Come abbiamo visto, dopo quattro secoli di scontri e collaborazione fra le varie città mesopotamiche, giunsero a maturazione i primi progetti di unificazione politica. Lugalzaggesi, un ensi o governante della città di Umma, attaccò e sottomise Lagash, Ur, Larsa, Nippur, Umma e si dichiarò en di Uruk e lugal di Kish. La supremazia di Lugalzaggesi si estese poi verso nord, sino a toccare la città di Mari e il suo territorio. Nelle sue iscrizioni Lugalzaggesi vanta un impero esteso da un mare all’altro e ben 50 diversi ensi sotto il suo pugno. Tuttavia, dopo 25 anni di sovranità incontrastata, Lugalzaggesi venne sconfitto, catturato e condotto, secondo la tradizione, «con un guinzaglio da cane» a Kish, dove venne rinchiuso in una gabbia appesa alla porta di Enlil, sino alla morte.
Il nuovo conquistatore era un uomo di umili origini: forse proprio per questo aveva assunto il nome di Sargon che nella sua antica lingua semitica significava «il re legittimo». Si tratta dunque di un homo novus che per esprimere una completa rottura con il passato decise di fondare una sua capitale chiamata Akkad.
Con Sargon si ha il primo regno semitico della storia: dopo secoli in cui le funzioni di potere erano in mano a genti sumeriche, con l'impero akkadico per circa un secolo e mezzo prevarrà l'elemento semitico.
Non solo, anche la lingua ufficiale del regno diventa il semitico, dagli studiosi chiamato, per questo periodo, accadico. In tale lingua sono redatte anche le iscrizioni reali. Con questo però non viene interrotta la quasi millenaria tradizione letterararia sumerica, in quanto le più belle composizioni sumeriche, sia per il contenuto sia per la raffinata forma stilistica, le dobbiamo proprio alla figlia di Sargon, la principessa Enkheduanna, che, mandata come sacerdotessa nella sumerica Ur, compone due bellissimi inni alla dea Inanna.
L’impero akkadico è l’impero più famoso di tutto il Vicino Oriente antico, ma paradossalmente è anche quello di cui sappiamo meno, a partire dalla sua capitale, Akkad, di cui ancora oggi ignoriamo l'esatta ubicazione.
Tuttavia l’impatto che la dinastia di Akkad lasciò nell’ultimo quarto del III millennio fu tale che i popoli posteriori ne conservarono un ricordo indelebile. Mentre, infatti, le altre dinastie venivano normalmente «dimenticate» dalla memoria collettiva, e soltanto consegnate alla memoria erudita di scribi e sacerdoti, invece attorno alla dinastia di Akkad si costituì e si sviluppò un importante corpo di tradizioni letterarie. Sargon e Naram-Sin divennero così dei personaggi-modello, impersonando (il primo nel bene, il secondo nel male) l’ideale mesopotamico del sovrano: ideale con cui i successivi detentori della regalità dovevano confrontarsi per trovarvi la giustificazione del proprio agire.
La tradizione, concentrando tutta la propria attenzione sui due personaggi chiave Sargon e Naram-Sin, ha operato tra questi una drastica polarizzazione, per cui Sargon rappresenta la fase ascendente dell’impero e gli elementi positivi, mentre Naram-Sin assume su di sé gli elementi negativi e il tratto discendente: questo però, come vedremo, non rispecchia fedelmente la realtà.
La dinastia di Akkad inizia con Sargon (2335-2279 a.C.) che appare indubbiamente, come si è detto, un uomo nuovo nello scenario politico del III millennio. Le informazioni che di lui ci dà la Lista Reale Sumerica confermano in parte questa realtà: innanzitutto egli è detto figlio di un giardiniere. E questa notizia trova conferma in un poema epico, che possiamo intitolare La leggenda della nascita di Sargon, in cui si dice che il bimbo, figlio di sconosciuti, viene messo in una cesta affidata alle acque del fiume, un giardiniere scorge la cesta portata alla deriva, la prende e trae in salvo il futuro re. Sargon quindi, così come in un’altra cultura il Mosè biblico, è un predestinato.
Anche la seconda informazione della Lista Reale secondo la quale egli era coppiere del re di Kish, Urzabada, trova conferma in un altro racconto epico, Il sogno di Urzabada, nel quale attraverso un sogno viene predetto all’anziano re di Kish che la dea Inanna avrebbe ceduto il suo potere al suo generale, appunto Sargon.
