Un evento di particolare rilievo nel quadro culturale del Paleolitico superiore è la nascita dell'arte, documentata sia da oggetti mobili di vastissima diffusione (ciottoli, placchette in pietra incisi, strumenti in osso o avorio decorati con figure scolpite o incise, sculture a tutto tondo in materiali diversi) che costituiscono la cosiddetta «arte mobiliare» (dal francese art mobilier), sia da figure incise, scolpite o dipinte sulle pareti o sulla volta delle grotte, per le quali è usata la denominazione «arte rupestre» o «arte parietale»; quest'ultima è limitata alle aree con grotte e ripari in cui le condizioni ambientali hanno consentito la conservazione delle opere d'arte. Due sono i temi principali affrontati dagli artisti paleolitici: la figura umana relegata quasi esclusivamente all'arte mobiliare e le rappresentazioni animalistiche che vedono la loro massima espressione nell'arte rupestre nella quale le figure antropomorfe sono piuttosto rare. Prima di affrontare nel dettaglio l'arte preistorica è necessario fare alcune precisazioni. Capiterà infatti di trovarsi di fronte ad immagini che potrebbero sembrare eseguite da una mano inesperta, guidata da una mentalità inferiore, o, come si suol dire «primitiva». Quando però si esamina un'opera figurativa bisogna sempre evitare di giudicarla sommariamente facendo riferimento esclusivo a un sorta di nostro «modello» mentale, che può essere corretto per alcune epoche ma per altre no. Bisogna evitare quindi di considerarla ottima solo se riproduce più o meno esattamente la natura o se incarna la nostra nozione di «bello», che è estremamente soggettiva. L'idea di arte come rappresentazione della bellezza, deriva dallo spirito rinascimentale e neoclassico che ancora influenza notevolmente i nostri gusti e il nostro modo di concepire l'arte. Se ci spostiamo in epoca medievale, la visione artistica era essenzialmente basata sulla religione, escludendo qualsiasi riferimento alla bellezza. L’arte aveva semplicemente un fine didattico, cioè quello insegnare la religione cristiana attraverso la storia. La bellezza passava in secondo piano e, spesso, veniva considerata assai pericolosa perché poteva spingere al peccato. Era necessaria un’arte che inducesse ai buoni precetti. Inoltre dobbiamo pensare che noi concepiamo l'opera d'arte come per essere osservata da uno spettatore: questo è valido solo in parte per la preistoria dove abbiamo sì raffigurazioni che, indubbiamente, presupponevano uno spettatore (vedi sotto la rappresentazione dei due bisonti di Lascaux), ma anche raffigurazioni create non a questo scopo e quindi non eidetiche (ad es. le frequenti sovrapposizioni di immagini in grovigli apparentemente inestricabili). Ogni opera umana nasce all'interno di un certo momento storico-culturale, che ha modi di pensare diversi da quelli di altri momenti. Essa deve essere giudicata pertanto sforzandosi di inserirla entro il proprio contesto.
La più forte concentrazione di arte parietale si riscontra nell'Europa occidentale, nell'area detta «franco-cantabrica», che possiede uno stile proprio e comprende la Francia centro-meridionale e la Spagna settentrionale, dove sono noti numerosi siti di particolare rilievo per l'alto livello tecnico e stilistico delle opere d'arte.
Da P. Graziosi (1956) è stata riconosciuta un'altra area con uno stile più semplice ed essenziale, definita «provincia artistica mediterranea» in quanto comprende siti dislocati in diverse zone del Mediterraneo centro-occidentale: in Spagna, nel Bacino del Rodano e in Italia.
La più recente classificazione cronologica dell'arte parietale paleolitica è quella di André Leroi-Gourhan (1965) che ha proposto una suddivisione in diversi stili (stile I, II, III, IV) raggruppati in quattro grandi periodi: prefigurativo, primitivo, arcaico e classico. Recentemente questa classificazione è stata oggetto di critiche in quanto vede lo sviluppo dell'arte paleolitica in maniera unilineare, da forme semplici a forme più complesse (vedi le denominazioni date ai singoli periodi). Si é notato infatti che l'arte preistorica nasce già matura concettualmente e stilisticamente, come dimostrano alcune incisioni aurignaziane (come i segni vulvari) in cui è palese la tendenza, estremamente moderna, di voler rappresentare una parte in funzione del tutto. Inoltre recentemente è stata scoperta la grotta dipinta di Chauvet-Pont d'Arc nell'Ardèche, decorata da pitture, datate col 14C attorno dai 36 ai 32.000 b.p., che, mostrando una grande raffinatezza soprattutto nella resa del chiaroscuro, sembrano essere il prodotto di una cultura figurativa già matura (Clottes e altri, 1995).
