Di questo periodo si conoscono diversi abitati. Le case sono generalmente costruite in pietre tagliate in modo assai grossolano. Di solito hanno soltanto un paio di stanze ed un cortile. A Syros e a Paros sono state scavate delle abitazioni ad absidi (si tratta di costruzioni rettangolari con una delle estremità arrotondata). Questo tipo di architettura diviene comune in Grecia durante l’Antico Elladico III e sembra avere la sua origine in Asia Minore dove appare sin dal periodo di Troia I. Alcuni insediamenti sono fortificati come Haghios Kosmas nell’isola di Siphnos e il sito di Chalandriani a Syros che viene cinto da muraglie rafforzate da torri circolari (Godart 1994: 76-77).
Nelle necropoli, accanto alle tombe a cista utilizzate sin dal periodo precedente, si conoscono vari altri tipi di tombe, talvolta collettive nelle quali le sepolture sono sovrapposte. Le tombe a cista sono soprattutto diffuse nel gruppo meridionale delle isole, dove non mancano neppure quelle a fossa e a camera. Queste ultime sono più comuni nel nord e soprattutto a Chalandriani (Syros) dove le sepolture sono scavate sulla costa della collina. Qui le tombe hanno le pareti costituite dalla sovrapposizione di pietre piatte che formano un inizio di volta a canestro. La volta di queste tombe era chiusa da una lastra, posta dopo la deposizione del cadavere (Godart 1994: 77).
L’orizzonte Keros-Syros è caratterizzata dalla presenza di armi, strumenti e vasi di metallo. La ceramica si arricchisce di forme nuove: pissidi a forma di bobina, brocche a collo rialzato e becco obliquo, le cosiddette “salsiere” e vasi a forma di animali. Le superfici possono essere ricoperte da una lustratura di colore marrone, rosso o nero oppure decorate ad incisione o a stampo. I motivi geometrici si complicano: appaiono il cerchio e la spirale. Verso la fine del periodo compare anche una ceramica dipinta con decorazione bruna su fondo chiaro. Le padelle diventano molto diffuse con diverse variazioni soprattutto nella forma della presa. La loro decorazione è particolarmente ricca e comprende motivi rettilinei, spirali, rappresentazioni schematiche di navi, pesci e segni vulvari. Compaiono anche nuovi tipi vascolari in marmo come coppe e coppe con piede (Doumas 2000: 30-35).
La cultura di Keros-Syros è ben conosciuta grazie ai ritrovamenti di Tsountas nel sito di Chalandriani sull’isola di Syros. Tuttavia la sua distribuzione è molto ampia, estendendosi verso sud da Naxos fino a Santorini.
Varie analogie, in alcuni tipi metallici e la presenza delle cosiddette “salsiere”, indicano che la cultura di Keros-Syros è contemporanea all’Antico Elladico II della Grecia continentale, all’Antico Minoico II e alla fase Troia II. Di conseguenza può essere datata tra il 2700 e il 2300 a.C. (Doumas 2000: 19).
È il periodo più prolifico per la statuaria cicladica, durante il quale vengono prodotte le statuette più famose, quelle cosiddette a “braccia incrociate” (folded-arm figurines, FAF), che definiscono un nuovo tipo, denominato “canonico” (Doumas 2000: 43) in quanto diffusissimo e ricorrente per qualche secolo. Sono conosciuti centinaia di esemplari conservati nei musei di tutto il mondo. Tuttavia solamente una minima quantità proviene da contesti archeologici, mentre la maggior parte deriva da scavi clandestini e quindi dal mercato antiquario. Non solo, su alcune gravano forti incertezze circa la loro autenticità.
È attestato anche un tipo schematico denominato Apeiranthos dal nome di un sito sull’isola di Naxos (Renfrew 1969: 14-15).
La produzione schematica in questo periodo si riduce drasticamente tant’è che di questa categoria è attestato un unico tipo, che prende il nome dal villaggio di Apeiranthos, nella parte centrale dell’isola di Naxos. Queste statuette presentano una peculiare forma a bottiglia: il corpo è quadrangolare, o sommariamente trapezoidale, mentre una protuberanza cilindrica che si allarga alla sommità, indica il collo e la testa (fig. 3Ap; sch. 52; sch. 106; ). Di solito, la vita è del tutto assente e il profilo non è completamente piatto: quindi non si possono considerare Brettidolen. La maggior parte di queste figurine proviene da Chalandriani, altre da Keros e Spedos sull’isola di Naxos.
Con ogni probabilità questo tipo si è sviluppato dalle statuette schematiche della precedente cultura di Grotta-Pelos, probabilmente dal tipo B (Renfrew 1969: 29).
