Il genere Homo si distingue da tutti gli altri generi animali perché in grado di manipolare la materia. Fin dalla sua comparsa sulla terra, l'uomo ha lavorato con modi e tecniche differenti vari materiali, allo scopo di migliorare la propria sopravvivenza. Oggi, relativamente all'età paleolitica e mesolitica, si conservano soprattutto manufatti in pietra e in materia dura animale (osso, avorio): questo non vuol dire che l'uomo abbia sfruttato solo questi materiali, ma che, essendo molto resistenti, sono gli unici che si sono conservati in grandi quantità. Ad esempio da Clacton-on-Sea proviene una punta in legno, appartenente al Paleolitico inferiore, che probabilmente veniva utilizzata per cacciare: si tratta comunque di un ritrovamento a dir poco eccezionale. Quindi la definizione delle entità tassonomiche (periodi e culture) del Paleolitico e del Mesolitico si fonda soprattutto sulle tecniche adottate nella lavorazione della pietra (nella maggior parte) e delle materie dure di origine animale, e sulla forma dei manufatti così ottenuti. Perciò per affrontare lo studio del Paleolitico e del Mesolitico è necessario avere una preparazione in questo campo.
Le rocce utilizzate nel Paleolitico e nel Mesolitico sono molto varie. Sono state ricercate rocce di difficile frantumazione (rocce dure), omogenee (senza piani di fratturazione) e di grana fine. In Europa è stata sfruttata più frequentemente la selce, una pietra dura che si spezza facilmente in schegge taglienti come il vetro e che si trova in varie formazioni calcaree sotto forma di noduli, blocchi tondeggianti, di diverse dimensioni e forme, distribuiti in banchi, o sotto forma di straterelli lenticolari; perciò da questo momento adotteremo il termine selce, anziché roccia. Assieme o in alternativa alla selce propriamente detta sono stati utilizzati calcedonio, diaspro, calcare siliceo, quarzite e ossidiana. Tutte queste rocce, se colpite da un percussore o se soggette a una forte pressione in un punto, si fratturano lungo superfici concoidi, determinando il distacco di un frammento con margini taglienti. In Africa e in Asia sono stati largamente utilizzati anche altri materiali.
Il materiale litico, anche della medesima provenienza, può essere raccolto in situazioni diverse, riconoscibili attraverso l'esame delle superfici esterne dei blocchi, parzialmente conservate nei nuclei dopo il loro sfruttamento. Noduli o straterelli lenticolari di selce estratti dal calcare presentano un cortice calcareo di aspetto fresco, che viene eroso dal trasporto idrico o alterato dal terreno; blocchi di selce provenienti da suoli o da terreni residuali presentano un aspetto superficiale (patina) che ne consente il riconoscimento; nei noduli o nei blocchi soggetti a intenso trasporto idrico o spiaggiati il cortice e talora una certa quantità di selce è stata asportata dall'azione meccanica, cosicché la superficie del ciottolo presenta delle picchiettature caratteristiche. Le strategie messe in atto per l'approvvigionamento erano diverse: estrazione dei noduli dagli affioramenti, praticata almeno a partire dal Paleolitico medio (sono state segnalate rare miniere di selce a cielo aperto di età paleolitica e mesolitica; le miniere di selce in galleria attualmente note sono neolitiche o più recenti); raccolta di blocchi nei detriti e nei terreni residuali; raccolta di ciottoli nelle alluvioni o nelle spiagge. Fin dal Paleolitico inferiore sono evidenti la scelta dei materiali litici in relazione al tipo di strumento che si voleva fabbricare (ad esempio calcare per la fabbricazione di choppers, selce per la produzione di schegge taglienti) e la ricerca del materiale più idoneo a distanze che diventano progressivamente maggiori (qualche km nel Paleolitico inferiore più antico, fino a qualche decina di km nel Paleolitico inferiore più recente, fino a un centinaio di km nel Paleolitico medio, fino a 400-500 km nel Paleolitico superiore).
