Con la caduta di Babilonia termina la media età del Bronzo e comincia il Tardo Bronzo (1500-1200 ca.), un periodo caratterizzato dalla costituzione di grandi formazioni statali: il regno cassita a Babilonia, il regno medio-assiro a nord, il regno di Mitanni in Alta Mesopotamia e nell'Anatolia sud-orientale e l'impero hittita in Anatolia.
Come si è visto in precedenza (vd. cap. VII), i Cassiti, un popolo proveniente dalle montagne orientali, approfittando del vuoto politico che si era venuto a creare in seguito alla spedizione hittita su Babilonia, riuscirono ad imporre il loro dominio su questa città. Se ignoriamo il nome del primo re cassita a Babilonia, sappiamo, da una fonte posteriore, che 24 anni dopo che la statua di Marduk era stata portata in «esilio» a Khana a seguito della scorreria hittita, il re cassita Agum II la riportò a Babilonia. E poiché la lista dei re di Khana, e la documentazione stessa (epigrafica ed archeologica) di Terqa vengono a cessare nella prima metà del XVI secolo, dobbiamo pensare che Agum II, uno dei primissimi re cassiti di Babilonia, abbia distrutto Terqa, posto fine al regno di Khana, riportato a Babilonia il bottino e la statua di Marduk. Dunque l'affermarsi del controllo cassita in Babilonia e l'inizio dell'egemonia cassita su gran parte della Mesopotamia centro-meridionale si attuano con Agum II, il quale domina il paese da Khana sul medio Eufrate fino alle paludi meridionali, nelle quali si trova attestata la dinastia del «Paese del Mare». Su questa però avranno ben presto ragione i re Ulam-Buriash ed Agum III (sulla cui distinzione dal II sussistono ragionevoli dubbi) che ne vinsero gli ultimi re e si proclamarono essi stessi re di quella regione. Poiché la titolatura di questi primi re cassiti include ancora il controllo del paese d'origine e delle zone pedemontane tra Zagros e Tigri (Padan, Arman), il regno babilonese era a questo punto una formazione abbastanza consistente, degna di occupare nel sistema internazionale una delle posizioni di «grande regno». Sul fronte nord sono segnalati alcuni episodi di confronto con l'Assiria risolti da alcuni trattati di cui ci è giunta notizia.
Babilonia deve aver tentato di affermare il proprio prestigio, prevalentemente con azioni diplomatiche a partire da Kara-indash e Kurigalzu I che, dalla metà del XV secolo a.C., strinsero alleanza con i faraoni, dando ambedue una propria figlia in moglie al re d'Egitto, che nel secondo caso era sicuramente Amenophis III. I buoni rapporti tra Babilonia ed Egitto costituiscono una costante della politica estera dalla metà del XV alla metà del XIV secolo a.C., e nella fase finale di questo periodo le relazioni internazionali sono particolarmente ben note dagli archivi di Amarna, il sito della nuova capitale scelta da Amenophis IV, dove sono stati rinvenuti importanti documenti epigrafici in akkadico, in grandissima maggioranza lettere che provenivano alla corte egiziana da tutto il Vicino Oriente.
Il regno cassita terminerà sotto i colpi della rinascente potenza assira che analizzeremo successivamente (par. 3).
L'alta mesopotamia, alla fine del XVII secolo viene unificata in un regno che nelle fonti porta intercambiabilmente i nomi di Mitanni (che sembra il nome politico), Khurri (che si riferisce alla popolazione), Khanigalbat (che è designazione geografica). La base della popolazione era hurrita, un'etnia che si presenta alla ribalta delle nostre conoscenze solamente grazie alla lingua, la quale, pur essendo assai poco nota, sia per la scarsità di testi, sia per le poche affinità linguistiche che essa sembra presentare con altre lingue note, è indubbiamente di tipo agglutinante. La presenza di genti hurrite si individua usualmente dall'onomastica, la quale mostra una serie di suffissi caratteristici. Elementi hurriti sono rari in Mesopotamia nell'età akkadica, ma cominciano ad apparire in maniera più consistente nel periodo neosumerico e in quello paleo-babilonese, senza, tuttavia, divenire per nulla predominanti, neppure in quelle aree in cui più tardi saranno prevalenti; ma fin dall'età akkadica devono essere esistite città-Stato hurrite nella zona più settentrionale della Mesopotamia, come dimostra un documento di quell'epoca in hurrito di un certo Tishadal, re di Urkish, da situare nella regione di Mardin.
