Nel Vicino Oriente sono state ritrovate le più antiche attestazioni di quella che è stata definita da G. Childe la «rivoluzione neolitica», ovvero il passaggio dalla caccia e raccolta del paleolitico e dell'epipaleolitico alla coltivazione di piante commestibili e all'allevamento di alcune specie animali. Dopo millenni trascorsi dall'umanità nello stadio del semplice sfruttamento del cibo già esistente in natura, sembra che alcuni gruppi umani dell'Asia anteriore, intorno al 9000 a.C. abbiano dato vita ai primi tentativi di produzione dei mezzi di sostentamento. Questo fenomeno storico di eccezionale rilievo, che, vertendo sull'addomesticamento delle piante e degli animali, colloca l'uomo in una posizione singolare e nuovissima nell'ambito dei rapporti ambientali, è stato chiamato, come si è detto, «rivoluzione neolitica» per indicare l'innovazione radicale ma non certo improvvisa che esso comportò nelle strutture sociali ed economiche. Questo carattere «rivoluzionario» della fondazione di tecniche di produzione infatti non deve far ritenere che ad essa abbia dato luogo un singolo evento improvviso e sconvolgente che possa poi aver gradualmente influenzato comunità più arretrate, ma piuttosto si deve pensare che ad essa si sia giunti per stadi e per tentativi. Né il fenomeno della produzione del cibo si accompagna da subito e pariteticamente, nella realtà documentata dall'archeologia, alla fabbricazione della ceramica e alla creazione dei villaggi come invece vorrebbe l'immagine tradizionale delle culture neolitiche che considera questi fenomeni tra loro coerenti e quindi coevi e inscindibili. Nell'area del Vicino Oriente si hanno infatti casi di raccolta intensiva e di produzione incipiente, di agricoltura non sedentaria e di neolitico aceramico. Questa varietà di situazioni che si colloca nelle zone in cui la rivoluzione neolitica ebbe origine, spiega come questa sia avvenuta in maniera progressiva e quindi per stadi e anche per tentativi.
Allo stato delle nostre conoscenze la prima sperimentazione delle tecniche di produzione del cibo si verifica grosso modo lungo il margine esterno della «fertile mezzaluna», su un arco che va dalla Palestina attraverso la fascia pedemontana del Tauro e dello Zagros, fino al Khuzistan. Solo in un secondo tempo, col VI millennio a.C., le grandi culture ceramiche del neolitico dilagheranno da un lato nel bassopiano mesopotamico e dell'altro sugli altopiani anatolico ed iranico. E solo in una terza fase (alla fine del IV millennio) la Mesopotamia acquisterà il ruolo centrale che la caratterizza per tutta l'età storica nei rispetti della propria «periferia». Questa fascia pedemontana di cui abbiamo parlato risulta particolarmente adatta alla prima sperimentazione delle tecniche di produzione del cibo in quanto in essa vi si realizza quel contatto ravvicinato tra ecosistemi differenti che agevola sia l'utilizzazione di risorse diverse sia il pendolarismo al seguito degli spostamenti stagionali degli animali e delle risorse vegetali, ma soprattutto perchè in essa si trovano allo stato selvatico le specie vegetali (graminacee e leguminose) ed animali (caprovini soprattutto) che costituiscono la base della rivoluzione neolitica.
Ma procediamo con ordine e facciamo un piccolo passo indietro. Il periodo immediatamente precedente (ca. 15.000-10.000) alla «rivoluzione neolitica», definito epipaleolitico in base alla tipologia dell'industria litica è ancora un periodo di caccia e di raccolta intensificata. Gli insediamenti umani sono ancora prevalentemente all'interno di caverne per piccole comunità caratterizzate da una certa mobilità per seguire nei loro spostamenti gli animali che ancora costituiscono la base principale della loro dieta. Tuttavia si notano alcuni cambiamenti importanti. Questa mobilità di cui abbiamo appena parlato, si fa talvolta più circoscritta perchè alcune attività (come la pesca lacustre) invitano ad una maggiore sedentarietà. La caccia si rivolge a specie più piccole rispetto a quelle preferite nel paleolitico e comincia a selezionare gli animali da abbattere in modo da non depauperare il gregge, che l'uomo inizia dunque a controllare pur restandone esterno, ma gettando le premesse per il successivo addomesticamento. La raccolta delle graminacee e delle leguminose diventa più intensiva producendo effetti di involontaria selezione e diffusione. Le principali culture di questo periodo sono quella di Kebara in Palestina e quella di Zarzi nel Kurdistan iracheno.