Al tipo canonico, cosiddetto perché di gran lunga il più diffuso e caratteristico delle Cicladi, appartengono figure femminili nude che tengono le braccia piegate ad angolo retto sul ventre, spesso definite, proprio per questo atteggiamento, statuette “a braccia incrociate” (in inglese folded-arm figurines, d’ora in poi FAF). Hanno volti sfuggenti, a forma di lira o triangolare, con una pronunciata curvatura della fronte e con un’unica protuberanza lievemente arcuata nel profilo, che vuol rendere la sporgenza nasale. La completa frontalità, la posizione standardizzata degli avambracci, con il sinistro sempre sopra al destro, e le gambe completamente o parzialmente unite, sono altre caratteristiche salienti di questo tipo. La fedele adesione a questi particolari iconografici non ha impedito, tuttavia, la creazione di sei diverse varietà con differenze sia cronologiche che stilistiche, che vedremo nel prossimo paragrafo.
Lo studio sistematico di queste statuette ha portato alcuni studiosi (Getz-Gentle 2001) ad individuare, all’interno delle stesse varietà, una serie di scultori – chiamati solitamente “maestri” – che prendono il nome dal museo o dalla collezione che ospita la maggior parte delle loro opere.
L’altezza di queste statuette oscilla quasi sempre tra i 20 e i 30 centimetri, ma esistono anche esemplari di dimensioni colossali come la grande statua di Amorgos oggi conservata al Museo Nazionale di Atene, che è alta 1,52 metri (sch. 68). Sono state trovate anche teste di dimensioni tali da far pensare che appartenessero a statue intere grandi quanto quella di Atene (sch. 69, 81, 82, 83).
Come già accennato, all’interno del tipo canonico si possono distinguere sei varietà con caratteri stilistici peculiari che prendono il nome dai principali luoghi di ritrovamento e che in ordine cronologico sono: Kapsala, Spedos, Dokathismata, Chalandriani, Kea e Koumasa.
Questa sequenza cronologica è stata stabilita, in minima parte, sulla base delle associazioni, e in prevalenza sulla base delle caratteristiche tipologiche, data la provenienza non archeologica della stragrande maggioranza delle FAF .
3.2.1.1. Varietà di Kapsala
Elementi peculiari della varietà di Kapsala sono: la testa piuttosto spessa e convessa nel profilo, le spalle strette, la flessione, talvolta marcata, delle gambe, i piedi orizzontali, l’assenza di dettagli incisi, le superfici rotonde, il modellato morbido e i contorni curvilinei. Si nota anche una considerevole plasticità in alcune parti del corpo, come le braccia e i seni, dove nelle varietà successive prevarrà, invece, l’incisione o un tenue rilievo. Le proporzioni sono generalmente slanciate e la silhouette è piuttosto snella (fig. 9; sch. 53 - 54 - 55 -56). Poiché alcune di queste caratteristiche (in primis plasticità e posizione dei piedi) ricorrono anche nelle figurine del tipo precanonico, questa varietà viene considerata la più antica fra quelle canoniche (Doumas 2000: 46).
Statuette di Kapsala sono state recuperate prevalentemente nelle parte centrale delle Cicladi, da Antiparos a Naxos e Amorgos.
È stato individuato un unico scultore che ha prodotto opere di questa varietà che è stato soprannominato Maestro di Kontoleon (Getz-Gentle 2001: 67-69; sch. 55).
3.2.1.2. Varietà di Spedos
Con la varietà di Spedos (così chiamata da un sito dell’isola di Naxos), quantitativamente, la più importante e quindi la più comune, si raggiunge l’acme della produzione scultorea cicladica. Elemento innovativo e distintivo è la resa dei piedi con le punte rivolte verso il basso che impedisce alle statuette di stare in posizione eretta. La struttura è piuttosto robusta e lo spessore è consistente. La testa ha, sovente, forma di lira che si allarga alla sommità. Le gambe sono unite ma, solitamente, distinte da una profonda fenditura. Il profilo esterno delle cosce e dei polpacci, quasi sempre separati fra loro tramite un’incisione orizzontale, assume, in alcuni esemplari, andamento segnatamente arcuato (fig. 10; sch. 57 - 58 - 59 - 60 - 61 - 62 - 63 - 64 - 65 - 66 - 67 - 68 - 69).
All’interno di questa varietà vengono generalmente riconosciute due fasi: Antico e Tardo Spedos (Doumas 2000: 46).
Antico Spedos. Si avvicina alla precedente varietà di Kapsala, essendo caratterizzata, come questa, da forme rotonde e da un modellato piuttosto morbido. Si distingue però per le proporzioni più tarchiate e per i fianchi maggiormente pronunciati.
Tardo Spedos. Presenta decisamente una minore plasticità, contorni più spigolosi ed un frequente uso dell’incisione per definire le varie parti del corpo.