Se la base della popolazione era formata dai Hurriti, i gruppi politicamente e culturalmente dominanti, erano invece indo-arii e parlavano un arcaico idioma indoeuropeo apparentemente con elementi dominanti vedici e tratti minori iranici. È da questo gruppo dominante che emersero, a giudicare dai nomi personali, sia la maggioranza degli stessi re di Mitanni che il più gran numero dei maryannu, una classe legata da vincoli feudali di guerrieri dotati di un carro da guerra e di una coppia di cavalli, il cui nome è identico a quello di una radice vedica che significa appunto «guerriero».
Se la base hurrita di Mitanni non è un fatto nuovo nella popolazione dell'alta Mesopotamia, la presenza dell'elemento indo-ario costituisce una interessante novità per cui la sua provenienza e la cronologia della sua penetrazione sono state oggetto di dibattito: al momento sembra plausibile che queste genti siano arrivate in quest'area geografica durante il XVIII-XVII secolo da Oriente.
Probabilmente alla base dell'unificazione dei regni hurriti di alta Mesopotamia in un unico regno (Mitanni) ha certamente giocato un ruolo questo apporto di genti indo-iraniche e delle loro innovazioni tecnologiche come l'introduzione del carro trainato da cavalli che risulterà una formidabile innovazione bellica.
Poco sappiamo delle origini del regno di Mitanni:I successivi re mitannici facevano ancora uso nel XV secolo del sigillo di un re Shuttarna figlio di Kirta, nel quale possiamo identificare, per questo motivo, il «fondatore» della nuova formazione politica, presumibilmente colui che fondò la capitale e unificò la regione. Non abbiamo però altri dati su tutto il periodo formativo fin verso la metà del XVI secolo.
A partire da questa data si dispone di una certa documentazione, che però proviene da regni soggetti a Mitanni (Alalakh all'estremo ovest, Nuzi all'estremo est) o addirittura da regni esterni (Khatti, Egitto; poi anche Assiria).
Da un'iscrizione del re di Alalakh Idrimi, sappiamo che il regno di Mukish (di cui Alalakh era la capitale) era sotto l'egida del re di Mitanni Barattarna.
Ma dalle fonti egiziane sappiamo che il dominio mitannico all'epoca di Barattarna si spinge anche molto più a sud: quando i faraoni della XVIII dinastia si lanciano alla conquista della fascia siro-palestinese, i regni più importanti della Siria centrale, soprattutto Qadesh e Tunip, sono anch'essi sostenuti dal loro signore di Mitanni nell'opporsi all'avanzata egiziana. Poiché Barattarna è anche attestato a Nuzi, il regno di Mitanni aveva già raggiunto sotto di lui il massimo dell'espansione.
Due generazioni dopo la situazione è analoga, con il nuovo re di Mitanni Shaushtatar, il quale se da un lato perde alcuni territori a favore dell'Egitto, visto che Thutmosi III riuscì a stabilire e consolidare una frontiera che giungeva al nord fino ad Ugarit sulla costa e fino a Qadesh nella valle dell'Oronte, dall'altro riesce a stabilire una qualche forma di sovranità sull'Assiria; si ha infatti notizia che il re mitannico portò via da Assur delle preziose porte d'oro e d'argento, come ricco bottino alla sua capitale.