Secondo la terminologia corrente, viene chiamato manufatto ogni oggetto di selce che presenta delle tracce di lavorazione, strumento ogni manufatto che dalla lavorazione ha avuto una forma voluta. Lo strumento può derivare dalla sgrezzatura di blocchi di selce (come una scultura a tutto tondo) oppure da due operazioni distinte, delle quali la prima consiste nel ricavare da un blocco di selce delle schegge, la seconda nel conferire alla scheggia una determinata forma, trasformandola in strumento. Soltanto nelle industrie più antiche e limitatamente ad alcune categorie di manufatti è stato seguito il primo procedimento.
Molto raramente (di solito soltanto nelle industrie più antiche) il nodulo o blocco di selce è stato scheggiato senza un'idonea preparazione; ciò poteva avvenire ad esempio per la tecnica clactoniana. Negli altri casi il nodulo o blocco veniva anzitutto predisposto alla scheggiatura, preparando sulla sua superficie un piano di percussione e una superficie di distacco, ottenendo così un prenucleo. Con l'inizio delle operazioni di sfruttamento non parleremo più di prenucleo ma di nucleo. Lo stesso termine viene usato anche per indicare il residuo, una volta ultimato lo sfruttamento.
Il distacco della scheggia dal nucleo avviene in seguito a una sollecitazione dovuta a percussione o pressione. Nel Paleolitico e nel Mesolitico, sono note le seguenti forme di percussione:
a) percussione diretta, realizzata colpendo con un percussore (di pietra; di legno, d'osso o di corno) il nucleo;
b) percussione indiretta, realizzata interponendo tra percussore e nucleo uno scalpello di legno o d'osso;
c) percussione su incudine, battendo il blocco di materiale grezzo o il nucleo su una pietra fissa a terra;
d) percussione bipolare, realizzata mediante percussione diretta del nucleo appoggiato all'incudine.
Il distacco per pressione compare probabilmente soltanto verso la fine del Mesolitico, nel Castelnoviano, e si svilupperà nel Neolitico nelle industrie che presentano un'importante componente laminare.
Il prodotto ottenuto dalla percussione o dalla pressione viene chiamato genericamente scheggia. Relativamente alla scheggia dobbiamo precisare le seguenti definizioni
a. faccia ventrale: è la faccia della scheggia che prima del distacco era a contatto con il nucleo;
b. faccia dorsale: è la faccia opposta alla faccia ventrale, ovvero la porzione di superficie di distacco che viene via con la scheggia e che contiene i negativi delle schegge precedenti;
Della scheggia vengono misurate: la lunghezza (9) che è la dimensione massima della scheggia, misurata lungo l'asse o parallelamente ad essa; la larghezza (10) che è la dimensione massima della scheggia, misurata perpendicolarmente alla lunghezza e lo spessore che è lo spessore massimo della scheggia, misurato tra le due facce e ortogonalmente alla faccia ventrale.
Orientamento della scheggia. Una volta riconosciute le varie parti della scheggia si deve procedere alla fase di orientamento: per orientare una scheggia si pone la faccia dorsale verso di noi e il tallone in basso. Si individuano così margine destro quello cioè che, guardando la faccia dorsale, sta alla nostra destra e margine sinistro. Se ruotiamo la scheggia, in modo da avere la faccia ventrale opposta a noi, il margine destro e quello sinistro non cambiano, ma sono quelli stessi individuati sulla faccia dorsale.
Tra i prodotti della scheggiatura, chiamati schegge, (in senso lato) si distinguono, a seconda dell'indice di allungamento (IA), ovvero del rapporto tra lunghezza e larghezza:
a) schegge in senso stretto, nelle quali la lunghezza non supera il doppio della larghezza;
b) lame, nelle quali la lunghezza supera il doppio della larghezza.
Sia le lame sia le schegge vengono ulteriormente suddivise in categorie dimensionali che riguardano la lunghezza e lo spessore.
