Il termine Paleolitico inferiore, relativamente all'Europa, è utilizzato per definire le industrie litiche della più antica preistoria, e, per estensione, l'arco di tempo in cui esse si sono sviluppate, a partire dalle prime tracce sicure, circa 1 Ma, fino a circa 100.000 anni fa. Questo periodo coincide con la diffusione sul continente di Homo erectus. Non vi sono attualmente prove sicure di una presenza umana in Europa prima di un milione di anni fa. Diversi siti hanno fornito manufatti litici che potrebbero risalire anche a più di 1,5 Ma (es. Chilhac nel Massiccio Centrale francese), ma la loro attribuzione cronologica non è sicura o per mancanza di datazioni assolute e relative affidabili, o per dubbi sulla reale provenienza dei manufatti stessi dai livelli cui vengono riferiti. Quel che è certo è che l'uomo è presente in Europa a partire da 1 Ma. Quindi la preistoria europea inizia con un ritardo di oltre un milione di anni rispetto a quella africana.
Come abbiamo visto nel primo capitolo, Homo erectus fu il primo ad abbandonare la culla africana per diffondersi nelle regioni dell'Europa e dell'Asia. Questa migrazione è, molto probabilmente, da correlarsi con le modificazioni territoriali e climatiche del Pleistocene inferiore recente e del Pleistocene medio antico, che sono state studiate soprattutto in Europa, dove sono marcate da: trasgressioni e regressioni dei ghiacciai continentali rilevate nelle Alpi, nelle altre catene montuose, nella Scandinavia e nelle regioni settentrionali dell'Europa media; da importanti oscillazioni delle linee di costa, correlate con l'accumulo di ghiaccio sulle terre emerse; da associazioni vegetali e animali rinvenute sia in formazioni continentali sia in formazioni marine.
Già fin dall'inizio del secolo scorso nella regione alpina A. Penk e E. Brückner riconobbero quattro grandi trasgressioni glaciali (glaciazioni), chiamate rispettivamente Günz, Mindel, Riss e Würm dai nomi di quattro valli del versante settentrionale delle Alpi, dove i depositi sono evidenti. La glaciazione di Günz pare corrispondere alla parte recente del Pleistocene inferiore (1,2-0,7 Ma), mentre le due glaciazioni maggiori di Mindel e Riss si svilupparono nel Pleistocene medio (0,65-0,12 Ma) e la glaciazione di Würm nel Pleistocene superiore (0,12-0,01 Ma). Tra le glaciazioni si interpongono tre periodi caratterizzati da clima temperato o caldo, arido o umido, detti interglaciali e chiamati col nome delle due glaciazioni contigue (interglaciale Günz-Mindel, i. Mindel-Riss, i. Riss-Würm). Nell'Europa centro-settentrionale nel Pleistocene medio sono state riconosciute tre trasgressioni dell'inlandsis (la calotta glaciale formatasi durante i glaciali sulla Scandinavia, che durante i massimi glaciali si sviluppò tanto da occupare l'area baltica e le regioni settentrionali dell'Europa media), chiamate rispettivamente Elster (0,48-0,4 Ma), Saale (0,35-0,24 Ma) e Warthe (0,18-0,13 Ma); la cui correlazione con le due glaciazioni alpine di Mindel e Riss è ancora discussa. Come vedremo, in corrispondenza dell'ultima glaciazione (Würm) nell'Europa media si verificarono due trasgressioni dell'inlandsis (I e II pleniglaciale würmiani).
Le variazioni del volume dei ghiacci continentali determinarono importanti oscillazioni delle linee di costa (ad esempio più che i ghiacci si accumulano sulle terre emerse e più che i mari si ritirano determinando un avanzamento delle linee di costa e viceversa). Esse sono evidenti sia per la presenza di depositi di spiaggia emersi, sia per la presenza di morfologie vallive nei fondali marini di alcune aree quali l'Alto Adriatico. Le faune marine mediterranee mostrano alternativamente la presenza di specie artiche («ospiti freddi», introdottisi nel Mediterraneo attraverso lo stretto di Gibilterra) e di specie caratteristiche dei mari tropicali («ospiti caldi»).