Considerando la crisi hittita e cassita, Mitanni rappresenta, in questo momento, lo Stato più forte di tutta l'Asia anteriore, l'unico in grado di fronteggiare la crescente invadenza egiziana in Siria-Palestina.
I rapporti egizio-mitannici, rimasti ostili per oltre un secolo mutano di segno tra la fine del XV e l'inizio del XIV secolo. Il confine stabilito in Siria meridionale soddisfa entrambi i contendenti che hanno difficoltà a spingere oltre le rispettive forze in territorio nemico, e che sono paghi dei tributi che vengono loro dalle zone controllate. La dinastia di Mitanni e quella egiziana dei Thutmosidi si imparentano tra di loro, attraverso una serie di matrimoni che vedono le figle dei sovrani mitannici andare in spose ai faraoni, e stabiliscono una procedura di scambi di doni, di ambasciatori, di lettere. Questa situazione consente a Mitanni di mantenere, in linea generale, una posizione assai solida, e spesso egemonica, fino all'avvento di Shuppiluliuma (ca. 1370-1342 a.C.) sul trono hittita.
Dopo una prima incursione hittita respinta vittoriosamente da Tushratta, un secondo attacco giunge probabilmente improvviso, ed anche da una direzione inaspettata: anziché passare per Kizzuwatna, il re hittita attraversa l'Eufrate assai più a nord, nel regno di Ishuwa, e di lì scende dritto contro Washshukkanni, la capitale mitannica. Tushratta rifiuta la battaglia campale asserragliandosi nella capitale; ma perde il controllo degli eventi. L'esercito hittita prosegue verso la Siria, conquistando l'uno dopo l'altro gli Stati locali già sudditi di Mitanni, ed arrestandosi sull'alto Oronte alla frontiera egiziana, senza peraltro rifiutare la «spontanea» sottomissione di Ugarit ed Amurru già sudditi faraonici. Nel frattempo Tushratta viene ucciso, e sale al trono (col consenso hittita) Artatama II, che subito però cede alle pressioni da parte dell'Assiria guidata da Ashur-uballit (1363-1328 a.C.), che ha profittato della crisi mitannica per recuperare potenza e iniziativa. Al filo-assiro Artatama Shuppiluliuma contrappone il filo-hittita Shattiwaza, esule presso di lui e sua pedina per estendere il predominio hittita su Mitanni. Una spedizione di Shattiwaza e del figlio di Shuppiluliuma e re di Karkemish Piyashshili vale a sloggiare Artatama dal trono e gli Assiri dal controllo di Mitanni. Si apre così il penultimo e poco glorioso capitolo della storia di Mitanni: la subordinazione a Khatti comporta la cessione della riva sinistra della valle dell'Eufrate al regno di Karkemish (per riconoscenza al ruolo decisivo di Piyashshili e delle sue truppe nell'intronizzazione di Shattiwaza), la rinuncia ad ogni aspirazione e comportamento da grande re, l'assoggettamento agli Hittiti seppure in forme rispettose del tradizionale prestigio di Mitanni.
Questa fase dura poco, perché i re assiri (come vedremo più in dettaglio a proposito di essi) attaccano a più riprese Mitanni (o Khanigalbat, come essi dicono), senza che gli Hittiti riescano a difendere adeguatamente le loro posizioni. L'Assiria era in posizione ben più avvantaggiata che non gli Hittiti nell'inviare eserciti in alta Mesopotamia, e del resto ripercorreva una vecchia penetrazione militare e commerciale in quella zona. Poco a poco dunque la presenza hittita si deteriore e si ritrae oltre l'Eufrate. L'ultimo capitolo della storia mitannica è dunque quello della soggezione all'Assiria, e culminerà poi nel XIII secolo con l'annessione diretta.