Si parla dunque di grandi lame, lame, lamelle, microlamelle, ipermicrolamelle ponendo come limiti della lunghezza tra le varie categorie 100 mm, 50 mm, 25 mm, 12 mm, e di grandi schegge, schegge, piccole schegge ponendo come limite della dimensione maggiore 100, 50 e 25 mm.
Si parla di supporto (lama o scheggia) carenato o piatto se l'indice di carenaggio (IC), cioè il rapporto tra la minore delle due dimensioni (lunghezza e larghezza) e lo spessore massimo, è superiore a 2,23 o inferiore a 2,23.
Nel sistema tipologico analitico di G. Laplace le medesime categorie dimensionali vengono utilizzate anche per la classificazione tipometrica degli strumenti (in questo caso la terminologia non fa riferimento al supporto, ma alle dimensioni dello strumento). Ad esempio perché uno strumento sia carenato non basta che il supporto sia carenato, ma è necessario che il ritocco che lo identifica invada gran parte dello spessore.
I residui della scheggiatura, chiamati nuclei, vengono classificati in relazione alla categoria di prodotti che hanno dato (e dei quali sono visibili i negativi degli stacchi; avremo così nuclei a schegge, nuclei a lame, nuclei a lamelle) e in relazione alla loro morfologia (nuclei discoidi, n. carenoidi, n. prismatici, n. piramidali, ecc.).
Col ritocco al prodotto viene conferita una forma voluta. Il ritocco viene classificato secondo vari criteri; qui seguiremo la classificazione proposta da G. Laplace (1964):
1. Secondo il modo, si distinguono i seguenti tipi di ritocco.
a) ritocco semplice: conserva il margine della scheggia, modificandolo e ispessendolo, mediante lo stacco di una sequenza di scheggioline, che formano con la faccia ventrale un angolo compreso tra 5° e 45°;
b) ritocco erto: distrugge il margine della scheggia, modificandolo e ispessendolo, mediante lo stacco di una sequenza di scheggioline, che formano con la faccia ventrale un angolo maggiore di 45°;
c) ritocco piatto: conserva il margine della scheggia mediante lo stacco di scheggioline tendenzialmente allungate, subparallele rispetto a una delle due facce, invadendo gran parte della faccia della scheggia (ritocco piatto invadente) o ricoprendola (ritocco piatto coprente);
d) ritocco sopraelevato: conserva o distrugge il margine di schegge spesse, ed interessa sia il bordo che le facce con il distacco di scheggioline larghe (ritocco sopraelevato sommario), oppure allungate e strette (ritocco sopraelevato laminare), oppure larghe e disposte come embrici (ritocco sopraelevato scalariforme).
2. Secondo l'ampiezza:
a) ritocco marginale: localizzato lungo il margine della scheggia, il cui andamento originario viene modificato solo lievemente;
b) ritocco profondo: intacca profondamente il margine della scheggia, modificandone nettamente l'andamento originario;
3. Secondo l'andamento:
a) ritocco continuo o lineare: i piccoli stacchi, che costituiscono il ritocco, presentano nell'insieme un andamento lineare, rettilineo o curvo;
b) ritocco denticolato: il ritocco forma un incavo o una serie di incavi adiacenti;
4. Secondo l'orientamento:
> Classificazione dei ritocchi
La tipologia litica è la "scienza che permette di riconoscere, definire, classificare le differenti varietà di utensili ritrovabili nei siti attribuiti al lungo periodo dell'evoluzione dell'uomo" (Bordes, 1961). Un tipo di utensile è definito attraverso una serie ricorrente di attributi o di caratteri che si riproducono abbastanza regolarmente nel tempo da poter loro attribuire un nome. La presenza o l'assenza di certi strumenti tipologici, l'incidenza percentuale di certi strumenti tipologici sul altri permette di definire ed individuare differenti insiemi o "industrie" litiche e quindi differenti culture preistoriche.