L'assetto delle terre emerse (dovuto ai vari cambiamenti climatici, di cui abbiamo parlato) durante il Pleistocene inferiore e durante il Pleistocene medio antico (fig. 17B) rese quindi possibile migrazioni di gruppi di Homo erectus dall'Africa all'Europa attraverso Gibilterra e la Penisola iberica (che durante i massimi glaciali erano molto vicini), e attraverso il Vicino Oriente e la Penisola balcanica (non è più considerata attendibile l'ipotesi del «ponte siculo-africano», cioè il passaggio dell'Homo erectus attraverso il canale di Sicilia reso accessibile durante l'abbassamento del mare nelle fasi glaciali). Alcuni gruppi umani sarebbero quindi migrati in Europa verso la fine del Pleistocene inferiore, attorno a 1 Ma, diffondendosi nelle regioni meridionali e occupando progressivamente le regioni a clima temperato.
La presenza di Homo erectus è documentata generalmente da concentrazioni di manufatti litici e di resti scheletrici di animali che presentano tracce di macellazione, di depezzamento, di taglio o fratture intenzionali. L'organizzazione dello spazio abitato, in questi siti antichissimi, può risultare da alcune evidenze archeologiche come, ad esempio, la diversa collocazione di aree con resti ossei e di aree con manufatti litici, la distribuzione differenziata di alcune categorie di manufatti (ad esempio dei choppers e degli strumenti su scheggia), la concentrazione dei reperti in alcune aree ristrette, la presenza di pietre di riporto talora allineate. Fin dall'inizio della presenza umana in Europa, l'uomo ha stabilito i propri insediamenti sia all'aperto che in grotta.
Uno dei più antichi abitati del Paleolitico inferiore a livello europeo è quello di Isernia La Pineta, datato attorno a 0,73 Ma. Qui è stata rinvenuta un'estesa pavimentazione costituita da pietre, ossa di animali e industria litica. Secondo alcuni studiosi un tale accumulo di materiale sarebbe dovuto all'intervento antropico e rappresenterebbe la bonifica di un'area paludosa, ovvero una superficie che permetteva di stare all'asciutto (> Paleosuperficie di Isernia La Pineta).
Sono state segnalate anche strutture più complesse. E. Bonifay ha segnalato a Solheilac, nell'Alta Loira, un sito perilacustre con allineamenti di blocchi di pietra, che circondano superfici da 6 a 1,5 mq, e nelle Grotte del Mas des Caves a Lune Viel, nel Herault, pavimentazioni, muriccioli e focolari. In un caso, secondo l'autore, si tratterebbe dei resti di una capanna. A Nizza, nel sito costiero di Terra Amata, H. de Lumley ha messo in evidenza una sequenza di ventisei livelli di occupazione stagionale di breve durata, comprendenti anche alcuni focolari entro piccole buche, al centro di superfici a pianta ovale con alcuni fori (forse per pali) da lui interpretate come capanne (> Ricostruzione di una capanna acheuleana di Terra Amata). Sempre a Nizza, nella Grotta del Lazaret (0,13 Ma), lo stesso autore ha interpretato come una capanna con due zone di fuoco una superficie subrettangolare delimitata da un allineamento di pietre. All'interno di questa superficie sono state rilevate anche due zone con un'alta concentrazione di molluschi marini. Alcuni hanno ipotizzato che questi siano stati usati a scopo alimentare. È più probabile, però, che queste conchiglie, essendo parassiti, siano entrate nella grotta con le alghe che l'uomo preistorico ha raccolto per comporre dei giacigli. (> )
In alcuni di questi siti e in altri, datati tra 0,4 e 0,3 Ma, compaiono anche le più antiche evidenze di accensione intenzionale di fuochi (ossa calcinate in modeste depressioni nel sito all'aperto di Vérteszöllös in Ungheria, datato tra 0,43 e 0,35 Ma; legni carbonizzati a Torralba in Spagna; pietre combuste in una depressione nel sito all'aperto di Terra Amata presso Nizza, datato attorno a 0,38 Ma; livelli di ceneri, ossa e pietre combuste nella Grotta di Zhukudian, presso Pechino, datato tra 0,5 e 0,24 Ma). Nonostante alcune segnalazioni che si riferiscono a ritrovamenti più antichi, si può ritenere che non esistano prove convincenti dell'addomesticazione del fuoco anteriori a 0,4 Ma; le prime ricadono entro l'intervallo 0,4-0,2.