Per quattro secoli dal regno di Ishme-Dagan al regno di Ashur-uballit, la storia assira è malamente documentata sia da iscrizioni locali sia da notizie esterne: è chiaro che il regno era ridotto ai minimi termini, ed aveva scarse possibilità di manovra. In particolare l'espansione di Mitanni raggiunse e avvolse Assur, condizionandone forse in qualche momento la piena indipendenza. Da questa condizione subalterna l'Assiria si risolleva sotto Ashur-uballit (1363-1328 a.C.) in maniera che sembra prodigiosa, e che sarebbe più spiegabile se avessimo maggiori informazioni sui precedenti. La politica di Ashur-uballit, in un primo momento, è molto ambiziosa consistendo nel voler ottenere il controllo su Mitanni, cercare l'amicizia egiziana per entrare nel sistema di rapporti internazionali e, infine, affermare il proprio potere a Babilonia per sostituirsi ad essa come potenza egemone mesopotamica. Il primo obiettivo non viene raggiunto per gli eventi di cui abbiamo già parlato. Il secondo è documentato da due lettere dell'archivio di Amarna inviate dal sovrano assiro al faraone Amenophis III: in una di queste Ashur-uballit non solo si proclama «gran re» e si pone sullo stesso piano del re d'Egitto, definito «fratello» secondo secondo la prassi diplomatica corrente, ma pretende dal faraone un trattamento analogo a quello riservato in passato al re di Mitanni, sollevando le proteste formali del cassita Burna-Buriash II, che riteneva, evidentemente a torto, che l'Assiria gli fosse soggetta. Il terzo obiettivo fu raggiunto con successo: Ashur-uballit compì una spedizione vittoriosa contro Babilonia e pose sul trono Kurigalzu II a lui fedele. Tuttavia dalla morte di Ashur-uballit nel 1330 a.C. all'avvento di Adad-nirari I (1305-1274 a.C.) il controllo di Babilonia fu difficile per gli Assiri, impegnati spesso da ribellioni e guerre con i confinanti orientali, mentre Babilonia riotteneva per un certo tempo l'indipendenza.
Un deciso ampliamento degli orizzonti politici in cui intendevano operare i re assiri si ebbe sotto Adad-nirari I che batté sia i popoli barbari confinanti a est (Gutei, Lullubiti), sia i Babilonesi, sia lo stato di Khanigalbat. L'impero medio-assiro, le cui basi erano state create da Ashur-uballit I, si consolidò e si affermò pienamente sotto i due successori di Adad-nirari I, Salmanassar I (1273-1244 a.C.) e Tukulti-Ninurta I (1243-1207 a.C.), dei quali il primo dovette riconquistare Khanigalbat, evidentemente andato momentaneamente perduto, ponendo stabilmente i confini del suo dominio sull'Eufrate. Tukulti-Ninurta I continuò una politica assai ardita di guerra contro tutti i confinanti, ottenendo ovunque successi, con i quali consolidò i confini del suo impero piuttosto che ampliarli. Il più importante di questi fu quello ottenuto contro la Babilonia di Kashtiliash IV: dopo questo re cassita le liste babilonesi pongono un'interruzione nella successione dinastica che corrisponde ad un periodo di governo diretto di Tukulti-Ninurta I in Babilonia.
Nel XIII secolo a.C., dunque, l'Assiria si impose con le sue conquiste, ottenendo una durevole supremazia su tutta la Mesopotamia. Alla morte di Tukulti-Ninurta I, avvenuta per mano di un gruppo di congiurati che ne intronizzarono un figlio, la politica dei successori trascurò l'impegno politico e militare dei grandi re del XIII secolo: l'Assiria rimase indipendente ma perse il controllo di alcuni territori.
Lo Stato hittita entra prepotentemente nella storia del Vicino Oriente con due re, Khattushili I e Murshili I, che nell'arco di un cinquantennio (ca. 1650-1600) edificano una notevole formazione politica, dilagano sui bassopiani siro-mesopotamici mettendo fine ai due maggiori regni dell'epoca (Yamkhad e Babilonia). Sulla trasformazione del mondo politico centro-anatolico, che passa dalla frammentazione in città-stato documentata dai testi paleo-assiri di Cappadocia (fin verso il 1750) allo Stato unitario di Khattushili (verso il 1650), abbiamo dati discontinui, di diversa origine e natura, di difficile composizione.