George Laplace è autore di una "tipologia analitica" che si basa sulla definizione di categorie in funzione di diversi parametri, quali il ritocco, la morfologia e i rapporti dimensionali dei manufatti, in una sorta di sistema tassonomico che ricorda quello biologico ( si hanno così il tipo secondario, il tipo primario, il gruppo, la classe e la famiglia)
Derivano il loro nome dalla funzione che è stata loro tradizionalmente attribuita, ma che oggi è stata messa in dubbio per la mancanza di prove concrete. Probabilmente solo in futuro saremo in grado di stabilire con certezza la funzione di questi strumenti, attraverso analisi di laboratorio che cercheranno di individuare eventuali residui sulle parti funzionali.
I grattatoi sono caratterizzati dal ritocco semplice o sopraelevato e da un'estremità ritoccata in modo da formare una fronte, o un'ogiva.
La famiglia dei grattatoi comprende il solo gruppo tipologico dei grattatoi.
Come criteri per la distinzione in classe sono stati assunti: la morfologia dell'estremità funzionale, frontale o non-frontale (a ogiva o a muso); e l'IC con lo spessore dello strumento misurato sull'estremità funzionale.
All'interno della classe dei grattatoi frontali i tipi primari sono individuati sulla base dei rapporti dimensionali (un grattatoio si dice lungo se il rapporto lunghezza/larghezza è maggiore o uguale a 1,5, corto se è minore di 1,5) e della localizzazione del ritocco.
Questa dunque la classificazione:
Classe dei grattatoi frontali
G1 Grattatoio frontale lungo (il ritocco è solo sulla fronte oppure parziale su un lato o su entrambi ma non in continuità con quello frontale)
G2 Grattatoio frontale lungo a ritocco laterale (anche parziale purché in continuità col ritocco frontale)
G3 Grattatoio frontale corto
G4 Grattatoio frontale corto a ritocco laterale (vedi sopra)
G5 Grattatoio frontale circolare (col ritocco che ha determinato una forma circolare)
Classe dei grattatoi a muso
G6 Grattatoio (a muso) ogivale
G7 Grattatoio a muso evidenziato (da due concavità)
Classe dei grattatoi carenati
G8 Grattatoio carenato a muso
G9 Grattatoio carenato frontale
> Classificazione dei grattatoi
I grattatoi, presenti già nelle industrie del Paleolitico inferiore e medio, assumono forme standardizzate e ben definite soltanto all'inizio del Paleolitico superiore. Tra i grattatoi frontali segnaliamo vari tipi secondari, come le forme corte o molto corte a ventaglio (1), ad unghia (2), semicircolari (3), subcircolari (4; vedi figura) che assieme al grattatoio frontale circolare sono caratteristici di alcuni complessi del Paleolitico superiore come l’Epigravettiano italico medio-recente.
Il grattatoio frontale lungo su “lama aurignaziana” (5), nel quale il ritocco della fronte prosegue lungo i margini laterali che spesso presentano degli ampi incavi, caratteristico dell’Aurignaziano. Il “grattatoio solutreano”, grattatoio frontale lungo, (6) che presenta sulla faccia dorsale un ritocco piatto coprente nella parte opposta alla fronte del grattatoio (vedi figura)
I grattatoi ogivali (7), a muso (8), carenati a muso (9), carenati frontali (10) sono più frequenti nell’Aurignaziano (in cui i tipi carenati sono ottenuti quasi sempre mediante ritocco sopraelevato lamellare) ma sono presenti anche in altri complessi (es. Epipaleolitico della Valle Padana; vedi figura).
Gli erti differenziati costituiscono una famiglia alla quale sono attribuite tutte le forme ben definite di strumenti ottenuti mediante ritocco erto trasversale, detto troncatura, o laterale, detto dorso. Verso la fine del Paleolitico superiore è stata adottata una nuova tecnica per ottenere le troncature oblique, detta tecnica del microbulino, che si sviluppò largamente in età mesolitica. Essa consiste nell'appoggiare con la faccia dorsale una lamella su un'incudine e nel colpirla con un piccolo percussore piatto in corrispondenza del punto di appoggio, ottenendo dapprima un incavo e quindi una frattura della lamella stessa, in corrispondenza dell'incavo. In conseguenza della frattura si stacca un frammento che è il residuo della lavorazione che sulla faccia dorsale conserva una parte dell'incavo, mentre sulla faccia ventrale reca il negativo della frattura; questo residuo viene detto (impropriamente, ma il termine è diventato di uso corrente già all'inizio del nostro secolo) microbulino. Nella lamella troncata, invece, è visibile l'altra parte dell'incavo e il positivo della frattura, chiamato piquant-trièdre. Spesso il piquant-trièdre è stato eliminato con il ritocco e pertanto non più riconoscibile.