Il periodo successivo, che va dal 10.000 al 7500 e definito della produzione incipiente (R. Braidwood) vede sviluppi ancora più importanti. Alcune specie di piccoli ruminanti che nel periodo precedente erano oggetto di una caccia selettiva, diventano progressivamente oggetto di una sorta di «simbiosi» con i gruppi umani che porta in alcuni casi anche all'addomesticamento. Addomesticamento che a sua volta porta all'utilizzazione del latte e del pelo (o della lana), all'abbattimento limitato ai soli maschi e alla protezione e guida ai pascoli delle greggi che cominciano così a diventare proprietà dei gruppi umani. L'avvenuto addomesticamento provoca negli animali delle modificazioni morfologiche che però, ovviamente, intervengono solo dopo lunghi periodi e quindi in questa prima fase sono di problematica individuazione. Per quanto riguarda le specie vegetali, graminacee (orzo, emmer, einkorn) e leguminose, i loro ripetuti raccolti e le osservazioni sul ciclo vegetativo deve aver indotto ai primi tentativi di coltivazione di cui si hanno le prime prove sicure alla fine del periodo a Mureybet (medio Eufrate) e a Gerico. Anche per le piante, così come per gli animali, l'addomesticamento produce modificazioni morfologiche che però in questa fase iniziale non sono ben riconoscibili.
Questi cambiamenti hanno notevoli conseguenze dal punto di vista sociale ed economico. Le comunità escono dalle caverne (dove evidentemente non si può coltivare) e si costruiscono delle abitazioni rotonde, in genere seminterrate e con alzato a capanna. Si distinguono campi-base permanenti (in prossimità dei quali iniziano i primi tentativi di coltivazione) e campi stagionali per la caccia (che resta attività sostanziale) e per la transumanza. Compaiono i primi silos per la conservazione dei raccolti e delle sementi da un anno all'altro, che mostrano superato il problema giornaliero del nutrimento. Greggi e campi comportano il concetto di proprietà e di trasmissione ereditaria: si hanno in effetti tombe, sia singole sia di gruppi familiari.
Questa fase della produzione incipiente, definita anche Proto-neolitico in quanto caratterizzata dalla più antica documentazione di specie animali e vegetali addomesticate, è rappresentata soprattutto in Palestina e nella fascia pedemontana iranica in siti come Zawi Chemi e Shanidar, e poi Kamir Shahir (nel Kurdistan), Ganjdareh e Asiab (nel Luristan), Bus Mordeh (nel Khuzistan).
È difficile periodizzare in modo netto, sia per le sfasature tra zona e zona sia per la progressività dei fenomeni, ma il periodo 7500-6000 può ormai dirsi pienamente neolitico: per il momento si parla di Neolitico aceramico, ma si può appunto parlare di Neolitico in quanto si adottano l'agricoltura (graminacee e leguminose) e l'allevamento (di caprovini, suini e alla fine del periodo anche bovini) come mezzi di produzione basilare e si hanno comunità di villaggio sedentarie di una certa consistenza (250-500 persone) con abitazioni in case di fango o mattoni crudi di pianta quadrangolare. La pianta quadrangolare delle abitazioni è significativa sul piano sociale: mentre la capanna rotonda corrisponde ad una struttura familiare per nuclei non ampliabili, invece la casa quadrangolare consente ampliamenti ed è indizio di una volontà di trasmissione ereditaria dei mezzi di produzione (campi e greggi).
Si hanno indizi di cooperazione interfamiliare di cui il caso più clamoroso sono le fortificazioni di Gerico realizzate probabilmente per difendersi dai grandi animali selvatici.
C'è un notevole sviluppo di contatti interregionali, come si può dedurre dalla diffusione dell'ossidiana (dall'Anatolia e dall'Armenia) e di conchiglie marine (dal Mediterraneo, dal Mar Rosso, dal Golfo Persico). Comincia a prender forma lo scenario neolitico del Vicino Oriente, con comunità di villaggio che producono il proprio cibo, che sono differenziate fra di loro per tipi di risorse accessibili e per grado di avanzamento tecnologico, e che sono in rapporto di scambio (anche a lunga distanza) per materiali pregiati e poco ingombranti (il cibo è tutto prodotto locamente).
Naturalmente non dobbiamo pensare che le innovazioni neolitiche si diffondano uniformemente e contemporaneamente ovunque, per cui a centri più avanzati fanno riscontro, in ambienti ecologici più difficili, gruppi ancora portatori di un'economia più arretrata.