L'Anatolia, come risulta dai testi paleo-assiri, era suddivisa in una serie di città-stato basilarmente indipendenti le une dalle altre, ma con centri minori gravitanti intorno ai maggiori, egemoni in alcune zone. Ogni città indipendente era sede di un «palazzo», residenza di un re, e riponeva la sua ricchezza nei metalli e nei prodotti metallici.
Il primo tentativo di unificazione fu compiuto da Anitta di Kushshara mediante una serie di azioni belliche che culminarono nella distruzione violenta di Khattusha e nel trasferimento della capitale di Anitta a Nesha/Kanish, dove il suo palazzo è effettivamente documentato. L'azione di Anitta fu assunta a modello, o almeno a precedente degno di memoria, giacché la sua iscarizione venne ricopiata e trasmessa dagli scribi hittiti. In effeti, dopo un secolo o poco meno, un secondo episodio sembra ricalcare l'antico modello: un «uomo di Kushshara» conquista a prezzo di dure lotte l'egemonia nell'altopiano centro-anatolico, e trasferisce la sua capitale in una delle città conquistate. Solo che la nuova capitale è proprio la città che Anitta aveva a suo tempo distrutta e maledetta, Khattusha, da cui il nuovo conquistatore trae il suo nome (Khattushili).
Il trasferimento della capitale del nuovo regno unificato in Khattusha, la costruzione qui di un palazzo reale e l'organizzazione di un'amministrazione e di un archivio, fa sì che la documentazione inizi per noi bruscamente con Khattushili; e anche per i successivi scribi hittiti l'accesso a documentazione d'archivio non riusciva a risalire più indietro. Mentre dunque la sequenza dei re e degli avvenimenti principali è ben chiara a partire da Khattushili, invece tutto il precedente processo formativo dello Stato antico-hittita è basato su alcune (oscure ma attendibili) notizie retrospettive nei testi di Khattushili stesso, e su alcune (chiare ma inattendibili) opinioni correnti alcuni secoli dopo. Iniziamo da questa seconda fonte: per la tradizione posteriore il regno inizia con una coppia regale costituita da Labarna e Tawananna, che però sono i titoli anticamente portati dal re e dalla regina. La più chiara enunciazione di questa ricostruzione dell'inizio della storia hittita si ha nell'editto di Telipinu, un testo che risale al 1500 ca. e che richiama gli avvenimenti del passato in funzione dei problemi politici del presente. «Anticamente (dice Telipinu) fu gran re Labarna», che è come se noi dicessimo «C'era una volta un re che si chiamava Sua Maestà». E il testo continua configurando questo regno antico di Labarna come un modello di concordia, di compattezza e di forza. Subito dopo, descrive, quasi con le stesse parole, il regno di Khattushili. Ma il carattere compatto e concorde che Telipinu attribuisce anche ad esso è del tutto inaccettabile se confrontato con i dati contenuti nei testi dell'epoca; e ancor più inconsistente storicamente,puro frutto di fantasia, è la duplicazione che Telipinu fa del regno di Khattushili in un precedente regno di Labarna – che non è mai esistito come personaggio singolo ma è la personalizzazione dell'idea hittita di regalità. La «falsificazione» di Telipinu è dettata, come vedremo a suo tempo, dai problemi che gravavano sul suo regno e sulla sua intronizzazione. Telipinu ha bisogno di presentare un modello di regno concorde e forte, e lo proietta nel passato delle «origini» fondanti, per poter denunciare nelle discordie correnti al suo tempo un fenomeno di degenerazione contro il quale occorre reagire. Sono dunque da intendere come modelli ideali e non come attendibili ricordi sia l'esistenza di un Labarna, sia il carattere dello Stato antico-hittita come dotato din dal suo inizio, e del tutto miracolosamente, di una assoluta compattezza.