Alcuni tipi di erti differenziati presentano un cran, cioè un incavo ottenuto mediante ritocco erto che ha asportato una porzione della parte prossimale o distale e una porzione laterale del supporto. La presenza di due crans sulla medesima estremità definisce un peduncolo.
Nel Paleolitico inferiore e medio il ritocco erto è stato usato piuttosto saltuariamente, e comunque mai per ottenere manufatti di forma ben definita; i tipi identificati nel sistema analitico compaiono soprattutto nel Paleolitico superiore e nel Mesolitico.
Gli erti differenziati si articolano in sei gruppi tipologici.
2.3.2.1. Troncature
Le troncature presentano un'estremità troncata mediante una lavorazione a ritocco erto.
Classe delle troncature a ritocco erto marginale
T1 Troncatura marginale
Classe delle troncature a ritocco erto profondo
T2 Troncatura normale
T3 Troncatura obliqua
I tipi secondati più importanti sono: lamella a piquant-trièdre (1) e troncatura tettiforme (2) entrambi appartenenti all'Epipaleolitico (vedi figura).
2.3.2.2. Punte a dorso
Presentano un'estremità appuntita ottenuta mediante ritocco erto (non necessariamente bilaterale). L'ampiezza del ritocco, l'estensione del ritocco erto, la presenza e la localizzazione del cran offrono i criteri di classificazione all'interno del gruppo.
Classe delle punte a dorso a ritocco erto marginale
PD1 Punta a dorso a ritocco erto marginale
Classe delle punte a dorso a ritocco erto profondo
PD2 Punta a dorso a ritocco erto parziale, rettilineo o convesso
PD3 Punta a dorso a ritocco erto parziale concavo
PD4 Punta a dorso a ritocco erto totale
Classe delle punte a dorso e cran
PD5 Punta a dorso e cran adiacente (al ritocco)
PD6 Punta a dorso e cran opposto
PD7 Punta a dorso e cran doppio (o peduncolo)
Nel sistema tipologico analitico non vengono prese in considerazione, se non a livello di tipo secondario, le caratteristiche dimensionali; perciò gli strumenti che vengono abitualmente chiamati «coltelli a dorso» rientrano tra le punte a dorso a ritocco erto parziale convesso (PD2) o tra le punte a dorso a ritocco erto totale (PD4). Anche le punte che presentano un ritocco erto (marginale o profondo) bilaterale (che conoscono un grande sviluppo soprattutto nel Mesolitico) vengono attribuite ai medesimi tipi primari che presentano un ritocco erto uniliterale.
Una parte consistente di punte a dorso è costituita da armature che venivano inserite in supporti lignei o di materia dura animale per formare le armi impiegate nella caccia.
I tipi secondati più importanti sono:
2.3.2.3 Becchi
Presentano un'estremità a forma di becco, ottenuto patendo da una troncatura o da una punta a dorso.
Bc1 Becco-troncatura
Bc2 Becco-punta
2.3.2.4. Lame a dorso
Un ritocco erto laterale non modifica o modifica solo parzialmente le estremità, senza troncarle. I criteri di classificazione sono analoghi a quelli delle punte a dorso.