Dobbiamo anche aggiungere che non è possibile effettuare una suddivisione rigida in periodi stilistici diversi e distinti fra loro, perché è stata più volte riscontrata la compresenza, nel medesimo ambito culturale, di più stili diversi.
Nell'arte rupestre si distingue fra pitture rupestri e incisioni rupestri a seconda che le raffigurazioni siano realizzati a pittura o ad incisioni.
I soggetti più comuni nelle pitture rupestri paleolitiche sono i grandi animali selvaggi, come il bisonte. Sono spesso presenti anche impronte umane. I più noti siti con pitture rupestri paleolitiche si trovano a:
Le Grotte di Lascaux sono un complesso di caverne situato nella Francia sud-occidentale, vicino al villaggio di Montignac, nel dipartimento della Dordogna. I queste grotte si trovano esempi di opere di arte parietale risalenti al Paleolitico superiore: molte di queste opere vengono fatte risalire ad una data approssimativa di 17500 anni fa. Il tema più comunemente rappresentato è quello di grandi animali dell'epoca (fra i quali l'uro, oggi estinto), resi con grande ricchezza di particolari. Tra le figure più note ricordiamo la mucca che salta, databile al tardo perigordiano o maddaleniano, presente nella cosiddetta Sala dei Tori. Sono raffigurate circa 6.000 figure, raggruppabili in tre categorie principali: animali, figure umane e segni astratti. Non vi sono immagini del paesaggio circostante o della vegetazione del tempo. La maggior parte delle figure principali sono state dipinte sui muri usando i colori rosso, giallo e nero da un elevato numero di pigmenti minerali, compresi composti di ferro come l'ossido di ferro (ocra), ematite e goethite, così come i pigmenti contenenti manganese. Oltre 900 immagini possono essere identificati come animali e 605 di questi sono stati identificati con precisione. Di queste, ci sono 364 rappresentazioni di equini e 90 di cervi. Sono raffigurati anche bovini e bisonti, ciascuno dei quali rappresenta il 4-5% delle immagini. Altre immagini includono sette felini, un uccello, un orso, un rinoceronte e un umano. Non ci sono immagini di renne, anche se quella era la principale fonte di cibo per gli artisti. Le poche rappresentazioni di carnivori (sette in tutto come si è detto), come orsi e felini, si trovano negli angoli più remoti della grotta - una caratteristica condivisa con altri siti. Evidentemente i carnivori avevano un importanza minore nel mondo reale, e questo è si riflette anche nella grotta. Essi sono rappresentati nelle profondità più interne, collocati talvolta in disegni preesistenti (come l'orso nascosto nella regione ventrale di un grande uro), realizzati con tratti molto minimalisti e mascherati. I siti di arte rupestre in cui una figura umana appare più di una volta sono davvero rari e Lascaux non fa eccezione. Contiene una singola immagine di una figura antropomorfa, nella scena degli alberi. Più frequentemente, la resa grafica della figura umana è limitato a un segmento anatomico: immagini e rappresentazioni della mano negative o positive della femmina e, molto meno spesso, del sesso maschile. Le immagini umane possono anche assumere un aspetto criptico, con la sostituzione di parti animali con quelle umane, tra cui corna, corna, zoccoli, teste di uccelli e così via. Esistono due tipi di segni. I primi sono forme semplici (punti, linee, strisce, ecc.) e i secondi sono segni più elaborati che si trovano solo in alcuni siti (segni ramificati, forme quadrangolari o pentagonali e così via). La resa della terza dimensione, quindi della prospettiva, è un tema che è stato affrontato dai pittori di Lascaux. La resa della profondità avviene a vari livelli: nei dettagli anatomici, nella comprensione del soggetto nel suo insieme, e anche nella distribuzione, all'interno della stessa superficie, di diversi soggetti animali che fanno parte della stessa composizione. Prendiamo in esame a tal proposito il pannello dei due bisonti incrociati. Questi due animali si stanno allontanando