La realtà dovette essere esattamente l'opposto. La storia dell'Antico Regno hittita non è affatto (come vorrebbe Telipinu, passivamente accettato per lungo tempo dagli studiosi) la storia del disfacimento sotto i colpi delle rivalità e dei tradimenti, di una unità originariamente perfetta; è invece la storia di una faticosa marcia verso l'unificazione, partendo dalla situazione «cappadocica» di Stati cittadini endemicamente contendenti. Le notizie dei testi di Khattushili stesso sul processo formativo del suo regno, sono relative a lotte armate sue e dei suoi predecessori contro le altre città dell'altopiano centrale. Il regno di Khatti, come si configura a seguito delle conquiste di Khattushili si accentra nell'ansa dell'Halys, arriva al nord fino alla costa del Mar Nero (Zalpa), a sud-ovest alla piana di Konya, a sud-est alle pendici settentrionali del Tauro. È una formazione statale di dimensioni regionali relativamente modeste (se paragonate ad altri regni regionali dell'epoca); questo resterà comunque il «paese di Khatti» in senso proprio, essendo, le eventuali aggiunte, avvertite come atti di espansionismo esterno.
E già Khattusili cercò di superare la dimensione regionale del suo regno guidando i suoi eserciti verso la Siria settentrionale e l'Alta Mesopotamia che, tuttavia, non riuscì a conquistare sia perché trovò una forte resistenza sia perché fu seriamente impegnato da una invasione dei Hurriti nel suo paese.
Questa politica di espansione fu però proseguita con successo e raggiunse il culmine con il successore, Murshili I, che distrusse due dei maggiori regni dell'epoca, quello siriano di Yamkhad, con capitale Aleppo, e quello mesopotamico di Babilonia. La conquista di Yamkhad consentì agli Hittiti di uscire dall'isolamento anatolico e di entrare in contatto diretto con altri popoli del Vicino Oriente: non abbiamo dettagli sulla sistemazione data da Murshili alle terre conquistate; probabilmente egli cercò di mantenervi l'autorità hittita mediante l'intronizzazione di dinasti locali in posizione sottomessa. L'incursione in Babilonia, che Murshili certo non poteva pensare di occupare PERCHé???, fu invece un'impresa di forte valore dimostrativo.
Le gesta di questi due primi sovrani ebbero il merito di proporre gli Hittiti come protagonisti della scena politica internazionale; ma il processo di formazione dello stato era ben lungi dall'aver raggiunto stabilità e compattezza tali da consentire il mantenimento delle posizioni conquistate. Infatti sotto i successori di Murshili, i continui conflitti interni e il sorgere di nuove entità politiche – in particolare lo stato hurrita di Mitanni (nella Mesopotamia settentrionale) e il regno di Kizzuwatna nel sud-est anatolico – ridussero di nuovo il regno hittita alla dimensione di potenza regionale nella zona centrale dell'Anatolia.
Una ripresa dell'attività militare hittita si verificò a fine XV-inizi XIV sec. a.C.; il risultato di maggiore rilievo fu l'estensione del protettorato hittita sul regno di Kizzuwatna, sancito da un trattato, formalmente, ma non sostanzialmente paritetico. A queste azioni militari i sovrani Tudkhaliya e Arnuwanda affiancarono un'intensa attività organizzativa interna, che portò ad una riforma dell'amministrazione dello stato, che rimarrà in vigore anche in epoca imperiale hittita (da metà XIV a inizi XII sec. a.C.). Nel periodo immediatamente successivo ci fu un nuovo ripiegamento degli Hittiti, che persero il controllo su molti territori a vantaggio soprattutto di Mitanni, che era allora al culmine della propria potenza e divideva con l'Egitto il dominio sulla Siria.