Classe delle lame a dorso a ritocco erto marginale
LD1 Lama a dorso a ritocco erto marginale
Classe delle lame a dorso a ritocco erto profondo
LD2 Lama a dorso a ritocco erto profondo parziale o totale
Classe delle lame a cran
LD3 Lama a cran (il ritocco laterale non è erto)
LD4 Lama a dorso e cran adiacente (al ritocco erto laterale)
LD5 Lama a dorso e cran opposto
LD6 Lama a dorso e cran doppio (o peduncolo)
Le medesime osservazioni fatte per la classificazione delle punte a dorso possono essere ripetute anche relativamente alle lame a dorso. Va inoltre aggiunto che un'applicazione rigida della tipologia analitica porta ad attribuire alle lame a dorso anche strumenti che presentano un'estremità a cuspide, ma ottenuta con ritocco non erto (ad esempio con ritocco semplice, come punte a cran, punte de La Font-Robert, ecc.).
Tra i tipi secondari ricordiamo:
2.3.2.5. Dorsi e troncature
Sono forme composite nelle quali un dorso (che può formare o non formare una cuspide) è associato a una o due troncature.
Classe delle lame a dorso e troncatura
DT1 Lama a dorso e troncatura normale
DT2 Lama a dorso e troncatura normale doppia
DT3 Lama a dorso e troncatura obliqua formanti un angolo acuto
DT4 Lama a dorso e troncatura obliqua formanti un angolo ottuso
DT5 Lama a dorso e troncatura doppia non simmetrica
DT6 Lama a dorso e piquant-trièdre
Classe delle punte a dorso e troncatura
DT7 Punta a dorso e troncatura normale
DT8 Punta a dorso e troncatura obliqua
Punte e lame a dorso e troncatura su supporto lamellare o microlamellare sono molto frequenti soprattutto nelle fasi media e recente del Paleolitico superiore.
Tipi secondari più importanti:
vedi figura
2.3.2.6. Geometrici
Ricavati da supporto laminare o lamellare di norma con la tecnica del microbulino, derivano dall'associazione di due troncature, di una troncatura e di una punta, o di due punte.
Classe dei segmenti
Gm1 Segmento di circonferenza
Gm2 Segmento trapezoidale
Classe dei triangoli
Gm3 Triangolo scaleno
Gm4 Triangolo isoscele
Classe dei trapezi
Gm5 Trapezio scaleno
Gm6 Trapezio isoscele
Gm7 Trapezio rettangolo
Gm8 Romboide
Segmenti e triangoli, e qualche raro trapezio, compaiono nella fase recente del Paleolitico superiore e hanno grande sviluppo nel Mesolitico. Molti sono i tipi secondari, caratteristici dei complessi mesolitici.
Tipi secondari più importanti:
vedi figura
Strumenti che devono il nome alla funzione, ad essi attribuita, di incidere. Sono stati ottenuti da supporti mediante uno o più colpi successivi, che hanno asportato delle lamelle (ritagli di bulino); sotto questo punto di vista non sono sempre facilmente distinguibili dai nuclei su scheggia presenti in alcune industrie.
La famiglia dei bulini comprende il solo gruppo tipologico dei bulini, strumenti caratterizzati dall'intersezione (che è la parte funzionale, il c.d. diedro o biseau) di uno stacco lamellare (o tendenzialmente lamellare) con un'altra superficie. La natura di questa superficie viene assunta come criterio classificativo a livello di classi; vengono così distinti i b. semplici ottenuti dall'intersezione con una superficie «naturale» (cioè preesistente alla scheggiatura o anche derivante dalla scheggiatura), i b. su frattura, derivanti dall'intersezione con una frattura, e i b. su ritocco, derivanti dall'intersezione con un ritocco. L'orientamento degli stacchi o del ritocco costituisce un altro criterio di classificazione a livello di tipi primari. Un ulteriore criterio, sempre a livello di tipi primari, è dato dalla presenza di una tacca laterale d'arresto che ha la funzione di limitare la lunghezza della lamella che si stacca in seguito al colpo di bulino. Nel sistema analitico avremo dunque la seguente classificazione (a livello di classi e tipi primari).