È probabile che l'uomo conoscesse l'uso del fuoco fin da 0,8 Ma, ma che non riuscisse a controllarlo come dimostrano alcune evidenze archeologiche della Grotta di Choukoutien. Qui è stato trovato uno strato di cenere con uno spessore di ben 1 m. Ora, tenendo conto che un episodio stagionale di combustione può raggiungere al massimo il centimetro, è verosimile pensare che questo fuoco sia stato acceso da un evento casuale (es. fulmine) e che poi l'uomo lo abbia mantenuto per moltissimo tempo, perché, non conoscendo il modo per riaccenderlo, non poteva permettere che si spegnesse.
La domesticazione del fuoco aumentò le possibilità di difesa, di conservazione e preparazione dei cibi, e consentì la creazione di ambienti artificiali, premessa della diffusione dell'uomo nelle regioni fredde.
In passato si è ritenuto che Homo erectus fosse un grande cacciatore, e che i cumuli di ossa di grandi mammiferi trovati in vari siti africani e europei (in questi ultimi si tratta soprattutto di elefanti, rinoceronti e bisonti), talora associati a manufatti litici, rappresentassero altrettanti butchering sites, cioè aree di macellazione, dove le carcasse dei grossi mammiferi abbattuti venivano sfruttate e quindi abbandonate. Basti ricordare i siti di Torralba e di Ambrona, presso Bourgos, dove sono numerosi i resti di elefanti, o quello di Isernia La Pineta, dove sono abbondanti i resti di bisonti, elefanti ecc. Le osservazioni fatte in varie regioni mostrano come in realtà alla formazione dei cumuli di ossa di mammiferi di grandi dimensioni possano concorrere più fattori, quali l'azione di trasporto dell'acqua, la mortalità per cause naturali degli animali, l'azione dei carnivori e anche l'intervento dell'uomo: un insieme di cause che dovrebbero essere individuate mediante ricerche appropriate. Nel frattempo alcuni ricercatori soprattutto nordamericani, con uno zelo che pare eccessivo, hanno sostenuto una tesi altrettanto estrema di quella del «grande cacciatore», affermando che Homo erectus non ha praticato la caccia, ma si è procurato la carne rovistando tra le carcasse di animali morti per cause naturali o già sfruttate e abbandonate dai carnivori. Le ricerche più recenti di archeozoologia hanno invece sottolineato in vari siti (Ambrona, Torralba, Isernia) l'intervento antropico, evidente per la presenza di numerosi manufatti litici e per le tracce di frattura e di taglio ritrovate sulle ossa. I carnivori, la cui presenza è documentata sia da coproliti sia da varie tracce lasciate sulle ossa, dovute a morsi o al trasporto, hanno certamente avuto un ruolo nella formazione dei depositi: ma è innegabile l'azione sistematica di sfruttamento delle carcasse da parte dell'uomo. In questi siti dobbiamo ipotizzare presenze alternative (o gruppi umani o carnivori) susseguitesi nel tempo, come possiamo riscontrare nel Pleistocene superiore tra Neandertaliani e orsi delle caverne nei siti in grotta. Per quanto riguarda le strategie di approvvigionamento della carne, pare probabile che sia stata praticata la caccia, e che i gruppi umani abbiano adottato anche altri metodi, come lo sciacallaggio, quando se ne presentava l'opportunità. Sembra, comunque, che Homo erectus scegliesse la preda di cui cibarsi, in quanto, in diversi siti, è frequente la presenza di resti di animali giovani. Alcuni eccezionali ritrovamenti, come la punta di legno trovata a Clacton-on-Sea lungo l'antico corso del Tamigi suggeriscono che nella caccia fossero impiegati giavellotti in legno. (> Punta di giavellotto in legno rinvenuta a Clacton on Sea)
Se non teniamo conto delle acquisizioni più tarde, quali la tecnica d lavorazione dei bifacciali, la tecnica di scheggiatura levalloisiana (delle quali si dirà più avanti) e la domesticazione del fuoco, è impossibile proporre una distinzione netta tra Homo habilis e Homo erectus sotto l'aspetto comportamentale.
