La piccola statuaria cicladica, quale aspetto della cultura materiale, ci consente di chiarire le varie fasi e le modalità di popolamento delle isole. Fino agli anni Sessanta del Novecento, a causa della mancanza di insediamenti neolitici, si riteneva che le Cicladi in quel periodo non fossero abitate; per questo la prima occupazione stabile delle isole veniva fatta risalire a non prima del 2600 a.C., ad opera di popolazioni eterogenee che si supponeva fossero giunte dall’Anatolia nel corso di ondate migratorie successive. La maggior parte degli studiosi riteneva che uno dei principali centri di provenienza fosse Troia fra il 2800 e il 2300 a.C., e che comunque queste genti, al momento del loro arrivo sull’arcipelago, possedessero una cultura propria ben definita, che in seguito avrebbe avuto un’evoluzione autonoma (AA.VV. 1993: 26).
Ma gli scavi condotti alla metà degli anni Sessanta hanno consentito di disporre di nuovi e importanti elementi di valutazione che hanno ribaltato parte delle congetture precedenti. Grazie ad essi, si è potuto stabilire che le Cicladi furono, senza dubbio, abitate già a partire dal 5000 a.C. circa. A questa conclusione, si è giunti grazie ai ritrovamenti avvenuti a Kephala, sull’isola di Kea nel 1963 (par. 1.2; Caskey J.L. 1964) e a Saliagos tra il 1964 e il 1965 (par. 1.1; Evans-Renfrew 1968). Questi sviluppi hanno imposto una revisione, se non addirittura un rovesciamento delle convinzioni di coloro i quali volevano attribuire alla civiltà cicladica origine esclusivamente anatolica. Una delle prove a sostegno di questa tesi era la presenza di tombe a cista, ma il fatto che nella necropoli di Kephala esistano tombe dello stesso tipo suggerisce una continuità locale (AA.VV. 1993: 28). Questa è confermata anche dalle statuette rinvenute in entrambi i suddetti siti neolitici che palesano interessanti affinità con esemplari più recenti (vedi le figure a violino e le testine fittili), tanto da poter esserne considerati precursori.
La variabilità tipologica che caratterizza l’Antico Cicladico I può essere imputabile, non tanto alla presenza di influssi culturali diversi, quanto piuttosto a varie fasi di una sperimentazione che ha condotto gli scultori cicladici alla realizzazione di un unico tipo, quello canonico. I vari tipi statuari (Plastiras, Louros, precanonico) sembrano essere in connessione fra loro (come attestano le forme ibride) e indirizzati alla formazione delle statuette a braccia incrociate (Doumas 2000; Getz-Gentle 2001). Tutto pare dunque essere all’insegna della continuità e della unità culturale. Ciò non significa però che non vi siano state influenze culturali esterne. Queste sembrano provenire in gran parte dalla sponda occidentale dell’Egeo, ovvero dal continente greco (Zachos in Papathanassopoulos 1996: 156-157; Renfrew 1969: 29): più volte ho messo in evidenza le relazioni che vi sono con l’Attica a partire già dal periodo neolitico (vedi alcune figure steatopigiche, i ritrovamenti di Kephala, la testina dall’Agorà e il tipo schematico E). In Tessaglia sono attestate figurine a violino e altri tipi schematici che possono aver influenzato, in maniera più o meno importante, la produzione di statuette analoghe nelle Cicladi (Zervos 1963: fig. 470; sch. 11). Contatti con l’Anatolia si sono sicuramente verificati ma non devono essere stati così determinanti (almeno nella scultura) e in molti casi sembrano essere indiretti e filtrati attraverso l’area continentale greca. In Tracia, Macedonia e nella stessa Tessaglia sono evidenti le affinità con la statuaria vicino orientale come, ad esempio, gli occhi “a chicco di caffè” di talune figure steatopigiche. Spesso le statuette recuperate a Sesklo (e anche la ceramica) sono difficilmente distinguibili da quelle provenienti da Hacilar in Pissidia (Godart 1994: 70). Anche ad Atene è venuta alla luce una figurina molto simile ad una rinvenuta all’interno dello stesso sito di Hacilar (Orphanidi in Papathanassopoulos 1996: 154).
Le Cicladi hanno assorbito influssi diversi soprattutto nelle fasi più antiche, quelle appunto della formazione. Per l’intera età del Bronzo (esclusa l’ultima parte, quella della penetrazione minoica) si può parlare di una cultura assolutamente omogenea e in gran parte originale. Se vi sono stati apporti di popolazione (e molto probabilmente vi sono stati), questi non sembrano aver mai causato cambiamenti netti e traumatici o trasformazioni radicali, piuttosto si sono risolti in una completa integrazione.
Lo sviluppo della piccola statuaria antropomorfa sembra confermare questa ipotesi. Se ai primordi si riscontrano affinità notevoli con altre zone, come si è visto, successivamente diventa sempre più difficile trovare dei confronti con l’esterno. Fino ad arrivare alla creazione delle FAF, la cui origine sembra essere tutta interna alle Cicladi, dimostrando una notevole originalità e una spiccata creatività manifestate anche in altre produzioni (vedi le cosiddette “padelle” e i “kandilia” in marmo). È vero che le statuette a violino sono attestate in altre aree (Zervos 1963: fig. 470; Papathanassopoulos 1996: fig. 251), ma solo nelle Cicladi subiscono una così grande diffusione e variabilità di forme. Le figurine Plastiras possono essere derivate da esemplari neolitici, ma una tale ispirazione naturalistica non trova riscontri immediati. I tipi Louros e precanonico sembrano essere di transizione verso la creazione delle FAF, dove una così riuscita fusione fra linguaggio naturalistico e astratto non ha precedenti.
Lo studio approfondito della scultura cicladica permette dunque di illustrare alcuni aspetti della civiltà che l’ha prodotta, in particolare consente di riconoscere la sua unitarietà, la sua originalità e l’adozione di un linguaggio iconografico peculiare: in fondo essa approda e si consegna alla storia proprio nel segno dell’arte.