Classe dei bulini semplici
B1 Bulino semplice a uno stacco
B2 Bulino semplice a due stacchi laterali
B3 Bulino semplice a due stacchi, laterale e trasversale
B4 Bulino semplice a tacca d'arresto
Classe dei bulini su frattura
B5 Bulino su frattura
Classe dei bulini su ritocco
B6 Bulino su ritocco trasversale a stacco laterale
B7 Bulino su ritocco laterale a stacco laterale
B8 Bulino su ritocco laterale a stacco trasversale
B9 Bulino su ritocco a tacca d'arresto
I bulini, di forma non ben definita nelle industrie più antiche, presentano nel Paleolitico superiore tipi molto complessi, che possono essere considerati dei buoni indicatori cronologici e culturali, come il b. busqué, il b. di Noailles, il b. «a becco di pappagallo», ecc. Qui di seguito i principali tipi secondari.
vedi figura
La famiglia dei foliati comprende il solo gruppo tipologico dei foliati, costituito dagli strumenti ottenuti mediante ritocco piatto che viene eseguito per pressione. Come criteri di classificazione sono stati assunti l'orientamento (unidirezionale o bifacciale) del ritocco e la forma.
Classe dei foliati a faccia piana
F1 Troncatura a faccia piana
F2 Punta a faccia piana curva
F3 Punta a faccia piana diritta
F4 Ogiva a faccia piana
Classe dei foliati bifacciali
F5 Punta foliata bifacciale
F6 Foliato a base tronca
Classe dei foliati a cran
F7 Foliato peduncolato
F8 Foliato a cran
Classe dei foliati geometrici
F9 Foliato geometrico
Classe dei raschiatoi foliati
F10 Raschiatoio foliato
Il ritocco piatto fu adottato in età diverse (alla fine del Paleolitico medio, nel Gravettiano evoluto, nel Solutreano, nel Neolitico, ecc.) per ottenere strumenti che ebbero diffusione più o meno ampia. Talora lo stesso tipo(come ad esempio la punta foliata a lavorazione bifacciale o la punta foliata peduncolata) comparve in età e contesti culturali diversi.
Con questo termine viene indicata la famiglia a cui appartengono quei gruppi tipologici che raggruppano le forme meno specializzate, ottenute mediante ritocco semplice (gruppi tipologici delle punte, delle lame ritoccate e dei raschiatoi, che costituiscono il sostrato propriamente detto), erto (erti indifferenziati) o denticolato (denticolati), che costituiscono l'infrasostrato.
Punte, lame ritoccate e raschiatoi sono classificati in relazione all'ampiezza e al modo di ritocco.
2.3.5.1. Punte
Sono strumenti che hanno una punta acuminata ottenuta mediante ritocco semplice bilaterale della stessa ampiezza.
Classe delle punte a ritocco (semplice) marginale bilaterale (anche parziale purché in continuità)
P1 Punta a ritocco (semplice) marginale
Classe delle punte a ritocco (semplice) profondo
P2 Punta a ritocco (semplice) profondo in asse (l'estremità della punta cade sull'asse)
P3 Punta a ritocco (semplice) profondo fuori asse
P4 Punta a spalla (una delle due estremità ha un gibbo)
Classe delle punte carenate
P5 Punta carenata (il ritocco invade gran parte dello spessore della punta)
Le punte sono largamente diffuse nel Paleolitico medio. Sono noti anche tipi secondari.
2.3.5.2. Lame ritoccate
Le lame sono simili ai raschiatoi dai quali differiscono per l'IA (nelle lame è maggiore o uguale a 2, nei raschiatoi inferiore a 2). Le lame si possono quindi chiamare anche lame-raschiatoi o raschiatoi lunghi.
Classe delle lame a ritocco (semplice) marginale
L1 Lama a ritocco (semplice) marginale
Classe delle lame a ritocco (semplice) profondo
L2 Lama a ritocco (semplice) profondo
Classe delle lame carenate
L3 Lama carenata (il ritocco invade gran parte dello spessore della lama)
Sono diffuse nel Paleolitico medio e in tutto il Paleolitico superiore, soprattutto in alcuni complessi. Il tipo secondario più importante è la lama aurignaziana: lama-raschiatoio ottenuta mediante ritocco semplice scalariforme che spesso presenta ampi incavi.