In una prima fase le industrie litiche prodotte da Homo erectus non si differenziano dall'Olduvaiano, in quanto sono caratterizzate dall'associazione di choppers e di schegge. In seguito intervengono importanti innovazioni che consentono la confezione di forme nuove.
La prima forma innovativa è costituita dai bifacciali. Con questo termine vengono indicati strumenti ottenuti da blocchi o noduli di materiale grezzo, elaborati mediante ritocco semplice o scagliato, ad ampi stacchi, in modo da ricavare due facce principali convergenti alle estremità, che conferiscono allo strumento una forma a mandorla: per questo spesso si parla anche di amigdale. Ai bifacciali sono associati gli hachereaux, strumenti a tranciante o a fendente, che dei primi costituiscono una variante: sono anch'essi ricavati da blocchi e lavorati mediante un ritocco ad ampi stacchi, ma hanno un margine tagliente (che è la parte funzionale dello strumento), ottenuto troncando la punta del bifacciale.
Bifacciali e hachereaux compaiono dapprima in Africa, nella fase di transizione dall'Olduvaiano all'Acheuleano (Pleistocene inferiore), e in un secondo tempo (Pleistocene medio antico, attorno a 0,5 Ma) si diffondono in Europa e nell'Asia sud-occidentale. Nell'Asia centro-orientale questi manufatti sono ignoti.
Altra fondamentale innovazione tecnologica è la scheggiatura levalloisiana, che si afferma nel Pleistocene medio recente, attorno a 0,3-0,2 Ma (figg. 24-25B). Questa tecnica fu riconosciuta da H. Breuil e L. Kolowsky (1931) nell'industria proveniente dai depositi fluviali di Levallois presso Parigi, e in seguito ridefinita da F. Bordes (1952) e da Boëda (1988). La scheggiatura levalloisiana è rivolta a ottenere dai nuclei schegge sottili e leggere, con margini taglienti, di forma predeterminata mediante una specifica preparazione dei nuclei. Il nucleo Levallois è caratterizzato da due superfici convesse, delle quali una presenta lungo tutto il perimetro una serie di stacchi di preparazione, coi quali il nucleo è stato messo in forma, mentre l'altra è completamente ricoperta di stacchi che hanno la funzione di produrre la convessità ed è la superficie di distacco delle schegge. Contemporaneamente aumenta il numero di strumenti realizzati su scheggia.
Per quanto riguarda l'Europa, le prime industrie, attribuite alla fine del Pleistocene inferiore sono molto simili all'Olduvaiano essendo caratterizzate da choppers e da strumenti ricavati da schegge con assenza di bifacciali. Si parla, per questa prima produzione, di Pebble Culture («cultura del ciottolo»). I siti più significativi e meglio noti si trovano nell'Europa meridionale; in Italia essi sono distribuiti nella penisola e in Sicilia. Tra quelli indagati a fondo ricordiamo il sito all'aperto di Monte Poggiolo, ai piedi dell'Appennino romagnolo, datato attorno a 1 Ma, del quale si è conservata soltanto l'industria litica, costituita per metà da choppers (prevalentemente distali e laterali) e per metà da strumenti su scheggia (prevalentemente denticolati e raschiatoi), e il sito di Isernia La Pineta, datato attorno a 0.7 Ma che, nelle paleosuperfici più antiche, ha restituito choppers ricavati da blocchi di calcare e piccole schegge ottenute con la tecnica di distacco su incudine da selce locale. Alla Toscana appartengono due siti importanti siti ascrivibili alla Pebble culture che sono Collinaia e Bibbona, entrambi in provincia di Livorno.
