«Sembra chiaro che quella che ora è chiamata Grecia non fosse in antico stabilmente abitata, ma che prima avvenissero migrazioni e facilmente i singoli gruppi lasciassero la propria terra, costretti di volta in volta da gruppi più numerosi». Chiunque si rivolga allo studio delle origini greche non può non avvertire in questa famosa frase dell'introduzione alle Storie di Tucidide (I 2,1) un punto di riferimento essenziale.
Più avanti, nella sua opera Tucidide afferma che la più recente di queste migrazioni fu quella dei Dori. Ovviamente, questa migrazione, occupando l'ultimo posto in ordine cronologico, costituisce dunque quel fatto storico, a cominciare dal quale la Grecia avvia il definitivo processo di stabilizzazione e quindi la sua storia. Da qui, il grande interesse che da sempre è stato rivolto alla questione dorica. Secondo la tradizione, i Dori sarebbero arrivati dall'esterno della Grecia.
È importante dunque ricostruire la storia di questo periodo. E questo lo possiamo fare utilizzando tre tipi di testimonianze.
Il primo tipo, che possiamo considerare come punto di partenza, è costituito dalle leggende giunte a noi attraverso la tradizione letteraria. Tali leggende devono essere ovviamente trattate con cautela, nel nostro caso non soltanto perché spesso la tradizione popolare viene distorta per soddisfare gli interessi delle generazioni posteriori, ma anche perché le stesse fonti da cui possiamo ricostruirle sono disperse e seriori, ed inoltre sono state spesso rielaborate e dilatate, per andare incontro ad esigenze diverse: è assai pericoloso ricostruire dalle leggende un resoconto completo e sistematico sulla Grecia dei cosiddetti «secoli bui». Eppure, nella tradizione leggendaria sono registrati due eventi, che sembrano rivestire qualche importanza per la storia e che non possiamo non tenerne di conto.
Il primo riguarda la celebre invasione dei Dori. In epoca storica i Dori erano distinti dagli altri Greci innanzitutto per il dialetto, ma anche per certi costumi sociali comuni: per esempio, ogni stato dorico era diviso in tre tribù, che avevano sempre lo stesso nome; inoltre, vi erano alcune istituzioni primitive che si possono ritrovare in comunità doriche pur profondamente distinte, come Sparta e Creta. I Dori risultano sconosciuti nel quadro che Omero traccia della Grecia eroica, eppure essi arrivano ad occupare la maggior parte di quello che un tempo era stato il cuore del potere miceneo – come il Peloponneso –, ed in certe zone come Argo e Sparta governarono una popolazione asservita di Greci non dorici. La leggenda spiegava che erano arrivati solo in tempi recenti: i figli dell'eroe semi-dio Eracle erano stati banditi da Micene, e più tardi ritornarono con l'appoggio dei Dori a reclamare la loro eredità. La leggenda del «ritorno dei figli di Eracle» è un mito che fornisce una patente di legittimità: spiega infatti in base a quale diritto un popolo del tutto sconosciuto al mondo degli eroi dell'epica abbia ereditato il territorio dei Greci micenei e asservito una parte della popolazione che lo abitava. Quanto ci sia di verità storica in questa leggenda, si dovrà appurare in base a testimonianze di tipo diverso.
Un secondo gruppo di leggende concerne un'espansione dei Greci attraverso l'Egeo, verso la costa dell'Asia Minore che portò alla formazione di un altro gruppo linguistico e culturale, quello dei Greci ionici. Si tratta di racconti complessi, che toccano la fondazione delle singole città, ma il punto di partenza è per lo più Atene: ad Atene fecero tappa vari gruppi di profughi che andavano alla ricerca di nuove sedi.
Le leggende riguardo queste migrazioni sono confermate in certa misura dalla linguistica, ovvero dalla distribuzione dei dialetti nella Grecia storica. Il greco, come sappiamo, appartiene alla famiglia delle lingue indoeuropee, e sembra sia entrato in Grecia poco prima del 2000 a.C., quando le testimonianze archeologiche ci avvertono dell'introduzione di una cultura nuova di cui se ne faranno portatori i Greci micenei. Testimonianze di una lingua precedente, non indoeuropea, possono trovarsi nella sopravvivenza di certi toponimi che sono gli stessi di centri culturali del terzo millennio a noi noti. In che misura il linguaggio parlato dai nuovi venuti si sia trasformato in seguito al contatto con questa lingua anteriore, rimane incerto: comuque sia, almeno per il periodo miceneo, nella Lineare B si distinguono le caratteristiche peculiari della lingua greca.
