La liberazione dalle orde gutee fu determinata da un episodio bellico singolo, e non presentò particolari difficoltà. Un re di Uruk, Utu-khegal (2120-2112 a.C.; unico della «quinta» dinastia di Uruk) mobilitò moralmente e militarmente i suoi sudditi, affrontò in campo aperto l'esercito mandatogli contro dal re guteo Tirigan (insediato da appena un mese), e lo sconfisse: Tirigan fuggì nella città di Dubrun dove però venne ucciso. Così finisce l'avventura dei Gutei che per circa un secolo, secondo la Lista Reale Sumerica, avevano tolto la sovranità a Sumer. Questo momento memorabile per Sumer è ricordato degnamente in una iscrizione di Utu-khegal.
In essa, il re di Uruk, Utu-khegal, dice espressamente di aver ricevuto l'ordine di annientare i Gutei proprio da Enlil, il garante della regalità. Egli è cosciente della responsabilità che pesa sulle sue spalle, per questo chiede aiuto non solo alla dea Inanna perché gli dia tutto il suo appoggio, ma anche ad altri dei come Dumuzi, lo sposo della stessa Inanna, e soprattutto al mitico eroe Gilgamesh.
L'impresa che Utu-khegal si accinge a compiere ha così il sostegno dell'intero mondo divino; non per nulla il re durante il viaggio che lo porta ad Uruk fino al cuore della regione dove i Gutei si erano insediati, non trascura mai di offrire sacrifici e rivolgere preghiere agli dèi tutelari dei luoghi che attraversa.
Tutte le premesse della vittoria sono date. Da ultimo un presagio favorevole, l'eclissi di luna, assicura l'esito positivo della dura guerra. L'esercito di Uruk esce vittorioso dallo scontro con il nemico, e l'ultimo re della dnastia gutea, portato in catene al suo cospetto, viene sottoposto al rito che spesso vediamo riprodotto nelle raffigurazioni mesopotamiche di tutti i tempi: il vinto si prostra ai piedi del vincitore e questo, in segno di superiorità, pone il piede sulla nuca del perdente.
Molti sono gli insegnamenti condensati in questa iscrizione, ma l'idea di fondo è una sola: la regalità ritorna nella sua sede naturale, a Sumer, e il merito di questo atto epocale è un re di Uruk, Utu-khegal.
Nei momenti di grandi difficoltà è sempre Uruk a salvare Sumer. Il ruolo di guida del paese che le spettava per aver inventato la prima città, la prima scrittura e il primo commercio sulle lunghe distanze, lo seppe esercitare anche in occasione della sollevazione di Sumer contro i barbari del Nord.
Facciamo un piccolo passo indietro. Il fatto che la Lista Reale Sumerica non faccia alcuna menzione di Lagash durante l'interregno guteo, e la testimonianza di alcuni testi letterari (come La maledizione di Akkad e l'iscrizione di Utu-khegal) secondo cui i Gutei avrebbero esercitato un impatto devastante e una supremazia su tutta la Mesopotamia meridionale, ci avrebbero sicuramente dato una visione distorta della realtà politica della Mesopotamia meridionale nell'ultimo scorcio del III millennio, qualora non fossero stati rinvenuti i documenti originali di quella che noi chiamiamo la II Dinastia di Lagash.
La ricchezza e la stabilità attestata da questi documenti per Lagash dimostrano non solo il grande potere di questo stato ma anche il fatto che esso godesse, come molto probabilmente tutta la Bassa Mesopotamia, di autonomia e di indipendenza dal fantomatico regno dei Gutei. In altre parole, leggendo le numerose iscrizioni della dinastia lagashita, si potrebbe sospettare che l'invasione gutea sia stata semplicemente il frutto della fantasia dei compositori della Lista Reale. Forse non è così, ma certo è che l'entità di questa invasione dovette essere molto minore rispetto a quanto ci hanno tramandato i testi.
La II dinastia di Lagash fondata dal principe Ur-Baba e che trova il suo massimo esponente in Gudea, dovette regnare all'incirca cinquant'anni. Delle numerosissime iscrizioni ufficiali soprattutto dei primi tre sovrani della dinastia, Ur-Baba, Gudea e Ur-Ningirsu, emerge un'intensa attività edilizia e un'attenta cura per i sistemi di irrigazione nello Stato di Lagash. Dai documenti poi di Gudea, senz'altro il più prolifico letterariamente – di lui ci sono pervenuti, oltre a due magnifici cilindri, numerosissime iscrizioni su statuette –, traiamo la conclusione che il regno inglobava certamente Uruk e che il commercio internazionale sia via terra sia via mare era saldamente in mano a Lagash. Il successore della prestigiosa Dinastia di Akkad è quindi, almeno per quanto concerne i rapporti internazionali, il piccolo Stato di Lagash, che certo non avrebbe potuto svilupparsi così ampiamente se in effetti i Gutei avessero avuto quel ruolo che viene loro riconosciuto dai cronosti ufficiali.