Sono diversi i maestri riconosciuti, che hanno prodotto opere di queste varietà. Le sculture del Maestro di Copenaghen, che sembra essere stato attivo all’inizio del periodo, si distinguono per le dimensioni relativamente grandi, la silhouette snella, la testa piriforme e la posizione dei seni bassi sul petto (Doumas 2000: 47). La statuetta della scheda n. 59 è una delle sue più grandi creazioni.
Alla fase antica di Spedos è da ricondurre anche il Maestro di Bent, le cui statuette, che non superano mai i 25 cm di altezza, presentano le seguenti caratteristiche: spalle ampie ed appuntite, braccia rettilinee o leggermente concave, gomiti scolpiti sopra il ventre, fianchi larghi e gambe abbastanza corte (Getz-Gentle 2001: 70). Da notare come la mano destra sia sempre perfettamente allineata con il gomito sinistro (sch. 60).
La statuetta n. 61 è attribuita al Maestro di Steiner, le cui opere oscillano fra i 20 e i 60 cm di altezza e sono caratterizzate dall’assenza di angoli, dalla testa a forma di lira con ampie guance e collo corto, e da seni resi con piccole convessità.
Le sculture del Maestro di Naxos sono più o meno delle stesse dimensioni (18-72 cm di altezza) e sono tipiche figure della fase Tardo Spedos. La statuetta n. 62 è una delle suo opere più rappresentative: ha volto lungo con larghe guance, spalle strette e inclinate, seni alti, difficilmente discernibili, e braccia distinte in maniera piuttosto rudimentale (Doumas 2000: 47).
Il Maestro di Goulandris, così chiamato perché la maggior parte delle sue opere sono ospitate nel Museo Goulandris di Atene, è uno dei più prolifici (sch. 63 - 64). Tratti caratteristici dei suoi prodotti sono: il volto a forma di lira con un lungo naso conico e altri dettagli dipinti, le spalle molto inclinate, e le incisioni che demarcano chiaramente il collo, l’addome, il triangolo pubico, le ginocchia e le caviglie. Gambe solide senza fenditura centrale, un retro piuttosto arrotondato senza alcuna indicazione della colonna vertebrale e profili generalmente arrotondati sono altre peculiarità del Maestro di Goulandris (Doumas 2000: 47).
3.2.1.3. Varietà di Dokathismata
Le statuette di questa varietà mostrano, in generale, proporzioni allungate, contorni angolosi ed una silhouette elegante. Sono caratterizzate da una graduale rastremazione verso il basso, dalle spalle fino ai piedi. La superficie è liscia con i dettagli anatomici resi ad incisione, tranne che i seni, indicati con due leggere convessità. La testa ha forma solitamente triangolare, con mento arrotondato. Le spalle sono molto larghe ed inclinate e le gambe, completamente dritte, sono distinte da un’unica incisione, più o meno profonda (fig. 11).
La statuetta riprodotta nella scheda n. 70 può essere considerata una delle prime opere della varietà di Dokathismata poiché, oltre a caratteristiche di questa, come la silhouette elegante, proporzioni allungate e contorni angolosi, presenta tratti tipici della precedente varietà di Spedos, in particolare la testa a forma di lira (Doumas 2000: 47).
Estremamente tipiche di questa varietà sono due statuette venute alla luce dalla tomba 14 di Dokathismata (Renfrew 1969: pl. 5b-c). Un altro buon esemplare proviene da Syros (sch. 71). Uno particolarmente grazioso è conservato al Museo Goulandris (sch. 72).
La varietà di Dokathismata è attestata su un’area piuttosto ampia: si trova a Syros, Kea, Amorgos, Keros e Melos.
Un piccolo gruppo di statuette con testa a forma di scudo, naso lungo e aquilino e mento appuntito, raffiguranti, come sembra indicare la convessità del ventre, donne incinte, vengono attribuite alla stessa mano (Doumas 2000: 47). Questo talentuoso autore è stato chiamato Maestro dell’Ashmolean Museum dal nome del museo di Oxford che conserva la maggior parte delle sue opere (sch. 72).
Le sculture del Maestro di Berlino si contraddistinguono per le spalle decisamente inclinate, mento poco o per niente sporgente (tant’è che spesso il collo è separato dalla faccia tramite incisione) e volto fortemente convesso (Getz-Gentle 2001: 101-104). Per rappresentare le dita dei piedi e delle mani, la base del collo e il triangolo pubico vengono utilizzate incisioni molto nette e precise (sch. 73).