Una ripresa delle attività militari si ebbe con la salita al trono di Shuppiluliuma (seconda metà del XIV sec. a.C.) il quale comprese che il nemico da battere era Mitanni. Lo fece attraverso iniziative diplomatiche e militari. In un solo anno sottomise i vassalli siriani fedeli a Mitanni, fermandosi all'altezza di Qadesh sull'Oronte per evitare di allargare il conflitto all'Egitto, che controllava la parte meridionale della Siria. Negli anni successivi Shuppiluliuma completò l'assoggettamento della Siria con la conquista della città di Karkemish (sulla riva destra del corso superiore dell'Eufrate); nel complesso le incursioni in territorio egiziano (il periodo è quello che va dal faraone Amenofi IV/Akhenaton a Tutankamon) furono molto limitate, ma ebbero conseguenze devastanti, poiché i prigionieri catturati diffusero tra i soldati hittiti la peste, che travaglierà a lungo il paese e di cui rimase vittima lo stesso Shuppiluliuma. Il controllo della Siria fu affidato a due figli di Shuppiluliuma, insediati come re a Karkemish e ad Aleppo. I rapporti con Mitanni, ormai isolato e lacerato da lotte interne, vennero definiti da un trattato che sancì la sostanziale subordinazione di questo stato agli Hittiti. Queste vicende segnano il culmine della potenza dello stato hittita (fra XIV e XIII sec. a.C.) diventato ormai un vero e proprio impero che va dall'Anatolia alla Siria e alla Mesopotamia settentrionale, con un'estensione territoriale mai raggiunta in precedenza da nessun regno.
Un implicito riconoscimento, perfino da parte dell'Egitto, del rango di potenza egemone dell'Asia Anteriore emerge da un episodio avvenuto durante l'assedio ittita a Karkemish: la vedova di un faraone egiziano inviò dei messaggeri al re hittita Shuppiluliuma per chiedergli in sposo un figlio, che governasse insieme a lei l'Egitto. La successiva storia hittita vide i sovrani impegnati nel mantenimento dell'impero, che Shuppiluliuma aveva lasciato esteso, ma indebolito dalle lunghe spedizioni militari e soprattutto dalla diffusione della peste, che afflisse il paese per più di venti anni. Dopo il breve regno del fratello maggiore Arnuwanda, salì al trono Murshili II che proseguì la politica estera del padre, fatta di iniziative militari e diplomatiche, e riuscì a mantenere la supremazia hittita in Asia.
Il figlio e successore Muwatalli II (re agli inizi del XIII sec. a.C.) era sinceramente devoto e le sue scelte dipesero in gran parte dai suoi interessi religiosi. Come scrisse più tardi il fratello Khattushili, egli decise «per ordine del suo dio» di lasciare l'antica capitale Khattusha, sede degli dei del paese e della dinastia, e di trasferire la sua residenza nel sud dell'Anatolia, in una città di nuova fondazione, non ancora identificata, che egli, dal nome del suo dio protettore, chiamò Tarhuntassa, la «città del dio della tempesta». Il trasferimento della capitale portò di fatto a una divisione dello stato, che provocò poi gravi contrasti all'interno della famiglia reale. Anche Muwatalli come i suoi predecessori, per tenere unito il regno, dovette impegnarsi in spedizioni militari e trattative diplomatiche, che lo videro attivo soprattutto in Siria, dove i regni subordinati erano sottoposti a forti pressioni egiziane. Lo scontro con l'Egitto, al quale Muwatalli deve la sua fama, fu causato dalla necessità di riportare sotto controllo hittita lo stato di Amurru, il cui re Benteshina era passato in campo egiziano. La battaglia si svolse a Qadesh nel 1275 a.C. e, anche se viene esaltata come una «folgorante vittoria» da un'iscrizione di Ramesse II all'interno del tempio di Abu Simbel, essa si concluse con un sostanziale pareggio. Dopo due giorni di sanguinosi combattimenti e date le condizioni di parità, i due sovrani sembra che abbiano voluto rinunciare ad uno scontro finale in cambio di una tregua che molti anni più tardi porterà ad un vero e proprio trattato di pace. Tuttavia, mentre Ramesse faceva ritorno in Egitto, Muwatalli approfittò della ritirata egiziana per impadronirsi della valle della Beqaa e regolare i conti con l'infido Benteshina di Amurru.