Soffermandoci brevemente proprio sul commercio di Lagash con i paesi della Fertile Mezzaluna ed oltre, val la pena citare alcuni brani delle iscrizioni di Gudea. Si tratta, è bene sottolinearlo, di notizie dateci come per inciso. L'argomento infatti che più sta a cuore al secondo sovrano della dinastia è la costruzione del tempio di Ningirsu, il famoso Eninnu descritto ampiamente nei summenzionati cilindri. E proprio parlando di materiali di costruzione, Gudea fornisce quei dati che per noi sono così rilevanti per comprendere l'espansione sia territoriale che commerciale del suo Stato.
In tutte le statue si ricorda che la diorite con cui esse sono scolpite proviene dal paese di Magan, identificato dagli studiosi con la regione dell'attuale Oman.
La stessa informazione è contenuta nella statua D, dove però si ha l'aggiunta dei paesi di provenienza del legname: si tratta dei paesi di Meluhha, Gubi e Dilmum. Noi apprendiamo quindi che Gudea commerciava anche con la lontana India e con i paesi montagnosi dell'Iran, oltre ovviamente che con l'isola Bahrein.
Le notizie però più esaurienti sull'estensione della rete commerciale del regno di Lagash al tempo di Gudea ci vengono date dalla statua B e dai due cilindri dai quali apprendiamo che Lagash controllava sia il mare superiore che il mare inferiore nonché i paesi al di fuori della Mesopotamia, quali il Libano, la Turchia, l'Iran.
o avesse ottenuto tale prerogativa conquistandosela con le armi.
Quando in uno dei due cilindri Gudea dice che «gli elamiti vennero per lui dall'Elam, i Susiani vennero per lui da Susa» non possiamo non pensare ad una supremazia di Lagash almeno sul paese dell'Elam.
In conclusione, da tutte queste notizie ricaviamo che, proprio durante l'interregno dei Gutei, la Mesopotamia meridionale aveva in effetti riconquistato la sua indipendenza perduta sotto il regno semitico di Akkad.
Ciò vale ovviamente per lo Stato di Lagash al tempo dei suoi primi tre sovrani. Poco o nulla sappiamo invece degli ultimi tre personaggi che si sono succeduti sul trono fino alla sconfitta di Nammakhani, l'ultimo re, il quale anzi sarebbe perito nell'attacco di Ur-Nammu di Ur alla città-stato.
Il re Utu-khegal di Uruk, colui che era stato il liberatore di Sumer dalle orde barbariche gutee, subito dopo la sua strepitosa vittoria contro l'esercito guteo guidato dal re Tirigan, viene spodestato da un suo generale, Ur-Nammu (2112-2095 a.C.), che fonda una nuova dinastia. Sulla base della Lista Reale, questa è la III che ha avuto come capitale la città di Ur.
Tutti gli studiosi sono d'accordo nel sottolineare che il primo vero Stato sovranazionale della Mesopotamia sia quello creato da Ur-Nammu e dai suoi successori, in quanto ritengono che quello dei re di Akkad, sia stato semplicemente un pallido tentativo.
È questo un periodo che a ragione viene definito «la rinascita sumerica»: dopo infatti l'interregno semitico e i tempi bui corrispondenti all'invasione delle orde barbariche dei Gutei, i Sumeri riescono a riconquistare sicuramente, seppur per soli cento anni, il predominio su tutta la bassa Mesopotamia.
Iscrizioni di Ur-Nammu infatti provengono un po' da tutte le città del sud-mesopotamico, come Ur, Eridu, Uruk, Lagash, Larsa, Adab e Nippur, la qual cosa ci fa comprendere che tuto il cuore di Sumer era pienamente inglobato nel nuovo regno. Il fatto poi che il suo nome sia attestato fino a Tell Brak, ci consente la conclusione che egli non soltanto abbia consolidato il suo potere sulla Bassa Mesopotamia, ma che controllasse anche regioni ben più lontane. Ur-Nammu assume il titolo di «re di Sumer e di Akkad»: così facendo non solo indica l'estensione del suo regno ma sancisce e rispetta al contempo la diversità non solo geografica ma anche etnica della Mesopotamia centrale e meridionale.
Ma l'importanza del regno di Ur-Nammu non sta tanto nella sua estensione, quanto piuttosto nella sua organizzazione. Le città incluse nel regno di Ur perdono la loro millenaria autonomia: a capo di esse c'è sempre un ensi, ma con questo titolo non si intende più un dinasta locale, ma un governatore designato dalla capitale.