La terza informazione, in base alla quale Sargon avrebbe costruito la città di Akkad, non trova invece conferma in nessuna iscrizione originale: nelle poche iscrizioni che abbiamo a disposizione egli è detto soltanto «re di Kish».
Le vicende politiche e militari del fondatore della nuova dinastia è ricostruibile grazie alle copie di iscrizioni originali rinvenute nella città di Nippur. Da queste apprendiamo che Sargon, salito al potere, sconfigge dapprima il re di Uruk e poi di seguito tutta la bassa Mesopotamia sumerica. Quindi estende il suo potere a sud fino a Dilmum, e a nord fino a Mari ed Ebla, tanto che può vantarsi di controllare il mare inferiore e quello superiore.
A capo delle città conquistate Sargon pone governatori di Akkad, instaurando un sistema politico ed amministrativo nuovo che autorizza gli studiosi a parlare di primo tentativo di costituzione di un «impero».
Non si pensi che le conquiste di Sargon siano state facili: egli stesso ricorda in un'iscrizione rinvenuta a Nippur, ben 34 battaglie, vinte grazie anche al poderoso esercito, forte di 5400 uomini, che a quanto pare erano militari di carriera.
In un'altra iscrizione, sempre da Nippur, Sargon è definito «re della totalità» (titolo che compare per la prima volta), poiché i confini del suo dominio, così come vengono indicati in un testo posteriore, si identificano con i quattro punti cardinali: il Nord rappresentato dal mare superiore, il Sud dal mare inferiore, l’Est dall’Elam e l’Ovest dalla Siria-Palestina. Ciò non vuol dire che il potere di Sargon fosse realmente così esteso: probabilmente egli si impadronì, al pari di Lugalzaggesi, della Mesopotamia centrale e meridionale, mentre con i paesi al di fuori di questo piccolo territorio si limitò ad intrattenere buoni rapporti commerciali.
L’impero fondato da Sargon comincia ad avere i primi sussulti durante il regno dei suoi due primi figli e successori: Rimush (2278-2270 a.C.), nonostante affermi di dominare su tutto il paese, su tutte le montagne, deve fare i conti con le città sumeriche meridionali che mal sopportano la supremazia di Akkad. Per ben due volte egli affronta i rivoltosi e, forse anche perché questi ricevono continuo aiuto dall’Elam, è costretto ad affrontare in campo aperto una coalizione elamita.
Il secondo figlio di Sargon, Manishtusu (2269-2255 a.C.), una volta consolidato il potere in Mesopotamia, promuove il commercio con l’estero spingendosi fino alle miniere d’argento e alla montagna di diorite in territorio iranico.
Ma è soltanto con il nipote di Sargon, Naram-Sin (2254-2218 a.C.) che l’impero accadico comincia ad assumere quella dimensione di cui i posteri, stranamente, diedero merito a Sargon. Egli risolve definitivamente il problema dei rapporti con l’Elam stringendo un patto di alleanza con Khita, un re del luogo, il cui testo in lingua elamita ci è pervenuto. Il sovrano quindi dedica tutta la sua attenzione al Nord, dapprima spingendosi verso il paese di Subartu, sopra l’Assiria, e quindi verso la Siria-Palestina raggiungendo forse anche Ebla.
Testimonianze archeologiche della presenza di Naram-Sin nella Mesopotamia settentrionale sono presenti da Ninive fino a Tell Brak, dove è stato scoperto un palazzo fatto da lui costruire.
Questo sovrano fu il primo a fregiarsi del titolo «re delle quattro regioni del mondo» ed inoltre si fece divinizzare in vita, dando luogo ad un cambiamento radicale nelle concezioni ideologiche della regalità. Quando i re della III Dinastia di Ur, a cominciare da Shulgi, si elevano al rango di divinità, non fanno altro che emulare il gesto di Naram-Sin.
Nell’epica posteriore egli però fu considerato l’antieroe, certo in contrapposizione a Sargon, ed è lui e al suo comportamento sacrilego – egli fu accusato di aver provocato delle «distruzioni» nell'Ekur, il tempio del dio Enlil a Nippur – che viene in definitiva attribuita la caduta dell’impero accadico.