Il greco classico era diviso in vari dialetti, interrelati più o meno strettamente gli uni agli altri. Il dorico era parlato nel Peloponneso meridionale e orientale – la zona che aveva costituito il cuore della civiltà micenea –, la Laconia, l'Argolide e forse la Messenia. Di qui si era diffuso, attraverso il gruppo meridionale delle isole egee, fino a Creta, Rodi e la costa sud-occidentale dell'Asia Minore. Il dialetto ionico era parlato in Attica, nell'Eubea e nel gruppo centrale delle isole Cicladi, nonché nella parte centrale della costa dell'Asia Minore. Diffuso più a nord nell'Asia Minore, il dialetto lesbico (eolico) è connesso con quelli parlati in Tessaglia e in Beozia, e la lingua di queste due aree risulta a sua volta connessa con i dialetti nord-occidentali, parlati in Etolia, nell'Acaia e nell'Elide. Per finire, in due zone remote ed isolate – le montagne dell'Arcadia e la lontana isola di Cipro – sopravviveva una forma di greco arcaico, noto con il nome di arcado-cipriota.
Sulla base di questi dati dunque la linguistica ha voluto vedere l'arrivo in Grecia, in tempi diversi, di quattro popolazioni indoeuropee differenti che parlavano quattro dialetti greci diversi.
Tuttavia l'archeologia esclude nel modo più assoluto quattro ondate di invasori greco-indoeuropei che si sarebbero sovrapposti gli uni agli altri nel corso del II millennio a.C. in Grecia. Anzi, al massimo ne può ammettere tre, anche se con una certa sicurezza ne può confermare soltanto una. E cioè quella dei primi greci che sembra si sia verificata, come abbiamo già detto, alla fine del III e l'inizio del II millennio a.C. quando effettivamente si riscontra un profondo cambiamento culturale. Questa nuova popolazione, stanziatasi sul territorio di quella che sarebbe diventata l'Ellade, non sembra subire influenze esterne né dover affrontare nuovi invasori o mutamenti etnici radicali fino alla fine del periodo miceneo, anche se, dall'inizio del periodo tardo elladico, si verificano, all'interno della cultura elladica, trasformazioni sociali profonde, documentate soprattutto dall'apparire delle famose tombe principesche di Micene e dai primi insediamenti palaziali. Ma tali trasformazioni potrebbero essere la conseguenza dello sviluppo di una società piuttosto che l'arrivo di nuovi gruppi etnici in Grecia. Anche l'invasione dorica che avrebbe causato la fine del popolo miceneo non può essere confermata (ma d'altra parte neanche smentita) con certezza attraverso i resti archeologici.
Quindi la linguistica ha tentato di risolvere il problema considerando che l'eolico e l'arcado-cipriota fossero i resti di un insieme più vasto che si sarebbe definito «gruppo acheo» ipotizzando così tre invasioni; sulla base di questo presupposto, è stata ricostruita una storia dei dialetti del II millennio. Il primo gruppo, approdato in Grecia alla fine del III millennio, sarebbe stato il gruppo ionico, il quale, verso l'inizio del tardo elladico, sarebbe stato sostituito in parte da popolazioni che parlavano il dialetto acheo (arcado-cipriota ed eolico) e, successivamente, alla fine del tardo elladico, sarebbe arrivata l'ondata dorica che avrebbe dato il suo assetto definitivo alla mappa dialettale della Grecia.
Questa ricostruzione implica che i suddetti dialetti si sarebbero tutti formati fuori dalle frontiere della Grecia in un periodo anteriore al 2000 a.C. e che tre ondate di invasori si sarebbero sovrapposte l'una all'altra durante un arco di tempo di circa ottocento anni. Se tale tesi fosse sostenibile, i greci della terza ondata, dopo quasi un millennio, avrebbero probabilmente parlato una lingua difficilmente intelligibile dai loro cugini, mentre le similitudini fra questi diversi dialetti, compreso ovviamente il dorico, sono di gran lunga superiori alle differenze.
In secondo luogo, la lingua greca contiene nomi di piante che appartengono all'area mediterranea e non sono di origine indoeuropea. Questi nomi sono trattati nei vari dialetti a seconda delle peculiarità afferenti a ognuno di essi, il che significa che sono stati assimilati dai greci prima della differenziazione del greco nei vari dialetti.
In terzo luogo, le caratteristiche dello ionico e dell'eolico sono legate a situazioni che, in più di un caso, appartengono al periodo post-miceneo e quindi il dialetto ionico e il dialetto eolico sono il risultato di nuovi sviluppi della lingua greca all'indomani del periodo miceneo. Probabilmente sono la conseguenza dell'isolamento culturale verificatosi dopo la disgregazione dell'unità micenea.