3.2.1.4. Varietà di Chalandriani
Tratti distintivi di questa varietà sono le proporzioni ridotte, le forme assai appiattite, la testa a forma triangolare e posta obliquamente sul lungo collo, le spalle squadrate e angolari, le gambe corte e tozze (fig. 12). Talvolta manca completamente l’addome, tanto che le braccia sono rappresentate direttamente sopra il triangolo pubico.
Tre esemplari di questa varietà, degni di nota, provengono dal sito di Chalandriani sull’isola di Syros (uno di essi è in scheda n. 74), altri due sono al Museo Goulandris, uno, veramente tipico, è conservato al Museo Archeologico Nazionale di Atene (sch. 75) e un altro si trova a Boston al Museum of Fine Arts (scheda 101).
La presenza di un certo numero di statuette di questa varietà con caratteristiche anomale rispetto agli standard del tipo canonico, ha indotto gli studiosi a definire un nuovo tipo, denominato post-canonico (Doumas 2000: 49). Le divergenze riguardano in particolare la posizione delle braccia che, talvolta ricalca quelle del tipo Plastiras o del tipo precanonico, talvolta è resa in modi del tutto nuovi. Accade infatti che il braccio destro sia disposto sopra al sinistro (sch. 76), o che uno, o entrambi, siano obliqui sul petto (sch. 77 - 78). La posizione dei piedi e l’indicazione di alcuni dettagli del volto come le orecchie, gli occhi e la bocca sono tratti arcaici. La generale piattezza, il torso squadrato, i seni a forma di bottone sono caratteristiche della varietà Chalandriani. Mentre il modo di rappresentare i capelli, le dita delle mani e dei piedi e gli organi genitali sono elementi assolutamente originali.
Le figurine di cacciatori o guerrieri sono probabilmente le creazioni più interessanti del tipo post-canonico. Sono statuette che indossano una sorta di bandoliera disposta obliquamente sul torso, resa o ad incisione o a rilievo oppure con un alternarsi di rilievi ed incisioni. Si conoscono, al momento, soltanto sei esemplari, di cui i cinque meglio conservati sono illustrati in fig. 13 (il sesto, frammentario, è molto simile al b e si trova al Museo Archeologico di Kea).
a) Londra, British Museum; h. 21,6 cm; provenienza ignota (scheda 101).
b) Atene, Museo Archeologico Nazionale; h. 23 cm; Syros (?).
c) Dresda, Staatliche Kunstsammlungen, Skulpturensamlung; h. 22,8 cm; Amorgos (?).
d) Statuetta perduta, si conserva solo un disegno. Faceva parte della Collezione Charles Stokes; h. 20,9 cm.
e) Atene, Museo Goulandris; h. 25 cm; Naxos (scheda 102).
Le statuette b e c, oltre alla bandoliera, indossano anche una cintura. Le ultime tre statuette sono rappresentate con un pugnale: nell’esemplare di Dresda questo è scolpito in rilievo al posto della mano destra; in quello del Museo Goulandris è inciso sul corpo nella stessa posizione di quello della statuetta d, che però è a rilievo. Le figurine a, b, c ed e hanno l’avambraccio destro orizzontale sull’addome (nel modo standard delle FAF), mentre quello sinistro risale verso il petto: nelle prime tre questo è parallelo alla bandoliera, nella quarta invece è verticale. Singolarmente nella statuetta d entrambi gli avambracci risalgono verso il seno. Nella statuetta e la bandoliera, contrariamente alle altre statuette, scende dalla spalla sinistra verso il fianco destro. La sua resa, però, è molto simile a quella della figurina d. Questi due esemplari hanno in comune un’altra peculiarità, cioè quella di essere stati trovati assieme a figurine femminili molto simili (Doumas 2000: fig. 341).
Nessuna statuetta di cacciatori/guerrieri è stata rinvenuta all’interno di un contesto archeologico e quindi la datazione è abbastanza problematica. Tuttavia, essendo, come si è detto, tipologicamente affini alla varietà Chalandriani si possono collocare, con ogni probabilità, alla fine dell’Antico Cicladico II. La loro ampia distribuzione geografica (se le loro provenienze sono corrette) e la buona probabilità che ognuna di esse sia stata prodotta da differenti scultori, suggeriscono che le statuette di guerrieri/cacciatori fossero un tipo iconografico ben definito in questo periodo (Getz-Preziosi 1979: 89).