Alla morte di Muwatalli, il suo successore, il figlio Murshili III/Urhi-Teshub, riportò la capitale dello stato nella città culla della monarchia, Khattusa, provocando in questo modo la reazione dello zio, Khattushili III, che governava ormai da tempo in modo autonomo il nord del paese. Lo scontro fra i due si risolse a favore di Khattushili che, salito al trono, esiliò il nipote. La consapevolezza della profonda illegittimità della sua presa del potere costrinse però Khattushili III (metà del XIII sec. a.C.) a dare giustificazione scritta del suo operato, attribuendo la successione degli eventi alla volontà divina e presentando se stesso come «strumento della divinità». I problemi relativi alla definizione delle rispettive zone d'influenza in Siria, rimasti sostanzialmente insoluti dopo la battaglia di Qadesh, portarono Khattushili III e Ramesse II a stipulare un trattato di pace, che è l'unico esempio pervenutoci di accordo paritetico fra grandi potenze nell'antichità. La conclusione del trattato fu accompagnata da un lungo scambio di lettere fra le rispettive corti, che coinvolse anche le regine, soprattutto in vista della celebrazione del matrimonio fra una figlia del re hittita e il faraone. Tale matrimonio rientra in una prassi consolidata nel Vicino Oriente, in Anatolia in particolare, che affianca alle iniziative diplomatiche una politica di stretti rapporti personali e di parentela. Alla conclusione di questo trattato contribuì anche la preoccupazione, da parte di Khattushili, che il deposto Urhi-Teshub, rifugiatosi in Egitto, potesse ottenere dal faraone l'appoggio necessario a rivendicare il trono.
Le modalità di accesso al trono di Khattushili III preoccuparono pure il figlio Tudkhaliya IV, anch'egli in odore di usurpazione (nei suoi scritti il tema dominante è quello della fedeltà al re…). La sua attività principale fu la riorganizzazione del culto e a lui si deve la costruzione, per la maggior parte, del santuario di Yazilikaya nei pressi della capitale Khattusha, dove raffigurò il suo pantheon. Dopo la conclusione del trattato con l'Egitto, in politica estera i rapporti riguardarono la frontiera con l'Assiria che aveva ripreso la sua attività espansionistica.
L'ultimo re sicuramente attestato è Shuppiluliuma II, un figlio di Tudkhaliya IV, che con una spedizione navale conquistò Cipro e promosse un vasto piano di ristrutturazione e ampliamento della capitale. La fine dell'impero hittita, agli inizi del XII sec. a.C., appare improvvisa: coincide con l'abbandono della capitale e la fine dell'archivio che ci priva di informazioni dirette sulle cause che determinarono il crollo di questa grande potenza del Vicino Oriente. La crisi, che investì tutta l'area del Mediterraneo orientale, è attribuita dalle fonti ugaritiche e da quelle egiziane a un'invasione esterna da parte dei cosiddetti «Popoli del mare», un'invasione che ebbe un impatto devastante, perché si inserì in un generale deterioramento della situazione socio-politica ed economica del Vicino Oriente. In particolare nello stato hittita il mantenimento dell'apparato imperiale, le continue guerre di difesa e di espansione, le pestilenze e le carestie conseguenti, unite a periodi di scarse precipitazioni, avevano aggravato il problema endemico della limitatezza demografica e determinato una profonda crisi produttiva. La coesione politica interna si era gradatamente sfaldata. Il crollo fu inevitabile.