simmetricamente l'uno dall'altro. La loro separazione tuttavia non è totale, perché le due figure sono sovrapposte a livello dell'ultimo quarto posteriore. L'espediente utilizzato per separare otticamente i due bisonti, la cui monocromia nera finirebbe per fondere insieme le due figure, è quello di lasciare uno spazio non colorato nel punto di incontro il quale permette di individuare chiaramente il profilo posteriore del bisonte in primo piano (quello di sinistra guardando l'immagine) e quindi di separare graficamente i due soggetti. L'effetto creato è quello avere posizionato i due bisonti su due piani differenti creando l'idea di profondità: in avanti il bisonte di sinistra, più indietro il bisonte di destra. Altre tecniche contribuiscono alla resa della terza dimensione come ad esempio la resa degli zoccoli. Quelli anteriori, in primo piano, sono disegnati in maniera più definita - si nota la linea centrale di fessurazione degli zoccoli - rispetto a quelli in secondo piano, i posteriori, resi semplicemente con la linea di contorno. Terzo accorgimento per rendere la prospettiva e addirittura l'idea del movimento di questo dittico è stata la scelta della superficie su cui dipingerlo. Gli artisti hanno selezionato una parete con una geometria diedrica molto aperta, e hanno posizionato un bisonte su ciascun piano. Lo sbalzo di questa particolare conformazione rocciosa provoca l'illusione di un balzo in avanti in direzioni opposte dei due animali, di una caduta verso l'osservatore situato in basso e, quindi, offre l'impressione di un movimento repentino, violento, come lo è il procedere di animali dotati di tanta potenza come i bisonti.
> Grotte di Lascaux, "vacca che salta"; > Grotte di Lascaux, uri dipinti; > Grotta di Lascaux, i due bisonti; > Grotte di Lascaux, raffigurazione di un cavallo; > Grotte di Lascaux, virtual tour (da Ministero della Cultura Francese
La grotta Chauvet, che prende il nome dal suo scopritore, si trova presso Vallon-Pont-d'Arc nell'Ardèche (regione Rhône-Alpes). La sua scoperta risale al 18 dicembre 1994 a opera dello speleologo e fotografo Jean-Marie Chauvet, accompagnato da due amici, Éliette Brunel e Christian Hillaire. Chauvet aveva sistematicamente esplorato la zona alla ricerca di grotte archeologiche, ritenendo, a ragione, che l'area potesse dare un importante ritrovamento. E infatti, dopo aver scoperto ed esplorato più di venti grotte con pitture, graffiti e reperti, ha trovato la magnifica grotta che ora porta il suo nome. La grotta corre per oltre 500 metri all'interno della montagna, e fu scavata nei millenni dal fiume Ardèche. Al suo interno sono presenti pitture e incisioni di diversi animali quali bisonti, mammut rossi, gufi, rinoceronti, leoni, orsi, uri, cervi, cavalli, iene, renne, lupi (pochi) ed enormi felini scuri (forse leopardi). Soli o ritratti in branco, nei colori resi disponibili dagli elementi naturali, gli animali raffigurati sono superiori alle 500 unità e sono databili al periodo aurignaziano, dai 32.000 ai 36.000 anni. Contrariamente alle altre grotte paleolitiche più recenti nella Dordogna, nei Pirenei e in Spagna, non sono stati riprodotti solo i grandi erbivori (cavalli, uro, bisonti) ma anche animali pericolosi come felini, mammouth, rinoceronti, orsi, che costituiscono la maggior parte del bestiario. La presenza di questi animali era precedentemente considerata rara ed eccezionale, invece a Chauvet essi sono i protagonisti delle grandi composizioni centrali. Nei pannelli più grandi gli animali creano scene realistiche in un modo che era sconosciuto prima all’arte del primo Paleolitico. Gli artisti di Chauvet hanno realizzato le immagini conferendoli prospettiva e profondità. L’uso del chiaroscuro, sconosciuto precedentemente, materializza i volumi del corpo e i dettagli interni. Le linee sinuose, i contorni non sempre ben definiti, i profili sovrapposti degli animali affiancati, i giochi di luce ottenuti attraverso l'utilizzo di più colori, conferiscono