Il problema delle «cause» del passaggio dalla caccia-raccolta alla produzione di cibo non è tale da potersi risolvere in maniera univoca: cause ed effetti, fattori indipendenti e dipendenti si intrecciano e sono malamente misurabili data l'insufficienza «statistica» dei dati. Comunque sia, sembra errata la spiegazione per pressione demografica: sia nella fase di raccolta intensiva e di caccia specializzata, sia nella fase di produzione incipiente, la popolazione è ancora talmente rada che le risorse disponibili sono comunque sufficienti. Quanto ai mutamenti climatici (a partire dal 10.000 il clima si fa più caldo e più umido), essi costituiscono verosimilmente lo scenario del mutamento tecnologico ed economico, ma non la sua causa. Da tenere in considerazione sono invece i limiti delle economie di caccia-raccolta: poiché le provviste di frutti selvatici o selvaggina dovevano esser raccolte, o catturate, quando e dove erano disponibili in natura, e poiché non vi era nessun mezzo per assicurarne una disponibilità continua se non limitandone la raccolta, o cattura, i cacciatori-raccoglitori erano costretti a spostarsi su immensi territori, praticamente ad ogni cambio di stagione. Dunque è possibile che il passaggio dal procacciamento alla produzione del cibo sia stato dettato dalla volontà, da parte dell'uomo, di possedere un controllo di lunga durata sui mezzi di sostentamento attraverso alcune indispensabili attività quali la coltivazione, il controllo delle greggi, l'immagazzinamento e la sedentarietà.
Alla fine del VII millennio sono ormai acquisite su tutta l'area del Vicino Oriente le basilari innovazioni che caratterizzano la cultura «neolitica» in senso tradizionale: oltre all'insediamento per comunità di villaggio, alla coltivazione delle principali piante alimentari (graminacee, leguminose) e all'allevamento di caprovini, suini e bovini si affermano anche altre tecniche tipicamente neolitiche come la tessitura (lana, lino), la prima utilizzazione del rame martellato (Cayönü, presso i grossi giacimenti di Ergani Maden) e soprattutto la produzione ceramica (che inizia nell'area degli Zagros: Ganjdareh, Tepe Guran).
Tutto il periodo che va dal 6000 al 4500, definito Neolitico ceramico vede la fioritura di tutta una serie di culture pienamente neolitiche, che conoscono punte di grande floridezza, e che, dall'arco pedemontano in cui erano state faticosamente sperimentate le tecniche produttive, trabordano da un lato sugli altopiani anatolici ed iranici, e dall'altro nell'alluvio mesopotamico. Le popolazioni infatti si spostano, portando con sé quel bagaglio basilare di piante e animali addomesticati, in queste regioni dove le tecniche di produzione del cibo non avrebbero potuto aver origine, ma che al contrario, mediante operazioni di disboscamento, drenaggio ed irrigazione (queste zone, infatti, trovandosi al di sotto della isojeta dei 200 mm di precipitazione piovosa, non permettono come nell'area pedemontana una coltivazione secca, cioè basata semplicemente sull'intensità delle piogge), offrono più ampi spazi per svilupparsi.
Gli insediamenti meglio noti di questa fase sono quegli dell'Anatolia grazie a studi approfonditi e a scavi eseguiti con tecniche più recenti. Tra questi dobbiamo segnalare Çatal Hüyük, Hagilar, Gian Hasan e Mersin.
Çatal Hüyük è il sito più impressionante: 600 per 350 metri di superficie, con una sequenza di 14 livelli che coprono l'arco cronologico 6500-5500. La base economica è quella tipica agro-pastorale, ma si caretterizza per scelte ricche (frumento piuttosto che orzo, bovini piuttosto che caprovini); per un'industria litica bellissima (in ossidiana per il 90%); per ceramica abbondante prima lustrata poi ad ingubbiatura, ma non dipinta. L'insediamento è compatto: le case monocellulari sono addossate le une alle altre, così che il loro fronte esterno costituisce un fronte compatto utile alla protezione; la circolazione avviene a livello del tetto dal quale si scende, attraverso scale, nelle stanze, e sul quale si svolge gran parte dell'attività domestica. Le abitazioni hanno uno schema fisso, con panchine addossate alle pareti, sotto le quali sono sepolti i morti, e sopra le quali si dorme, ed inoltre focolare e forno, ripostigli, la scala di accesso. Ma un terzo circa delle abitazioni, eguali per il resto alle altre si distingue per la presenza di una decorazione e di un arredo di carattere cultuale, nel quale ha posto preminente il bucranio, nonché simboli della fertilità e della generazione e figurine fittili femminili. Non si tratta di santuari (dato il loro uso abitativo), non di abitazioni di sacerdoti (data la loro frequenza), ma di culto domestico incentrato sulla fertilità, la generazione e la morte.