Delle iscrizioni di Naram-Sin citiamo innanzitutto quella incisa su una statua rinvenuta a Bassetki, in cui è ricordata appunto la sua divinizzazione, una seconda incisa sulla famosa stele da Susa (figg. 186, 187) che ricorda la vittoria sulla popolazione montanara dei Lullubiti, e una terza, questa volta copia di un originale, che narra la conquista della Siria e di Ebla.
Se è vero che egli ha conquistato Ebla, è comprensibile tutto il suo orgoglio che traspare in questa seconda iscrizione: con la sua vittoria egli aveva inferto una pesante sconfitta alla città che controllava politicamente e commercialmente un impero ben superiore a quello realizzato da Lugalzaggesi e Sargon.
Con il successore di Naram-Sin, il figlio Sharkalisharri (2217-2193 a.C.), il regno di Akkad comincia a declinare: ne fa fede la rinunzia del sovrano al titolo di «re delle quattro regioni» e il ritorno al modesto epiteto di «re di Akkad».
La situazione politica è resa più instabile, oltre che dalle continue ribellioni delle città sumeriche, dalle pressioni sempre più insistenti dei nomadi Amorrei dell’Occidente e soprattutto dei Gutei i quali, qualche anno più tardi, spazzeranno via la dinastia per insediarsi in qualche parte della Mesopotamia centrale e prendere il controllo della regione, tanto da venire inseriti nella Lista Reale.
Sharkalisharri riesce ad avere ragione dei suoi nemici, ma Uruk si rende indipendente. Alla sua morte l’instabilità politica prevale e proprio la Lista Reale sottolinea la nuova situazione con la frase: «Chi fu re? Chi non fu re?». Gli ultimi sovrani della dinastia sopravvivono soltanto. Ormai la Mesopotamia centrale è fermamente in mano alle orde di Gutei, mentre il le città sumeriche del Sud, riacquistano l’autonomia e l’indipendenza.
È interessante, a questo punto, citare la composizione sumerica definita La maledizione di Akkad dove si dà una motivazione teologica dell’ascesa e della definitiva sconfitta di Akkad. Il testo si articola, secondo l’ultima ricostruzione fatta da J.S. Cooper, in cinque episodi: nel primo si spiega l’ascesa di Akkad a seguito della decisione del dio Enlil di togliere la sovranità a Kish e ad Uruk per darla in mano a Sargon; ciò ha per conseguenza che la dea Inanna trasferisce il suo centro di culto nella nuova capitale, assicurando così prosperità e ricchezza.
Nel secondo episodio si passa alla vera motivazione per cui Akkad sarà distrutta: il nuovo re Naram-Sin invece di provvedere al tempio di Enlil a Nippur porta tutti i suoi doni ad Inanna, che però non può non disapprovare l’operato del re ritirando tutto il suo appoggio.
Naram-Sin dopo un brutto sogno cade in una profonda depressione, ma reagisce – siamo così al terzo episodio – in maniera inconsulta: dopo aver ottenuto oracoli a lui sfavorevoli, il sovrano dà la colpa al dio Enlil e con un atto sacrilego distrugge e saccheggia l’Ekur, il tempio del dio a Nippur.
A questo punto Enlil – quarto episodio – si vendica facendo scendere nella Babilonia i barbari Gutei che provocano ogni devastazione, ma continuano ad avere successo perché Enlil li appoggia. I lamenti dei pochi sopravvissuti però commuovono Enlil che convoglia tutta la sua rabbia contro Akkad.
Nel quinto episodio è descritta in maniera dettagliata la maledizione che gli dèi proferiscono sulla città provocandone la distruzione. L’ultima riga della composizione recita: «Akkad è distrutta, sia lode ad Inanna» e suona come un grido di gioia per la sorte toccata all’oppressore dei Sumeri.
Sulla base soprattutto di questa affermazione alcuni studiosi hanno voluto interpretare La maledizione di Akkad come l’espressione di un odio quasi razziale dei Sumeri verso i Semiti. Con tale lettura non è assolutamente d’accordo J.S. Cooper. In effetti, l’inizio del testo mette gli Accadi sullo stesso piano dei Sumeri: la scelta di Akkad come sede della nuova regalità a seguito della sconfitta di Kish ed Uruk, è attribuita al volere imperscrutabile di Enlil, e il fatto che poi Inanna trasferisca ad Akkad il centro del suo culto è prova definitiva non dell’odio tra le due etnie ma piuttosto della simbiosi tra Sumeri e Semiti nel III millennio a.C.
