Questa sezione è dedicata al popolo etrusco di cui si tenterà di tracciare un profilo di storia, di cultura e di civiltà iniziando dal periodo protostorico della formazione fino al declino avvenuto in età romana. Partendo da ciò che ha sempre suscitato nell'opinione comune questo popolo, cioè l'idea del «mistero», legata soprattutto alle sue origini e alla sua lingua, affronteremo i vari aspetti di questa civiltà come la religione, la storia, la vita quotidiana e le arti tentando di ricostruire un quadro completo di una civiltà che ancora oggi, dopo tanti secoli, continua ad affascinare. Ripercorriamo adesso, brevemente, le tappe degli studi sugli Etruschi per capire quanto questo popolo abbia conquistato l'attenzione di molti studiosi del passato, talvolta in maniera talmente appassionata, da portarli addirittura a conclusioni completamente errate, attribuendo agli Etruschi anche ciò che degli Etruschi non era. Dopo gli studi del Cinquecento, il rinnovato interesse per il popolo etrusco si deve allo scozzese Thomas Dempster (1597-1625), autore del De Etruria regali tra il 1616 e il 1619. L'opera rimane per circa un secolo manoscritta e non riceve, sul momento, grande fortuna. È solo negli anni 20 del 1700 che un gruppo di intellettuali fiorentini decise di pubblicarla, dopo che era stata riscoperta da un nobile inglese, Sir Thomas Coke, nel suo Grand Tour in Italia. L'uscita dei due volumi provoca un vero e proprio fenomeno di costume: l'etruscomania. Nuovi viaggi, nuovi scavi, nuove collezioni e, da queste, un'ondata di trattati su ogni aspetto della storia, dell'arte e della civiltà etrusca. Non solo, nascono anche le prime accademie di studi etruschi, fra cui l'«Accademia etrusca di Cortona», fondata nel 1726 e l'«Accademia della Colombaria» fondata a Firenze nel 1735.
Fra i primi grandi studiosi e appassionati di etruscologia del periodo è da annoverare Anton Francesco Gori, autore tra il 1737 e il 1743, del Museum etruscum, cui segue, a distanza di sette anni, il Museum cortonense. Queste due opere fecero suscitare subito la reazione del Winckelmann: Gori infatti attribuiva agli Etruschi tutti i vasi che provenivano dalle necropoli dell'Etruria, mentre Winckelmann riteneva, giustamente, che molti dei vasi da lui considerati non potevano essere etruschi perché contenevano iscrizioni greche.
Nonostante questa polemica, l'assunto del «primato etrusco» sulle altre culture e civiltà fu sostenuto con grande tenacia, oltre che dal Gori, anche da Filippo Buonarroti, Giovan Battista Passeri e Mario Guarnacci. E questo pregiudizio trova conferma nel catalogo, in quattro volumi, della grande collezione di ceramiche che l'ambasciatore inglese Lord Hamilton aveva formato a Napoli, intitolato Antichità etrusche, greche e romane del gabinetto di M. Hamilton a Napoli (1766-67) curato da Pierre-François Hugues d'Hancarville. La pretesa etruschità delle ceramiche, acquistate nel '72 dal British Museum, fece nascere in Inghilterra quell'Etruscan taste che si affermerà sia nelle decorazioni parietali di studioli sia nella fabbricazione di ceramiche: gli artisti della casa Wegwood- la massima azienda produttrice di ceramiche d'arte del Regno Unito e forse d'Europa - ne trassero ispirazione per creare quelle delicate e anacronistiche ceramiche che divennero note come Etruscan ware.
Solamente nel 1806 viene ripresa, dall'abate Luigi Lanzi, la polemica innescata dal Winckelmann con il saggio De' vasi antichi volgarmente chiamati etruschi facendo esplicito riferimento all'errata e diffusa convinzione secondo cui i vasi figurati, trovati con straordinaria abbondanza in Italia, venivano considerati etruschi e non greci come invece confermavano le iscrizioni.
Nel 1823, quattro entusiasti studiosi tedeschi, Gerhard, Kestner, Panofka e Stackelberg (quest'ultimo aveva scavato in Grecia presso il tempio di Apollo a Bassae) fondarono a Roma la «Società romana degli iperborei», con lo scopo di promuovere gli studi sulle antichità italiane. Il nome di «iperborei» che significa letteralmente «settentrionali», non era altro che il soprannome di estrazione greca per i quattro amici, scelto da loro stessi, per indicare il loro desiderio - proprio loro che venivano dalle regioni del Nord – di occuparsi delle antichità dei paesi del sole. Primo lavoro del gruppo fu la descrizione delle raccolte dei musei di Roma e di Napoli, soprattutto per merito di Gerhard che aveva la preparazione migliore.
Nel 1828, a Vulci, in un fondo del principe Luciano Bonaparte, fra Canino e Montalto, si rinvennero le prime tombe con corredi intatti di vasi dipinti: la scoperta è le successive ricerche permisero di mettere in luce tutta la necropoli circostante. Gerhard catalogò il numeroso materiale ritrovato che comprendeva in gran parte vasi dipinti di stile orientalizzante e vasi attici a figure nere e rosse, in un'opera Rapporto volcente, pubblicata nel 1831.
Nel 1829, la società degli iperborei fondò l'«Instituto di Corrispondenza Archeologica» che iniziò tre importantissime pubblicazioni che sopravvivono anch'oggi (sotto altri nomi) e che sono gli Annali, il Bullettino e i Monumenti. Con esse ci si avviò verso uno studio più dettagliato della ceramica che porterà alla consapevolezza che la maggior parte dei vasi rinvenuti nelle necropoli dell'Etruria non erano etruschi, bensì greci come già avevano sostenuto Winckelmann e Lanzi.
Pallottino 1986, Etruscologia, Hoepli