2.3.5.3. Raschiatoi
Classe dei raschiatoi a ritocco (semplice) marginale
R1 Raschiatoio a ritocco (semplice) marginale
Classe dei raschiatoi a ritocco (semplice) profondo
R2 Raschiatoio a ritocco (semplice) profondo laterale
R3 Raschiatoio a ritocco (semplice) profondo trasversale
R4 Raschiatoio a ritocco (semplice) profondo latero-trasversale
Classe dei raschiatoi carenati
R5 Raschiatoio carenato (il ritocco invade gran parte dello spessore del raschiatoio)
I raschiatoi sono diffusi nel Paleolitico inferiore e soprattutto nel Paleolitico medio. Esistono vari tipi secondari.
2.3.5.4. Erti indifferenziati (o Schegge a ritocco erto)
Si differenziano dagli erti differenziati perché non presentano forme definite standardizzate.
Classe degli erti indifferenziati a ritocco erto marginale
A1 Scheggia a ritocco erto marginale
Classe degli erti indifferenziati a ritocco erto profondo
A2 Scheggia a ritocco erto profondo
Il tipo secondario più importante è la raclette: scheggia a ritocco erto generalmente profondo, piuttosto diffusa nel Maddaleniano antico.
2.3.5.5. Denticolati
Riunisce gli strumenti ottenuti mediante ritocco semplice profondo o sopraelevato, con andamento denticolato. Sono suddivisi in due classi, distinte dall'indice di carenaggio.
Classe dei denticolati piatti
D1 Incavo (presenta una sola tacca)
D2 Raschiatoio denticolato (più tacche adiacenti)
D3 Punta denticolata (il ritocco denticolato non dev'essere necessariamente bilaterale)
D4 Grattatoio denticolato
Classe dei denticolati carenati (il ritocco denticolato deve invadere gran parte dello spessore)
D5 Incavo carenato
D6 Raschiatoio denticolato carenato
D7 Punta denticolata carenata
D8 Grattatoio denticolato carenato
I denticolati sono ampiamente diffusi nelle più antiche industrie litiche, nel Paleolitico inferiore e medio, e sono presenti anche in complessi di età più recente.
I tipi secondari più importanti sono:
vedi figura
Oltre agli strumenti descritti da Laplace, è importante definire altri tipi che caratterizzano soprattutto le fasi più antiche del Paleolitico.
Costituiti da blocchi di forma sferoidale o ovoidale in cui uno o più stacchi determinano un margine tagliente; la scheggiatura può interessare una sola faccia (chopper) o tutte e due (chopping-tools o choppers bifacciali) o estendersi a gran parte della superficie con numerosi stacchi multidirezionali (poliedri).
I chopper possono presentare il bordo tagliente sul margine più lungo (chopper laterale) o su quello più corto (chopper distale), due bordi taglienti opposti (chopper doppio) o una punta (chopper a punta).
Nelle industrie più arcaiche (Olduvaiano – 2,5 milioni di anni fa) rinvenute in Etiopia (Hadar e Omo) sono presenti quasi esclusivamente questi tipi di strumenti (vedi figura).
2.4.2. Bifacciale
Strumento caratteristico dell’Acheuleano e in minor misura di complessi del Paleolitico medio ricavato da ciottoli o da grandi schegge (vedi figura)
Di dimensioni anche ragguardevoli, talvolta con lunghezza superiore a 20 cm., presenta ampi distacchi bilaterali e bifacciali, spesso regolarizzati da ritocchi minuti. L’apice può essere arrotondato o appuntito, la base talvolta non è elaborata. Il profilo può essere triangolare, cordiforme, ovalare, discoide, a mandorla (amigdala).
2.4.3. Hachereaux
Definito anche strumento a tranciante, viene ricavato da grandi schegge mediante ritocco semplice, ad ampi stacchi, o bifacciale che risparmia un margine tagliente; quest’ultimo, probabilmente, costituiva la parte funzionale dello strumento (vedi figura)