> Rousillon, Pebble culture; > Collinaia, chopper; > Bibbona, Pebble culture fig. 1, fig. 2
Nel corso del Pleistocene medio, attorno a 0,6-0,5 Ma, in Europa compaiono i primi bifacciali, che danno inizio al cosiddetto Acheuleano. Nonostante venga usato attualmente per per designare anche l'insieme delle industrie africane a bifacciali e hachereaux, il termine Acheuleano deriva dalla località di Saint-Acheul nel Bacino della Somme, che nel secolo scorso ha dato un'industria a bifacciali associata a fauna pleistocenica (de Mortillet, 1869). In Europa l'Acheuleano si sviluppa fino alla fine del Pleistocene medio (circa 0,1 Ma) e si suddivide in due fasi.
L'Acheuleano antico (di età mindeliana) è caratterizzato da bifacciali ancora piuttosto sommari e grandi. Esso comprende una facies settentrionale «classica», nota soprattutto nel Nord della Francia e in Inghilterra, ricca di bifacciali associati a strumenti su schegge ottenute con la tecnica su incudine, (> Acheuleano classico di Saint Acheul) e una facies meridionale nota nella Francia mediterranea, in Spagna e nella Penisola italiana (> Industria acheuleana di Terra Amata). In questa facies l'incidenza dei bifacciali è piuttosto variabile, e sono spesso presenti choppers e hachereaux: tra i siti italiani ricordiamo Anagni, Torre in Pietra e Castel di Guido nel Lazio (> Torre in Pietra, bifacciali; > Torre in Pietra, industria su scheggia e su ciottolo del livello m).
L'Acheuleano evoluto (di età rissiana) si caratterizza per la presenza di bifacciali più perfezionati. Spesso vi sono associati numerosi strumenti su scheggia, ottenuti con la tecnica levalloisiana (fig. 27B) o con altre tecniche. Come è stato rilevato da A. Palma di Cesnola (1996), nella Penisola italiana è possibile distinguere un'area adriatica, nella quale le industrie acheuleane recenti comportano schegge prodotte con la tecnica levalloisiana, e un'area tirrenica nella quale la tecnica levalloisiana è assente.
Parallelamente all'Acheuleano compaiono anche complessi privi di bifacciali e caratterizzati da strumenti su scheggia: il Clactoniano e il Taiaziano, caratterizzati dalle stesse tipologie litiche, realizzate però con dimensioni differenti. Nel Clactoniano gli strumenti sono più grandi, nel Taiaziano più piccoli.
Il Clactoniano è caratterizzato da strumenti su grandi schegge e su ciottolo e dall'assenza di bifacciali. Il ritocco è generalmente sopraelevato, continuo o denticolato, ottenuto col distacco di larghe schegge che determinano incavi profondi detti «clactoniani». I veri fossili-guida sono i grattatoi denticolati carenati e i rabots. È documentato in Inghilterra in diversi siti, fra cui Clacton-on-Sea (> Industria clactoniana di Clacton-on-Sea) e Swanscombe, ed anche nella Francia settentrionale.
Il Taiaziano è contraddistinto da strumenti su piccole schegge, con prevalenza di raschiatoi e choppers di piccole dimensioni; tipiche sono le punte di Tayac (punte denticolate) e le punte Quinson con faccia ventrale diedra. È conosciuto in un'area compresa tra la Linguadoca e il Roussillon (> Industria taiaziana della Baume Bonne).