Alcuni hanno ipotizzato che esso derivi da alcuni prototipi nord-siriani (Höckmann 1977). In realtà questo tipo compare all’interno delle Cicladi diversi secoli prima, tra la fine dell’Antico Cicladico I e l’inizio dell’Antico Cicladico II, come testimonia una statuetta al Museo di Toronto. Questa ha scolpita sul torso una bandoliera che dalla spalla destra scende verso il fianco sinistro e indossa un copricapo conico e una elaborata cintura. La presenza della bandoliera e della cintura inducono a supporre, nonostante l’assenza di organi genitali, che si tratti di una statuetta maschile. Il manufatto è detto proveniente da Creta, ma è chiaramente del tipo Louros (si è visto che statuette dello stesso tipo indossavano un copricapo simile), e più probabilmente, considerata la sua datazione, è stato trovato, o almeno fatto, nelle Cicladi (Getz-Preziosi 1979: fig. 3).
La realizzazione delle statuette di cacciatori/guerrieri nell’ultima parte dell’Antico Cicladico II coincide con la fase di maggiore produzione di armi in bronzo. Sono stati probabilmente l’accresciuta disponibilità e l’utilizzo di tali armi assieme al loro impatto sulle relazioni sociali, sia interne che esterne, che ha procurato lo stimolo necessario per la costituzione di un tipo di statuetta armata nel repertorio figurativo dell’Antico Cicladico II. È abbastanza probabile che queste figurine maschili non rappresentino divinità ma semplicemente uomini il cui status sociale è stato direttamente influenzato e le cui vite sono sicuramente cambiate, se non messe in pericolo, dai nuovi sviluppi nella metallurgia (Getz-Preziosi 1979: 94).
3.2.1.5. Varietà di Kea
Le statuette di questa varietà, definita, come le altre, dal Renfrew, presenta forti analogie con le varietà di Chalandriani e Dokathismata. Si distingue da queste solamente per la presenza di quattro o cinque incisioni orizzontali e parallele sull’addome che, sempre secondo il Renfrew (1969: 18), vogliono rappresentare l’aspetto del ventre materno immediatamente dopo il parto. Questa interpretazione, a mio avviso, sembra errata visto che nella plastica cicladica esistono esemplari maschili con le stesse linee incise (Getz-Gentle 2001: pl. 53). Oggi si tende ad escludere questa varietà e a classificare gli esemplari, a seconda dei casi, come Chalandriani o Dokathismata (Doumas 2000: fig. 236).
L’unica statuetta completa si trova al Museo Goulandris di Atene. Il materiale in cui è scolpita suggerisce però una provenienza extra-cicladica (sch. 79). Il solo esemplare proveniente da un contesto sicuro è stato recuperato dall’archeologo Caskey durante i suoi scavi sull’isola di Kea (Renfrew 1969: 18).
3.2.1.6. Varietà di Koumasa
Questa varietà, attestata esclusivamente sull’isola di Creta, è rappresentata da figurine molto piccole con spalle larghe e inclinate e gambe alquanto corte. Osservandole di profilo appaiono sottili e piatte, essendo quasi del tutto assenti i rilievi. I seni infatti non sono sempre indicati e le braccia, spesso, sono rese ad incisione. Il torso è leggermente inclinato in avanti mentre la testa all’indietro. Del tutto nuovo è l’uso dell’incisione per distinguere il volto dal collo (sch. 80).
Come nelle varietà Chalandriani e Dokathismata, le gambe sono completamente dritte non mostrando alcuna flessione delle ginocchia e le braccia, le gambe e il triangolo pubico sono individuati più dalle incisioni che dal rilievo. Tuttavia le figurine Koumasa differiscono da entrambe le varietà per la fusione della testa con il collo, e per le minori dimensioni (Renfrew 1969: 19).
Non esiste nelle Cicladi un unico prototipo per le FAF della cultura di Keros-Syros. Come abbiamo visto, anche nella precedente fase di Grotta-Pelos, sono state prodotte statuette marmoree in grande quantità, e come le FAF gran parte di queste sono state deposte all’interno di tombe. Un timido confronto, però, si può avanzare solamente con le figurine del tipo Plastiras che mostrano caratteri analoghi, ma mancano assolutamente di quella unità formale che contraddistingue le FAF e di due particolari essenziali: la testa inclinata all’indietro su cui è modellato un grosso naso e la posizione incrociata delle braccia (Renfrew 1969: 30).
È necessario precisare che alcuni caratteri delle FAF possono essere assolutamente originali e non necessariamente derivati. Tuttavia non si possono non considerare, per la presenza di analogie, alcuni interessanti precedenti.
Per la forma e la posizione della testa è possibile individuare diversi prototipi. Innanzitutto le teste delle statuette del tipo Louros che presentano una forma analoga, anche se mancano dell’indicazione del naso. Più vicine sono due testine fittili della necropoli di Kephala sull’isola di Kea (Neolitico Finale) che, analogamente alle FAF, sono inclinate e caratterizzate da un grosso naso (sch. 13). Una testa simile, sempre in terracotta, è stata rinvenuta nell’Agorà di Atene (sch. 15), assieme ad altri reperti, che come quelli di Kephala, sono in relazione al Neolitico Finale della Tessaglia. Del resto a Dimini sono state trovate teste in terracotta con grandi nasi. È dunque possibile che le teste di Kephala e di Atene, assieme a quelle di tipo Louros siano state ispirate da alcuni precursori della cultura di Dimini, e che abbiano, a loro volta, influenzato quelle delle FAF (Renfrew 1969: 30).