Elemento non secondario in questa opera di organizzazione è l'emanazione di un codice di leggi, il primo che si conosca, e che se, da un lato, deriva la sua formulazione dai precedenti editti di riforma dall'altro vuol andare ben oltre, nel senso che non vuol essere più solo sanatoria di disfunzioni intervenute nel tempo, ma sistemazione organica e statica del modo di amministrare la giustizia. Evidente è anche la volontà di uniformare: Ur-Nammu stabilisce la misura standard del sila (capacità), della mina e del siclo (pesi), stabilisce le indennità standard da pagare nel caso di omicidi, delitti sessuali, danneggiamenti vari. Altrettanto importante è la redazione di un catasto generale del regno, con le singole province misurate e delimitate da confini precisi, e sottoposte alla gestione degli dèi e dei funzionari imperiali.
Dalle iscrizioni di Ur-Nammu risultano attività pacifiche: costruzioni di templi e ziqqurat (a Ur stessa, a Uruk, a Nippur, ecc.), scavo di canali, sistemazione di territori agricoli, apertura di traffici.
La dimensione e l'organizzazione del regno di Ur-Nammu si consolidano e si precisano sotto suo figlio Shulgi (2094-2047 a.C.). Nei suoi inni auto-celebrativi, della prima metà del regno, Shulgi insiste essenzialmente sulle sue doti pacifiche, sulle sue capacità di scriba (sa scrivere sia sumerico sia accadico, sa parlare tutte e cinque le lingue del mondo), di giudice, di amministratore, di costruttore; invece nelle iscrizioni della seconda metà del regno insiste soprattutto sulle sue doti di forza fisica e di valore militare utilizzate però per difendere il paese di Sumer e di Akkad nel suo complesso contro gli attacchi dei barbari montanari del nord. Pace e giustizia all'interno («città non ne ho distrutte, mura non è ho abbattute»), forza vittoriosa all'esterno, è il motto ricorrente di Shulgi.
In effetti, dopo la riorganizzazione dell'esercito avvenuta nel 20° anno, la seconda metà del regno di Shulgi è dedicata ad una serie di campagne militari nel nord, dove sono minacciose popolazioni montanare (Lullubiti, Gutei, Sua) dai quali occorre difendersi; ma dove sono terre agricole e città importanti (dalle assire Urbilum e Ninive fino ad Urkish nella zona del Khabur) di cui Shulgi vuole impossessarsi. A giustificazione del titolo di «re delle quattro parti del mondo» Shulgi persegue evidentemente una politica non solo di protezione del nucleo Sumer-Akkad, ma anche di ampliamento e di controllo di nuove zone d'influenza..
I due figli e successori di Shulgi, Amar-Sin (2046-2038 a.C.) e Shu-Sin (2037-2029 a.C.) devono non continuare l'impegno paterno sul fronte settentrionale, ma prestare attenzione anche alle pressioni di un'altra popolazione che già si era affacciata minacciosamente contro l'impero di Akkad, gli Amorrei (in accadico) o Martu (in sumerico). Per fronteggiare questa popolazione realizzano un muro che attraversa l'alluvio poco a nord di Akkad, e che materializza la netta distinzione che nella «mappa mentale» neo-sumerica esiste tra paese interno (Sumer e Akkad) e periferia turbolenta.
Anche i re di Ur, come quelli di Akkad, dedicarono nei templi dei monumenti celebrativi, e anche di questi abbiamo qualche idea delle copie effettuate in età paleo-babilonese. Una raccolta di iscrizioni di Shu-Sin conferma l'impressione già delineata sopra: il trionfalismo celebrativo non si esercita più contro le città dell'alluvio, e neppure contro altri centri urbanizzati – elamici o siriani – quanto contro le popolazioni «barbare» e turbolente dei monti e delle steppe, alle quali gli stereotipi neo-sumerici (sulla falsariga di quelli già proto-dinastici) negano il possesso degli elementi fondamentali della civiltà, e arrivano a dubitare del possesso dei requisiti minimi dell'umanità. Shu-Sin trionfa in particolare sui Sua, altra popolazione o altra denominazione del composito serbatoio degli Zagros.
L'impero fondato da Ur-Nammu sotto Ibbi-Sin (2028-2004 a.C.) inizia una crisi che è al tempo stesso politica ed economica. L'uso delle formule di datazione nelle varie città, segno della loro dipendenza dalla capitale viene man mano a cessare, iniziando dalle più orientali. Le offerte dei governatori provinciali alle divinità di Ur si interrompono intorno al settimo anno. Nel sesto anno si lavora alle mura di Ur e di Nippur. Verso il settimo anno dunque il regno di Ibbi-Sin sembra di fatto limitato alla capitale e a poche altre zone. Contemporaneamente si manifestano crisi di produzione agricola e di approvvigionamento delle città. I prezzi dei principali prodotti crescono a dismisura a motivo della loro scarsezza.