alle figure un elevato dinamismo. Grazie a queste tecniche taluni animali sembrano uscire dalla roccia stessa, altri rientrarvi. La teoria di animali dipinti sulla parete di sinistra della Sala del Fondo esprime senza ombra di dubbio un senso del movimento che difficilmente ci aspetteremo da una pittura preistorica: gli animali accalcati, sovrapposti sono disposti in fila e procedono con un moto ondulatorio, caotico ma ordinato, verso una stessa meta come se partecipassero ad uno stesso evento, una migrazione di massa o una solenne processione. Molti degli animali della grotta sono raffigurati in movimento con un realismo eccezionale che dimostra una osservazione acuta e un'ottima conoscenza del mondo animale, anche se la maggior parte delle riproduzioni è parziale: i dettagli anatomici abbondano per quanto riguarda la testa (criniera, occhi, bocca, orecchie, corna) mentre il disegno degli arti è spesso suggerito o approssimativo. Una delle più belle composizioni della grotta per qualità stilistica è il cosiddetto "pannello dei cavalli". In questa composizione che raffigura anche molti altri animali, ci sono due rinoceronti che si affrontano violentemente, si tratta di due maschi che combattono per il territorio nella stagione degli amori. Molte delle pitture sembrano eseguite da uno stesso individuo che sembra aver lasciato la sua firma, l'impronta della sua mano ottenuta attraverso la tecnica cosiddetta dello “spray orale”, mescolando vigorosamente il pigmento in bocca con la saliva per poi sputarlo contro la mano appoggiata alla parete.
> Grotta di Chauvet, parete sinistra della sala del fondo; > Grotta di Chaveut, pannello dei cavalli; > Grotta di Chauvet, impronta di mano; > Grotta di Chauvet, tour virtuale
La grotta di Altamira è una caverna spagnola famosa per le pitture parietali del Paleolitico superiore raffiguranti mammiferi selvatici e mani umane. Si trova nei pressi di Santillana del Mar in Cantabria, 30 chilometri ad ovest di Santander, nel nord della Spagna. La grotta originaria è lunga 270 metri e consiste di una serie di passaggi intrecciati e di camere. Il cunicolo principale ha un'altezza variabile dai due ai sei metri. La caverna si è formata grazie al crollo di precedenti fenomeni carsici nella roccia calcarea del monte Vispieres. Gli scavi archeologici nel fondo della cava hanno portato alla luce ricchi depositi di arte del Solutreano superiore (circa 18.500 anni fa) e del Maddaleniano inferiore (tra i 16.500 e i 14.000 anni fa). Nel lungo intervallo di tempo fra questi due periodi di occupazione umana la grotta è stata usata solo da animali selvatici. Il sito si trova in un punto strategico per poter sfruttare la disponibilità di cibo costituito dalla ricca fauna che abitava le vallate delle montagne circostanti. Circa 13.000 anni fa una frana bloccò l'entrata della caverna, preservandone così il contenuto fino alla scoperta casuale avvenuta nel 1879 in seguito al crollo di un albero. L'occupazione umana della grotta è stata limitata all'entrata, nonostante siano state trovate pitture per tutta la lunghezza del cunicolo. Gli artisti usarono carboncino e ocra o ematite per dipingere, spesso diluendo i colori per produrre tonalità diverse e creare così effetti di chiaroscuro; sfruttarono anche i contorni naturali dei muri per dare un'impressione di tridimensionalità ai soggetti. Il Soffitto Multicolore è l'opera più appariscente e mostra un branco di bisonti in differenti posizioni, due cavalli, un grande cervo e probabilmente un cinghiale.
> Grotta di Altamira, soffitto multicolore; > Grotta di Altamira, raffigurazione di un bisonte; > Grotta di Altamira, particolare del soffitto;
Le incisioni rupestri di epoca paleolitica in Europa sono più rare rispetto alle pitture; sono invece ampiamente documentate nel Neolitico. Fra i pochi esempi degni di nota dobbiamo ricordare la Grotta dell'Addaura in Sicilia e la Grotta di Trois Freres in Francia (in cui però alcune figure sono anche dipinte).