Per completare l’elenco dei confronti, si può ricordare anche una statuetta neolitica in calcare, proveniente dall’isola di Karpathos con volto triangolare dominato da un grosso naso, ora al British Museum (Fitton 1999: pl. 8).
Dunque l’inclinazione della testa e la generale semplicità della forma delle FAF trovano adeguati precursori in Grecia e nelle stesse Cicladi. Ma non vi sono, in queste due aree, soddisfacenti prototipi per la posizione delle braccia.
L’origine delle braccia incrociate va ricercata probabilmente fra le statuette in marmo della cultura di Gumelnitsa della Bulgaria (Renfrew 1969: 31). Questa cultura, grazie alle stratificazioni dei livelli V e VI del sito di Karanovo e ad alcune date radiometriche, si colloca nel IV millennio a.C. ed è dunque precedente alla fase cicladica di Keros-Syros. Oltre ad una certa varietà di figurine in terracotta, sono attestati due tipi piuttosto ben definiti: uno schematico, solitamente in osso, che si trova anche in Romania, e uno naturalistico in marmo (Renfrew 1969: pl. 3b). In quest’ultimo le braccia sono frequentemente incrociate anche se la testa non è inclinata e sul volto sono indicati vari particolari come la bocca, gli occhi e le orecchie.
È possibile che statuette del genere siano giunte nell’Egeo attraverso l’Anatolia, dove è attestata l’influenza balcanica, e abbiano ispirato la posizione delle braccia agli autori delle FAF. Significativa in questo senso è stata la scoperta ad Hasanoğlan, nell’Anatolia centrale, di una stupenda statuetta di elettro con le braccia perfettamente incrociate (Renfrew 1969: 31; fig. 16a).
Tuttavia il riconoscimento, piuttosto recente, del tipo precanonico con le braccia parzialmente conserte, fa propendere per la tesi di una evoluzione graduale delle braccia incrociate dalla posizione a mani congiunte delle figurine tipo Plastiras, a sua volta derivata dalle statuette neolitiche. In questo caso la formazione e lo sviluppo delle FAF sarebbero completamente autoctoni (Doumas 2000: 43-46).
L’aspetto originario delle FAF doveva essere molto diverso da quello che oggi si presenta ai nostri occhi. Molte, se non tutte, dovevano essere policrome, come testimoniano alcune statuette che conservano ancora tracce di colore blu e rosso fra i seni, nella posizione degli occhi, sulle guance e sul collo (sch. 67). Una testa del Museo Nazionale di Copenaghen, caratterizzata da varie decorazioni in rosso, è l’esemplare meglio preservato (sch. 81). Tracce di pigmentazione rossa si trovano anche su una testa del Paul Getty Museum di Malibu (sch. 82). Un’altra testa proveniente da Amorgos e conservata al Museo Archeologico Nazionale di Atene, ha il contorno degli occhi e alcune linee verticali sulle guance dipinti di blu (sch. 83).
Le analisi svolte sulle pitture hanno dimostrato che il rosso veniva ricavato sia dal cinabro (o vermiglio), l’unico minerale utile del mercurio, sia dall’ocra (Renfrew 1969: 23). Il primo si trova sull’isola di Kea, la seconda a Samos. Il blu sembra invece essere azzurrite (Renfrew 1969: 23), un minerale che si forma nelle zone di ossidazione dei depositi di rame, spesso in aggregazione con la malachite. Giacimenti di azzurrite sono presenti a Kythnos. Tutte queste sostanze venivano macinate per ottenerne pigmenti che venivano applicati sulle superfici delle statuette.
Probabilmente le statuine destinate alle tombe venivano tatuate con questi colori insieme ai defunti, come suggerisce il rinvenimento, all’interno di alcune sepolture, di una buona quantità di pigmenti (a volte contenuti all’interno di vasi) e macine (Renfrew 1969: 23-24).
In alcune statuette le caratteristiche del volto, come gli occhi, i sopraccigli e la bocca, sono lievemente incisi, in altre invece sono a rilievo. È probabile che le incisioni venissero successivamente riempite di colore (Renfrew 1969: 23), mentre il rilievo sia stato indotto dalla presenza di pittura che ha permesso la preservazione delle superfici originarie, a differenza delle aree circostanti che invece sono state erose (Doumas 2000: 145; sch. 65 - 66). In conclusione, le FAF così come molte sculture greche arcaiche, non devono essere immaginate nella bianca purezza del marmo ma vivacemente decorate con pittura.