Se i testi amministrativi registrano questi dati di fatto, dai testi letterari che descrivono la crisi si desume una duplice spiegazione: si accenna a difficoltà naturali, come le scarse piene del Tigri e dell'Eufrate che comportano difficoltà di irrigazione, e conseguente carestia. E si accenna fattori esterni, cioè alle incursioni di popolazioni barbariche, da un lato i Martu (detti anche Tidnum) che hanno evidentemente superato il muro eretto per contenerli, dall'altro i Gutei e i Sua che scendono dagli Zagros e devastano le città al centro (Kish, Adab) spingendosi fino all'estremo sud (Eridu). Una testimonianza emblematica di questa situazione ci viene offerta da un funzionario di Ibbi-Sin, Ishbi-Erra (originario di Mari), che, inviato nel nord, nella zona di Isin e Kazallu, al fine di procurare grano per approvvigionare la capitale, scrive al re che è impossibile eseguire la missione perché i «Martu tutti quanti sono entrati all'interno del paese, conquistando una ad una tutte le grandi fortezze». Chiede perciò di essere incaricato della difesa di Nippur e di Isin.
Ibbi-Sin non è in grado di fronteggiare personalmente il pericolo e la disgregazione: confida in Ishbi-Erra (2017-1985 a.C.), il quale però approfitta della situazione per rendersi autonomo. Se le incursioni gutee e amorree portano distruzione e occupazioni momentanee, l'occupazione elamica della provincia di Lagash e l'autonomia del nord sotto il nuovo regno di Isin fondato da Ishbi-Erra, riducono l'impero ad un'entità politica di raggio cittadino. È difficile dire perché Ibbi-Sin non abbia opposto un'efficace resistenza militare; ed è difficile dire se i fattori economici della crisi precedano o seguano i fattori politici e militari. I testi letterari mettono tutto sullo stesso piano, considerando i vari elementi di crisi come espressione di una generalizzata decisione degli dèi e di determinare la fine di Ur – non per qualche evidente «peccato» da parte dei regnanti, ma semplicemente perché «ad Ur era stata sì assegnata la regalità, ma non regno eterno! Sin dai tempi antichi quando la terra fu organizzata e fino a quando la gente si è moltiplicata, chi ha mai visto un regno la cui regalità sia eterna?».
Ibbi-Sin continua a regnare a lungo (25 anni in tutto), finché arriva il colpo finale. Un attacco elamico contro la capitale induce Ibbi-Sin ad asserragliarsi entro le mura; l'assedio è lungo e la città capitola per fame. Gli Elamiti irrompono nella città arresa, e saccheggiano le sue immense ricchezze, profanando sino i più venerandi santuari. Ibbi-Sin è catturato e condotto prigioniero a Susa, mentre ad Ur rimane per qualche tempo una guarnigione elamica, finché il mutato atteggiamento divino (questa è l'interpretazione ideologica del tempo) non consentirà la sua «liberazione» da parte di Ishbi-Erra e la sua ricostruzione.
La distruzione di Ur, che era stata fino a pochi anni prima la capitale dell'impero, la più potente città del mondo, produsse un'enorme impressione.
Nella progressiva erosione e nel crollo finale dell'impero di Ur i nomadi semitici occidentali detti Martu in sumerico e Amurru in accadico (donde «Amorrei») hanno giocato, come si è visto, un ruolo di primo piano. La loro penetrazione nell'area mesopotamica determina una forte amorreizzazione a livello etnico tant'è che a capo di varie città mesopotamiche troviamo sovrani amorrei che fondano nuove dinastie. È da osservare che mentre l'elemento amorreo prende il sopravvento in quella che era stata l'area di Ebla e della «tradizione di Kish», contemporaneamente l'elemento accadico prende il sopravvento in quella che era stata la zona sumerica. Non che l'arrivo degli Amorrei abbia provocato un dislocamento più meridionale degli Accadi. Questi erano già da tempo prevalenti su tutta l'area centro e basso-mesopotamica, dove però le tradizioni scribali e politiche sotto Ur III avevano soprarappresentato il peso dell'elemento sumerico ormai residuale. L'arrivo degli Amorrei segna quella frattura politica e culturale che consente all'elemento accadico di diventare ormai egemone, di emergere a livello scribale in maniera definitiva, e di confinare il sumerico al ruolo di lingua di cultura e di tradizione religiosa e letteraria. Alla vecchia simbiosi sumero-accadica si sostituisce la nuova simbiosi accadico-amorrea.