La Grotta dell'Addaura è un complesso di tre grotte naturali poste sul fianco nord-orientale del monte Pellegrino a Palermo, in Sicilia. L'importanza del complesso è determinata dalla presenza di incisioni rupestri databili fra l'Epigravettiano finale e il Mesolitico. In una delle grotte si trova un vasto e ricco complesso d'incisioni, databili fra l'Epigravettiano finale e il Mesolitico, raffiguranti uomini ed animali. In mezzo ad una moltitudine di bovidi, cavalli selvatici e cervi, viene rappresentata una scena dominata dalla presenza di figure umane: un gruppo di personaggi, disposti in circolo, circonda due figure centrali con il corpo fortemente inarcato all'indietro. È proprio sull'identità di questi due personaggi e sul significato della loro posizione all'interno del gruppo che sono state avanzate ipotesi contrastanti. Secondo alcuni studiosi si potrebbe trattare di acrobati colti nell'atto d'effettuare giochi che richiedono una particolare abilità. Secondo altri è stata descritta la scena di un rito, che prevedeva il sacrificio di due persone guidato da uno sciamano. Per suffragare quest'interpretazione è stata messa in evidenza la presenza, intorno al collo e ai fianchi dei due personaggi centrali, di corde che costringono il corpo ad un innaturale e doloroso inarcamento. Si tratta forse di un rito che prevede l"incaprettamento" e l'autostrangolamento, peraltro attestati in altre culture. Se si volesse seguire questa spiegazione, si dovranno leggere le figure mascherate, che circondano i due personaggi sacrificati, come sciamani che assistono alla cerimonia. A suffragio di questa ipotesi la rappresentazione del pene eretto nei due personaggi vittime di questo rito: l'erezione è infatti una conseguenza dello strangolamento.
> Grotta dell'Addaura, incisioni
La grotta di Trois-Frères è una delle più famose grotte del sudovest della Francia: si trova a Montesquieu-Avantès, nel dipartimento di Ariège. La grotta fa parte di un complesso ipogeo formato dal fiume Volp, che attraversa quella zona.Le raffigurazioni ivi conservate sembrano risalire a circa il 13.000 a.C. Più che dal punto di vista del valore artistico, le raffigurazioni di questa grotta sono eccezionalmente significative per la conoscenza delle credenze e dei riti magico-religiosi delle popolazioni paleolitiche. Le figure rappresentano con estremo naturalismo animali (cavalli, buoi, bisonti, renne, mammut, ecc.) eseguiti con una incisione profonda ma sottilissima, e sovrapposti l'uno all'altro in un groviglio di linee a prima vista indecifrabile. Ad indirizzarci a credere ad uno scopo prevalentemente magico di queste figure è la presenza di esseri fantastici, fra i quali molto noto è il cosiddetto "Stregone". Questa figura (di cui abbiamo già parlato nel paragrafo 6.4.), collocata più in alto delle altre, è in parte graffita e in parte dipinta: ha il corpo di un cavallo, e la testa, con occhi rotondi e becco quasi di uccello, è incorniciata da una fluente barba e sormontata da corna di cervo. È stato interpretato con la figura dello sciamano, con riferimento a quanto noto nel settore etnografico, ovvero ad un individuo con attività legate a pratiche cultuali e magiche.
Durante l'Aziliano scompare l'arte parietale e si diffondono particolarmente ciottoli o frammenti di osso o di pietra con motivi non più naturalistici ma di carattere geometrico o astratto. Questi li troviamo anche in Italia (vedi Villabruna).
Durante il Gravettiano assistiamo ad un notevole sviluppo della plastica antropomorfa con la comparsa in tutta Europa di statuette femminili in avorio, osso, argilla mischiata a polvere d'osso, che hanno in comune particolari convenzioni stilistiche.
Sono di dimensioni varie, generalmente piuttosto ridotte, intorno ai 10 cm di altezza media; presentano seni, ventre e glutei molto sviluppati, mentre altri particolari, quali i lineamenti del volto e degli arti, sono trascurati. La testa è sferica o ovoidale, quando non è costituita da una semplice appendice cilindrica o cuneiforme; le braccia sono ripiegate sui seni, o, negli esemplari dell'Europa orientale, riunite sul ventre; i piedi non sono rappresentati.