Il favore che le statuette cicladiche riscuoterono nel mondo mediterraneo è testimoniato dalle importazioni a Creta (Antico Minoico III), a Troia II, a Lesbo, ma soprattutto è rispecchiato da una tendenza molto diffusa di imitarne i tratti essenziali in produzioni locali. Le figurine della varietà di Koumasa essendo state prodotte soltanto sull’isola di Creta, potrebbero in un certo senso essere considerate come copie delle FAF. Tuttavia, dato che costituiscono un gruppo omogeneo e rispettano fedelmente le caratteristiche fondamentali del tipo canonico, è più giusto ritenerle una varietà regionale di tale tipo. Sempre da Creta però provengono due statuette a braccia incrociate (Renfrew 1969: 22 e pl. 10g-h), datate al Medio Minoico I, che possono essere considerate come vere e proprie copie delle FAF. Entrambe hanno l’avambraccio destro sopra al sinistro, dunque in posizione contraria rispetto al modo canonico, e le gambe separate e scolpite a tuttotondo. Un esemplare analogo, che sembra essere incompiuto, si trova al British Museum di Londra (Renfrew 1969: 23).
Degna di nota è una statuina in avorio da Fournì di Archanes (Creta), in cui il triangolo pubico è reso con piccoli fori (Vassilakis 1999: 96; sch. 105).
Una statuetta a braccia incrociate dell’Ashmolean Museum, con gambe scolpite a tuttotondo presenta una stile piuttosto insolito. Probabilmente va considerata anch’essa una copia delle FAF (Zervos 1957: fig. 51).
Molto interessanti sono alcuni esemplari di imitazione recuperati in Sardegna. Queste statuette sarde cosiddette di “origine cicladica” sono state suddivise da Castaldi (1991) in cinque tipi: A, B, C, D, E. Gli ultimi due si possono confrontare con le FAF.
Il tipo D (modello Turriga-Senorbì; sch. 103) è schematico e viene definito “tipo a placca trapezoidale”: risale certamente alla cultura di Ozieri sulla base delle associazioni.
Anche il tipo E (modello Porto Ferro; sch. 104) è schematico e può definirsi “a placca rettangolare traforata”. Per quanto riguarda la resa del busto confronti si possono avanzare con esemplari della varietà cicladica Dokathismata (sch. 71; Zervos 1957: fig. 165). Questo tipo in Sardegna viene assegnato all’orizzonte culturale Abealzu.
Entrambi i tipi possono voler indicare sia individui a braccia ripiegate e mani ravvicinate, sia individui a braccia conserte: non è possibile stabilirlo data la mancata rappresentazione degli avambracci. Il rendimento delle gambe, in entrambi i tipi è peculiare; infatti nel tipo D si presenta sagomato ad ogiva e nel tipo E a pilastrino rastremato: queste estremità, appiattite sulla fronte, mostrano in genere sul retro una salienza a scarpa che, indubbiamente, intende rappresentare i glutei. Questa semplificazione della parte inferiore del corpo è stata avvicinata ai vari tipi schematici presenti nell’Egeo nell’età del Bronzo (v. fig. 3). Tuttavia il confronto non regge perché il profilo delle statuette sarde non è affatto piatto, bensì rilevato per dare un’impressione prossima all’anatomia. Il volto delle statuine sia del tipo D che del tipo E, si presenta diritto o leggermente reclinato ed è caratterizzato da una evidente sporgenza nasale. Dunque è assai simile a quello delle statuette cicladiche precanoniche e canoniche con le quali si riscontra anche un’analoga impostazione strutturale, nonostante una certa originalità nella resa degli arti inferiori. Dunque un legame sembra del tutto probabile e la cronologia lo consente. Il tipo E (a placca traforata) è attribuito all’orizzonte Abealzu datato tra 2600 e 2500 a.C. ed è quindi contemporaneo alla cultura cicladica di Keros-Syros, epoca alla quale risalgono le FAF. Il tipo D, proprio della cultura di Ozieri (3500-2700 a.C.) è coevo invece all’orizzonte di Grotta-Pelos e quindi al tipo precanonico.
Queste analogie nella piccola statuaria sono testimoni di contatti fra le Cicladi e la Sardegna, che, almeno nel III millennio a.C. sembrano essere stati continuativi (Castaldi 1991).
Sul significato simbolico delle FAF sono state avanzate numerose ipotesi, senza arrivare, per il momento, ad una conclusione definitiva.