Le conseguenze di queste annotazioni sono di grande portata. Dobbiamo ritenere che la differenziazione fra i vari dialetti greci si sia verificata all'interno delle frontiere del paese, in un periodo quindi posteriore all'arrivo dei greci nell'Ellade, vale a dire al 2000 a.C. I dori, da quello che abbiamo detto, non possono perciò in nessun modo rappresentare una nuova ondata di invasori, ma fanno parte a pieno titolo della cultura elladica del cosiddetto medio elladico. Poiché in alcune regioni, come il Peloponneso, la Beozia e anche Creta, dove in età storica si parlerà il dialetto dorico, nel II millennio a.C. si parlava un dialetto non dorico, il miceneo appunto, che appartiene alla famiglia arcado-cipriota, si potrebbe pensare che dei greci (i dorici) insediati in un altra regione della Grecia, dove sarebbero rimasti per alcuni secoli, si sarebbero spinti verso le province del sud intorno al 1200 a.C.. La regione dove si sarebbero trattenuti i dorici potrebbe essere la Grecia nord-occidentale perché, come ha osservato E. Risch, i parenti più stretti dei dialetti dorici del Peloponneso e di Creta sono i dialetti del nord-ovest della Grecia (focese, locrese ed eolico), il che tenderebbe a dimostrare che i dori hanno occupato il Peloponneso e Creta a partire dal nord. Quindi, se fosse così, potremmo parlare non di «invasione dorica», piuttosto invece di «migrazione dorica».
Ma qui, come sottolinea John Chadwick, sorge un problema: per cambiare radicalmente il dialetto di una vasta porzione del territorio greco, questi invasori dovevano per forza essere assai numerosi. Ora, in verità, le tracce archeologiche che sono state rinvenute nella Grecia del nord-ovest (Epiro soprattutto) non consentono di ipotizzare una massiccia presenza umana di questi territori.
Resta dunque il problema di quale fosse la regione occupata dai dori. Chadwick propone di collocarli all'interno dello stesso mondo miceneo. La loro presenza sarebbe stata evanescente e non sarebbe risultata determinante per il semplice motivo che essi avrebbero costituito, accanto alla classe dominante del periodo miceneo, che parlava un dialetto appartenente alla famiglia arcado-cipriota, una specie di sottoproletariato agli ordini dei signori delle residenze principesche di Micene, Tirinto, Tebe, Pilo e Cnosso.
E. Risch, nel 1965, aveva riconosciuto alcune differenze dialettali all'interno del miceneo, tanto da parlare di due livelli di lingua nelle tavolette in lineare B: un miceneo «normale», cioè il miceneo canonico, che dalle testimonianze risulta appartenere al gruppo dialettale arcado-cipriota, e un miceneo «speciale», che presenta delle eccezioni rispetto agli esiti che ci si aspetta da parte di una lingua di questa famiglia. John Chadwick propone di vedere in questo miceneo «speciale» un «protodorico» per la presenza di alcune caratteristiche peculiari, trovando conferme a questa sua tesi estremamente suggestiva ma che permette di riconciliare in parte la linguistica e l'archeologia (in questo modo la mancanza di documentazione archeologica dorica si può spiegare con la somiglianza della cultura materiale dorica con quella micenea che rende difficile la distinzione).
Una tesi che fa anche cadere una delle ipotesi a lungo più accreditate riguardo la fine del popolo miceneo, e cioè quella dell'invasione devastatrice dei Dori che avrebbero distrutto i palazzi micenei. Dunque sono state avanzate altre ipotesi, fra cui quella delle catastrofi naturali e quella dell'invasione dei popoli del mare, che secondo alcuni potrebbe essere stata appoggiata addirittura dagli stessi Dori che vivevano in condizioni disagiate. Ma in che modo o se i dori hanno contribuito al crollo della civiltà micenea non è facile da stabilire; quello che è certo è che essi approfittarono del vuoto che si venne a creare, stabilendosi in buona parte della Grecia.
Questa mappa è almeno in parte congruente con le leggende sulle migrazioni del medioevo. Il dialetto arcado-cipriota sembra in stretto rapporto con il greco miceneo e data la continuità che a Cipro si realizzò fra epoca micenea ed epoca classica, è ragionevole considerare l'arcado-cipriota come testimonianza della permanenza micenea in zone remote e inaccessibili. Inoltre, il dialetto ionico (o ionico-attico) presenta numerosi tratti comuni con l'arcado-cipriota e quindi si può pensare che entrambi questi dialetti discendano da un unico gruppo linguistico di cui faceva parte il miceneo. Le differenze con questo si spiegano bene con sviluppi successivi divergenti.
Si è soliti riconoscere anche uno stretto rapporto tra l'eolico, i dialetti nord-occidentali e il dorico che, insieme alla distribuzione geografica di questi linguaggi, ci permette di confermare le leggende su una invasione del Peloponneso da nord-ovest in età post-micenea. Per molti aspetti, questa sembra l'ipotesi più ragionevole, anche se non si può escludere con certezza che questa invasione possa essere retrodatata.
Concludendo dunque, possiamo dire che la linguistica ci permette di avanzare l'ipotesi che in Grecia sia arrivata una prima ondata di popolazioni indoeuropee attorno al 2000 a.C. rappresentata da Ioni e da Achei e che l'apporto dei Dori fu comunque determinante, tanto da costituire l'input per la nascita della civiltà greca.