Sono comunemente chiamate «Veneri», denominazione data ai tempi delle prime scoperte, quando si supponeva che rappresentassero l'ideale della bellezza muliebre dell'epoca; successivamente l'accentuazione delle parti del corpo collegate alla maternità ha fatto propendere per un'interpretazione che vede in questi oggetti la volontà di esaltare la donna come madre, come creatrice di un nuovo essere umano, e il grande mistero della nascita.
Vediamo alcuni esempi.
Venere di Lespugue risale a circa 25.000 anni fa e ritrae una donna nuda, nella classica impostazione delle "veneri paleolitiche". In questa statuetta i connotati collegati alla maternità sono particolarmente abbondanti: i grandi seni penduli e i glutei rotondi sembrano esplodere dal resto del corpo e contrastano notevolmente con l'esilità de l busto. Fu scoperta nel 1922 in un cava vicino a Lespugue, ai piedi dei Pirenei. È alta circa 15 cm ed è scolpita in avorio. Fu danneggiata al momento dello scavo. Secondo alcuni esperti tessili come Elizabeth Wayland Barber, la statua ci offre la prima rappresentazione di un tessuto, infatti al di sotto dei fianchi sembra potersi notare una gonna fatta di fibre elicoidali, sfilacciate alla fine. Questa statuetta è conservata al Musée de l'Homme a Parigi (Francia).
Venere di Savignano (Modena), in serpentino verde, rinvenuta casualmente durante la costruzione di un edificio, la statuetta misura 22 cm; agli attributi femminili ben resi nei particolari ed esasperati si contrappone la testa costituita da un'appendice conica, come se fosse ricoperta da un cappuccio. Questa Venere risalirebbe al Paleolitico e la sua datazione dovrebbe essere circa 35 000 anni fa: il suo ritrovamento fortuito al di fuori di scavi condotti scientificamente impedisce di avere una datazione più precisa. La statuetta fu trovata nel 1925 a circa 1,2 metri di profondità durante uno scavo in località Prà Martein, situata nella frazione Mulino del comune di Savignano sul Panaro (Provincia di Modena). L'originale della Venere di Savignano è conservato al Museo nazionale preistorico etnografico Luigi Pigorini a Roma.
Venere di Willendorf, anche nota come donna di Willendorf, è una statuetta di 11 cm d'altezza, scolpita in pietra calcarea oolitica e dipinta in ocra rossa, non originaria della zona di rinvenimento, e risalente al 23.000-19.000 a.C. L'opera, raffigurante un fisico femminile steatopigico, è una delle più famose statuette paleolitiche; è attualmente in esposizione al Naturhistorisches Museum di Vienna. L’archeologo Josef Szombathy rinvenne la statuetta nel 1908 sepolta in un sito archeologico risalente al paleolitico nei pressi di Willendorf in der Wachau, in Austria. La vulva (che in teoria su una figura del genere non si potrebbe vedere in questo modo), il seno, la pancia e i glutei sono gonfi e molto pronunciati, a rappresentare un significato di prosperità e fecondità. Secondo alcuni studiosi anche il colore rosso ocra col quale la statuetta è dipinta rimanda al rosso, colore archetipico della passione, e del sangue mestruale che annunciava la rinnovata capacità della donna di poter dar seguito di nuovo alla vita. Le braccia sottili sono congiunte sul seno, e il volto non è visibile; la testa si direbbe coperta da trecce o da un qualche genere di copricapo di "perle".
Veneri dei Balzi Rossi: numerose statuine femminili (le cosiddette Veneri) dai tratti femminili molto evidenti furono rinvenute ai Balzi Rossi e oggi alcune di queste sono conservate a Parigi al Musée des Antiquités Nationales. Anche queste statuine riflettono i canoni steatopigici delle Veneri del Paleolitico Superiore.
Signora di Brassempouy (in francese La dame à la capuche, letteralmente "La signora col cappuccio") è un frammento di una statuetta in avorio, dalle delicate fattezze, risalente al paleolitico superiore scoperto vicino Brassempouy, Francia nel 1894. Con un'età stimata di 25.000 anni è la più antica rappresentazione realistica di un volto umano mai trovata. Rispetto infatti alle Veneri appena esaminate in questo esemplare sono raffigurati i dettagli anatomici del volto: a parte la bocca che è assente, naso e sopracciglia sono scolpite a rilievo e sopra la testa una serie di incisioni a scacchiera formata da due serie di solchi superficiali ad angolo retto gli uni tra gli altri, sembrerebbero indicare una parrucca, un cappuccio, o semplicemente una rappresentazione dei capelli. Mancando di tutto il resto del corpo non è possibile classificarla tra le veneri steatopigie. La piccola testa è scolpita in avorio di mammut; è alta 3,65 cm, profonda 2,2 cm e larga 1,9.
