudere le frontiere e pur di non rinunciare alla libertà, andranno a costituire, nei pressi dei confini degli stati, delle bande che vivono di rapina contro i villaggi agricoli e contro le carovane dei grandi stati.
Otto anni dopo la pubblicazione dell’editto di Urukagina entra in scena Lugalzaggesi (2350-2325 a.C.), del quale sappiamo (da sue proprie iscizioni) che sconfisse e sottomise Ur, Larsa, Umma, Nippur e infine anche Lagash, controllando così tutta la bassa Mesopotamia. Pur se i suoi domini avevano un’estensione tutt’altro che universale anche all’interno della «mappa mentale» mesopotamica (restavano fuori dal suo controllo la Diyala, la Mesopotamia centrale, la Susiana, il medio Eufrate e il medio Tigri), tuttavia Lugalzaggesi si sente di segnare al «mare inferiore» (Golfo Persico) e al «mare superiore» (Mediterraneo) i confini della sua potenza e di dichiararsi en di Uruk e lugal di Kish (dell’importanza di quest’ultimo titolo si è già detto, per quanto riguarda il primo anche questo era un titolo molto prestigioso perché Uruk era la prima formazione urbana ed era la città più grande e più famosa della Mesopotamia). È possibile, secondo Liverani, che Lugalzaggesi abbia in qualche modo raggiunto il Mediterraneo personalmente o tramite inviati o semplici alleanze con le potenze intermedie (Kish, Mari, Ebla: tre stati che non gli furono certo sottomessi) di carattere militare ovvero commerciale, ma niente più. Tuttavia pur ridimensionandogli le forze che egli stesso si attribuisce, Lugalzaggesi introduce in Mesopotamia qualcosa di nuovo e di significativo, ovvero una concezione politica diversa da quella dei suoi predecessori in quanto le sue ambizioni vanno oltre le mura della città-tempio estendendosi a tutta la terra allora conosciuta. L’idea della monarchia universale fa così il suo ingresso in Mesopotamia e con essa l’evoluzione della società compie un gigantesco passo innanzi.
Il fondatore del primo «impero», Lugalzaggesi prima di diventare en di Uruk e lugal di Kish, era stato re di Umma (forse l’unico titolo che ha realmente avuto), della quale ereditò la tradizionale rivalità con Lagash, rivalità che a differenza dei suoi predecessori fu in grado di risolvere con preponderanti forze militari. A differenza delle altre città da lui vinte, Lagash ha lasciato la sua versione in proposito, che serve a valutare in maniera più sfumata la reale consistenza dell’impero di Lugalzaggesi. Vediamo così che anche dopo la vittoria di quest’ultimo l’ensi di Lagash, Urukagina, è ancora in grado di emettere sue iscrizioni e deve dunque aver conservato il ruolo locale. Non solo, in queste iscrizioni Urukagina è anche in grado di denunciare almeno a livello ideologico la vittoria di Lugalzaggesi e dei suoi soprusi.
Con Lugalzaggesi, che si pone alla fine del Proto-Dinastico III (XXIV secolo a.C.), abbiamo un cambiamento sostanziale nella organizzazione politica della bassa Mesopotamia con una netta e chiara prevalenza della struttura palatina, «laica», sulla struttura templare religiosa, che comunque continua ad essere il centro economico più importante. Il tempio gestisce la trasformazione dei prodotti, l’immagazzinamento delle merci, il commercio e soprattutto la terra: il tempio è il massimo proprietario terriero. Le sue terre saranno lavorate e gestite ricorrendo alle corvée (forniture di lavoro) dei contadini, aumentando il sistema delle assegnazioni ai dipendenti templari e sfruttando la manodopera servile. Questa preponderanza economica del tempio e il fatto che la gestione della terra sia prevalentemente nelle mani del tempio ha indotto gli studiosi, per moltissimo tempo, a pensare che le città del sud della Mesopotamia fossero città templari in cui non esisteva la proprietà privata. In realtà il ritrovamento di documenti di compravendita ha fatto cambiare radicalmente questa idea. Tali documenti erano inizialmente sfuggiti all’attenzione degli studiosi perché trattano di compravendite che avvengono attraverso meccanismi cerimoniali, in cui il passaggio di proprietà si svolge attraverso una serie di doni e non di pagamenti ed interessano molte persone. Grazie ad una analisi comparativa dei vari testi si è notato che a ricevere i doni sono sempre vari individui, mentre a offrirli è sempre un’unica persona, solitamente un sacerdote, che appare in molti documenti. La quantità dei doni, in genere rappresentati da quantitativi in orzo o comunque sempre da beni alimentari, viene stabilita alla presenza di un agrimensore e di uno scriba, che anch’essi ricevono dei doni. Questi documenti dunque descrivono un meccanismo che permetteva ad alcuni personaggi, in genere sacerdoti, di impadronirsi di terre che appartenevano a famiglie del villaggio che alienavano la loro proprietà in cambio di razioni alimentari. E siccome la proprietà non è mai personale, ma familiare (la terra è a conduzione familiare), è chiaro che per avere il passaggio di proprietà devono essere ricompensati tutti i membri della famiglia che ricevono doni in quantità diversa a seconda della loro importanza (dal capofamiglia al parente più lontano). Questo spiega il fatto che destinatari dei doni sono sempre varie persone.
E da questi stessi testi si nota anche un’importante stratificazione sociale e quindi anche una differenziazione di importanza dei vari mestieri nella Mesopotamia meridionale: mentre infatti la famiglia che vende il terreno riceve una quantità di orzo sufficiente per sopravvivere solo per un anno, l’agrimensore e lo scriba, per un lavoro che li impegna per pochissimo tempo ricevono un compenso alimentare paragonabile rispettivamente a due e a sei mesi di sostentamento.