Diversa caratterizzazione hanno gli altri siti-guida del neolitico anatolico. Hagilar è sito più piccolo (100 m di diametro) e di più breve durata (ca. 5400-4800). Cronologicamente si salda a Çatal Hüyük, ma l'aspetto insediativo è molto diverso: case pluri-cellulari, con cortili, circolazione a livello pavimentale, niente panchine né decorazioni di culto.
Gian Hasan copre il periodo 4900-4500 ed ha abitazioni monocellulari con i muri rinforzati da pilastri interni che lasciano ben poco spazio alle attività domestiche.
Diverso ancora è il caso di Mersin che culmina nella cosiddetta fortezza, che è in realtà il risultato della giustapposizione delle case a formare barriera verso l'esterno – ancora un caso di coordinamento, ma non necessariamente di programmazione pubblica. Per il momento l'esplorazione territoriale non è ancora abbastanza sistematica da permetterci di conoscere l'effettiva estensione di queste culture.
Dunque per cercare di individuare delle unità culturali di scala regionale che superino la semplice dimensione del villaggio dobbiamo ricorrere, come spesso accade nello studio delle più antiche civiltà, alla produzione ceramica, uno dei pochi aspetti della cultura materiale di cui abbiamo una buona documentazione.
La prima cultura ceramica che si è individuata (abbastanza di recente) è quella di Umm Dabaghiya (ca. 6000-5500), nella zona a sud del Gebel Singiar, tra il Tigri e la steppa. L'insediamento ha case rettangolari a più ambienti, e magazzini ad aggregati di cellule quadrate. La ceramica è sia dipinta, sia lustrata, con decorazione sia applicata sia incisa. Seguono, nel periodo che va dal 5500 al 4500, tre importanti culture – Hassuna, Samarra, Halaf – i cui rapporti un tempo visti come di sequenza diacronica, sono invece certamente più complessi, con ampie contemporaneità e partizione piuttosto geografica: Halaf è la più settentrionale, Samarra la più meridionale, e Hassuna è abbastanza circoscritta tra le altre due.
La cultura di Hassuna segue a quella di Umm Dabaghiya grosso modo nella stessa area. Dura dal 5500 al 5000, coeva con la prima fase di Samarra a sud e con la prima fase di Halaf a nord, per essere poi assorbita da quest'ultima nelle sue fasi media e tarda. Gli abitati continuano la tipologia di Umm Dabaghiya, con case rettangolari. La ceramica distintiva, pur assai più avanzata tecnicamente di quella di Umm Dabaghiya, non è particolarmente vistosa.
La parallela cultura di Samarra, suddivisa in una fase antica (5600-5400), una fase media (5400-5000) e una fase tarda (5000-4800), è assai più vistosa, sia come insediamenti (case con molti ambienti) sia per la ceramica dipinta con motivi molto complessi e talvolta assai artistici (tipico lo schema «rotante», con soggetti anche naturalistici).
La cultura di Halaf, dopo una fase antica (5600-5300) si diffonde su tutta l'alta Mesopotamia estendendosi anche fino al medio-alto Eufrate e alla costa mediterranea nei periodi medio (5300-4800) e tardo (4800-4500). La diffusione è dunque assai più vasta di quella di ogni altra cultura anteriore, e significativamente coincide con tutto l'arco pedemontano dall'Eufrate allo Zab. Si pensa che l'origine della cultura di Halaf debba apporti rilevanti a genti montane scese dalla pianura per trovarvi più ampi spazi coltivabili e pascoli. Tratti di particolare arcaismo segnano gli aspetti insediativi, con abitati di ridotte dimensioni e con caratteristiche costruzioni a tholos (cioè rotonde, a cupola) precedute da un ambiente rettangolare allungato, un tipo che segna un indubbio regresso (come disponibilità di spazio e adattabilità a complessi maggiori) rispetto alle piante quadrangolari affermatesi ormai da secoli. Nonostante questo e altri tratti di arcaismo, la cultura di Halaf è dotata di un'indubbia forza di espansione che è per noi segnalata dalla diffusione della caratteristica ceramica di color camoscio chiaro decorata con motivi geometrici (chevrons o losanghe) disposti in bande continue o in metope che coprono tutta la superficie.