Figure femminili (e cosa insolita) una figura maschile, eseguite in bassorilievo, sono emerse dal riparo di Laussel in Dordogna.
Venere di Laussel: è una venere paleolitica alta circa 46 cm, scolpita in un bassorilievo e dipinta di ocra rossa; si stima che abbia un'età di circa 20.000 anni (quindi risalente al periodo Gravettiano). Quest'opera fu scoperta da G. Lalanne, un medico, nel 1911, a Laussel, che si trova in una valle francese nei pressi del piccolo fiume Beune, in Dordogna, una zona del dipartimento francese dell'Aquitania non distante da un altro sito preistorico davvero eccezionale, la grotta di Lascaux. Il corpo ha un volume accentuato, poiché è stata sfruttata la parte convessa del masso: il profilo della figura appare dunque ricurvo, e sporge soprattutto nella zona del ventre. Il corpo è frontale, mentre la testa, ora priva di lineamenti, è di profilo. Il risalto che hanno seni, ventre e ombelico, l'uso del colore rosso (ocra) e la presenza del corno confermano che siamo di fronte a un simbolo della fertilità.
Oltre che su statuette a tutto tondo l'arte mobiliare paleolitica si esprime anche su altri supporti; di pregevole fattura sono i propulsori scolpiti. Il propulsore è un'arma da lancio che permette di scagliare a grande distanza, anche più di 90-100 metri, una zagaglia (asta di legno con punte in pietra, osso, corno). Consiste in uno strumento in legno o corno con un gancio all'estremità dove viene inserita la zagaglia, impugnandolo, permette di allungare il braccio. In questo modo cambia la leva ed in più si utilizzano anche i muscoli del polso, imprimendo alla zagaglia una spinta anche più di 4 volte che nel lancio senza il propulsore. Pensate che nell'America centrale, durante la colonizzazione, era usata dai popoli locali come unica arma in grado di forare le corazze degli spagnoli. Atlatl è il suo nome nel nord America. I reperti più antichi risalgono al Solutreano superiore (18000-16000 anni fa) anche se il maggior numero di testimonianze sono state rinvenute negli strati del Maddaleniano. I propulsori erano realizzati in legno o in corno di animale (quasi sempre renna) e potevano essere scolpiti e riccamente decorati, diventando vere e proprie produzioni artistiche. Per la quantità di esemplari ritrovati la produzione dei propulsori si può considerare come uno dei primi esempi conosciuti di arte prodotta in serie.
Propulsore a forma di bisonte. Per modellare un intero bisonte dalla sezione palmata di un corno di renna, lo scultore ha magistralmente mostrato l'animale nell'atto di voltarsi all'indietro per leccarsi il fianco. La testa e il collo sono distinti in bassorilievo dal resto del corpo. Alcuni dettagli finemente incisi danno vita alla figura. La scultura potrebbe essere stata parte di un propulsore. L'oggetto è stato rinvenuto nella Grotta della Madeleine, ed è oggi conservato al Musée d'Archéologie Nationale, St Germain-en-Laye, Parigi, Francia. Misura 10,5 cm di lunghezza ed è datato al tardo Maddaleniano
> Propulsore a forma di bisonte
Propulsore a forma di mammut. Si tratta di un frammento di propulsore scolpito a forma di mammut sfruttando ingegnosamente la parte palmata della corna dove l'asta si allarga e si dirama verso i denti superiori. Per adattare la figura alla forma triangolare delle corna l'artista ha realizzato l'animale con tutti e quattro i piedi uniti in basso, in una posizione non del tutto naturale. Anche la resa del volto risente delle costrizioni imposte dal supporto. Tuttavia la sagoma che ne risulta è chiaramente identificabile con la rappresentazione di un mammut. Le zanne sono intagliate a basso rilievo lungo la parte inferiore del volto, e sopra di queste un foro su ciascun lato indica gli occhi anche se sproporzionatamente grandi e non nella corretta posizione anatomica. Sempre sopra le zanne ma in posizione centrale del volto si trovano, su ambo i lati, varie tacche incise su due livelli. Originariamente la coda dell'animale si piegava per formare l'uncino del propulsore, poi in seguito alla sua rottura è stato praticato un foro diagonale dalla parte superiore per inserirne uno nuovo in sostituzione.