Per questi motivi si può dire che La maledizione di Akkad sia da considerare semplicemente un documento di propaganda politica. Se una persona è odiata questa è il re Naram-Sin, colpevole di un atto sacrilego contro il tempio di Enlil.
Come si è visto, gli ultimi anni della dinastia di Akkad furono funestati da frequenti invasioni di popolazioni barbare provenienti o dal deserto siriano a occidente (gli Amorrei), oppure dalle montagne a nord dell'Assiria (i Gutei). Già a cominciare dal tempo di Sharkalisharri la pressione di questi nomadi divenne sempre più preoccupante, e a nulla valsero gli sforzi dei suoi eredi. Dopo un periodo di incertezze politiche, infatti, la Lista Reale categoricamente sancisce il passaggio della regalità da Akkad «all'orda» dei Gutei. I barbari del Nord avevano quindi avuto la meglio sull'ormai indebolito impero di Akkad. E, sempre stando alla Lista Reale, per 109 anni svolsero il ruolo di guida della regione tra i due fiumi.
Nulla sappiamo su questo interregno, che non possiamo definire altrimenti, né sulla sede prescelta dai Gutei a capitale del loro fantomatico regno né fin dove fosse esteso il loro potere; anche perché, come c'era da aspettarsi, iscrizioni originali dei sovrani gutei o mancano o sono talmente insignificanti che non possono essere usate per ricostruire la storia di questo periodo. Se a ciò si aggiunge che le uniche iscrizioni di una qualche utilità sono del re Erridupizir, che non ha trovato posto nella Lista Reale, allora si comprende la difficoltà degli studiosi di valutare nel suo complesso l'epoca dei Gutei.
La dinastia dei Gutei comunque non ebbe influsso alcuno sulla vita delle città sumeriche del Sud. Proprio a questo periodo, che per molte ragioni può essere definito buio, risale la prestigiosissima II Dinastia di Lagash, fondata da Ur-Baba e portata al massimo splendore dal principe Gudea (vd. cap. successivo).
Insomma, leggendo le numerose iscrizioni della dinastia lagashita e passando in rassegna i testi economici, si potrebbe addirittura sospettare che l'invasione dei Gutei sia il frutto della fantasia dei compositori della Lista Reale Sumerica.
Da come introduce le orde barbariche dei Gutei, lo scriba de La maledizione di Akkad sembra si sia fatto prendere la mano dai suoi sentimenti chiaramente razzisti. Più sopra avevamo negato l'interpretazione razzista nei confronti dei Semiti. Non possiamo però negarla verso i Gutei: il disprezzo dei Sumeri per l'orda barbarica che non ha neanche fattezze umane ma animalesche, che non conosce leggi, che disdegna tutti gli elementi propri della civilizzazione, ingrediente della cultura sumerica, traspare in maniera eloquete dalla citazione che abbiamo riportato. Giudicare il regno dei Gutei dalla presentazione che ne fa La maledizione di Akkad sarebbe scorretto e forse persino antistorico. Quello che possiamo però dire è che la stessa immagine dei Gutei di cui abbiamo appena parlato è coerentemente ripetuta in altri testi letterari di diverse epoche come in una lettera del re Ibbi-Sin della III Dinastia di Ur che li definisce «scimmie». Altre fonti dipingono i Gutei come «serpenti delle montagne» oppure «cani». La mancanza d'intelligenza loro attribuita è rimasta uno stereotipo fino al II millennio: il re cassita Agumkakrime qualifica i Gutei come «gente stupida». Nella leggenda di Cuta gli Ummanmada, sconfitti da Naram-Sin, vengono definiti «gente con squame su tutto il corpo e con facce di corvi», e di loro si dice che «sono stati allattati dal mostro Tiamat». Di un re guteo si afferma che «non aveva né carne né sangue».
Il quadro che emerge da tutte queste definizioni non è certo dei più lusinghieri. Non dobbiamo però meravigliarci dell'odio dei Sumeri verso i barbari Gutei. Gli inventori della civiltà avevano dovuto sopportare il predominio dei Semiti per quasi duecento anni e mai si sarebbero sognati di cadere, come si suol dire, dalla padella nella brace con la dominazione gutea.