> Propulsore a forma di mammut
Propulsore a forma di cerbiatto. Questa graziosa figura di cerbiatto o di daina è lunga circa 7 cm e risale a circa 16000 a.C. L'intero propulsore ha una lunghezza di 29,5 cm. La linea incisa lungo il corpo dell'animale probabilmente rappresenta un cambiamento nel colore del mantello. Sebbene la maggior parte degli autori ritenga che la protuberanza che esce dal posteriore dell'animale siano escrementi con due uccelli che si sono posati sopra, altri sostengono invece che si tratti del sacco amniotico e che l'animale stia partorendo. Le ragioni fornite sono che gli animali non guardano mai indietro per vedere i loro escrementi, ma di solito lo fanno quando partoriscono. Inoltre l'appendice in questione sembra essere troppo grossa per rappresentare degli escrementi, mentre è delle dimensioni giuste per voler raffigurare una sacco amniotico con il feto all'interno. Gli occhi sono incavati, originariamente dovevano essere riempite con resina o ambra. Dal punto di vista stilistico questo propulsore è di elevata qualità, un vero capolavoro dell'arte mobiliare paleolitica che testimonia una grande padronanza nella lavorazione delle corna di renna.
> Propulsore a forma di cerbiatto
Altri due propulsori da ricordare per la pregevole fattura sono uno raffigurante due stambecchi che si affrontano rinvenuto nella Grotta di Trois Freres e uno scolpito e inciso a forma di cavallo che salta proveniente dalla Grotta di Bruniquel (Tarn-et-Garonne).
> Propulsore a forma di stambecchi; > Propulsore a forma di cavallo che salta
Oltre che su statuette a tutto tondo l'arte mobiliare paleolitica si esprime anche su ciottoli e frammenti di osso incisi e dipinti. L'Epigravettiano italico appare ricco di queste manifestazioni.
Già al momento della scoperta della sepoltura epigravettiana dei Ripari Villabruna alcuni ciottoli del tumulo funerario mostravano segni organizzati di pittura; il più importante di questi, rinvenuto collocato all’altezza del bacino della salma del cacciatore, risultava dipinto con una rappresentazione schematica di tipo iperantropomorfo formata da una triplice linea longitudinale che solca in tutta la sua lunghezza ( circa 30 cm. ) il ciottolo, interpretata dagli studiosi, come il corpo del defunto, mentre una serie simmetrica di linee spezzate che si dipartono da una parte e dall’altra della linea principale sono state interpretate come una moltiplicazione enfatizzata degli arti, con l’intento di evidenziare simbolicamente la grande forza del cacciatore.Viene spontaneo collegare questo dipinto con quello similare raccolto a Riparo Dalmeri dove, su una pietra dipinta compare il motivo schematico e stilizzato di una figura umana le cui caratteristiche figurative essenziali risultano piuttosto affini ( sono raffigurati con il medesimo stile pittorico solo gli arti superiori e inferiori senza moltiplicarli a dismisura). Le datazioni dei siti permettono di attribuire una differenza temporale, tra un reperto e l’altro, di un migliaio di anni. Il complesso dei ciottoli dipinti può essere considerato come l’unica espressione artistica prodotta in Europa dall’uomo paleolitico in correlazione con una sepoltura, aspetto molto importante in quanto esalta l’aspetto spirituale, artistico e culturale di queste genti della fine del Paleolitico superiore (da www.archeogordo.it)
> Ciottolo dipinto dai Ripari Villabruna; > Pietra dipinta dal Riparo Dalmieri
In Italia è maggiormente attestata l'arte mobiliare. Nell'ambito di questa è da ricordare un frammento osseo proveniente da Grotta Paglicci che ha su una faccia figure animali rese in maniera complessa tipicamente franco-cantabrica e sull'altra animali resi in maniera più semplice tipicamente mediterranea: Italia come incontro di diversi stili.
> Grotta Paglicci, incisione di un cavallo bersagliato da dardi, su osso;