L’interpretazione più ricorrente ne fa delle raffigurazioni della Grande Dea Madre, per secoli dominatrice nelle concezioni religiose del Mediterraneo. La statua della divinità era posta nella tomba, accanto al morto, per aiutare quest’ultimo nel suo viaggio verso l’aldilà. A sostegno di questa tesi è il fatto che le FAF sembrano essere derivate, attraverso una lunga evoluzione, dalle figure steatopigiche neolitiche, da alcuni interpretate come rappresentazioni della Dea Madre. Tuttavia tale interpretazione non pare delle più convincenti per due motivi principali: primo, vi sono alcune statuette che rappresentano uomini; secondo, molte tombe anche ricche, sono sprovviste di questo tipo di corredo (Godart 1994: 84).
Un’altra ipotesi, che vede in queste statuette delle compagne simboliche destinate a servire il defunto dopo la morte e a soddisfare i suoi appetiti sessuali, urta con le stesse difficoltà. Una tale spiegazione, nata dal confronto con la pratica egiziana di deporre nelle tombe statuette rappresentanti serve concubine oppure servi concubini, i famosi ushabti, potrebbe giustificare la presenza delle figure femminili e delle figure maschili ma non consente di spiegare la schiacciante preponderanza delle figure femminili (Godart 1994: 84).
Se la stragrande maggioranza delle statuette cicladiche è stata rinvenuta nelle tombe, non dobbiamo però dimenticare che alcune sono state scoperte negli abitati. Ad esempio, vari esemplari provengono da Phylakopi a Melos, da Haghios Kosmas e soprattutto da Haghia Irini nell’isola di Kea. Quindi tutto lascia pensare che le statue, come del resto la maggior parte degli oggetti che componevano il corredo funerario delle tombe egee, appartenessero ai vivi, che potevano seguire, o meno, nella tomba. A sostegno di questa tesi è anche la presenza di esemplari che presentano tracce di riparazioni (Getz-Gentle 2001: pl. 43) o che sono stati rimodellati (sch. 59). Ciò dimostra che venivano utilizzati in vita e che dovevano avere una particolare importanza per chi li possedeva. Inoltre la grande statua di Amorgos conservata nel Museo Archeologico Nazionale di Atene (sch. 68), è stata spezzata per essere inserita all’interno della tomba. Ciò testimonia che la statua era stata concepita per un ambiente diverso da quello in cui è stata rinvenuta (Godart 1994).
È stata avanzata anche l’ipotesi che si tratti di figure di devoti, i quali possono rappresentare se stessi nelle statuette che offrono come ex voto alla divinità: un indizio per questa spiegazione sarebbe offerto dalla grande serie di varianti, anche se contrasta con essa l’assoluta predominanza delle immagini femminili.
Altre interpretazioni sul significato delle statuette cicladiche, prive però di prove convincenti sono le seguenti: figure impiegate come sostituti simbolici di individui scelti come vittime di sacrifici umani, immagini divinizzate degli antenati, e, persino, giocattoli lasciati a disposizione del defunto.
Per il momento dunque non riusciamo a spiegare la finalità delle statuette cicladiche. Il fatto che si ritrovino spesso nelle tombe può essere legato a motivi religiosi e a qualche culto funerario celebrato nelle isole dell’arcipelago. Tuttavia la funzione primaria di queste figurine non era certamente collegata con il culto dei morti: sono oggetti che facevano parte del mondo dei vivi e che quindi erano normalmente collocati nelle abitazioni (Godart 1994: 84).
Tuttavia, a mio parere, la fortuna delle statuette cicladiche potrebbe essere stata causata non tanto, o comunque non solo, dal loro significato simbolico quanto piuttosto dal loro valore artistico e estetico. Si arriva ad una produzione così vasta perché queste figure raggiungono un elegante connubio fra il naturalismo e l’astrazione, due modi di rappresentazione della figura umana che hanno convissuto da sempre nella piccola statuaria preistorica. All’interno di corpi geometrici, i dettagli anatomici sono stati ridotti a indicazioni minime, come incisioni per le mani e i piedi, alcune linee per il triangolo pubico e piccoli coni per i seni. Nonostante ciò queste figurine evocano la vita in modo straordinario. La loro capacità di sintesi può essere paragonata a quella di alcuni artisti moderni come Modigliani, Moore e Brancusi anche se è errato attribuire alle statuette cicladiche gli stessi significati di cui si caricano le analoghe manifestazioni moderne. La fusione di forme astratte e naturalistiche è superbamente compiuta nelle FAF: «sicché esse rappresentano una soluzione e un punto d’arrivo oltre il quale non era possibile andare e che non fu infatti suscettibile di ulteriore sviluppo» (Bianchi Bandinelli 1976: 8-9). Ad esso segue infatti un impoverimento fino alla sostituzione di un nuovo impulso formale, che sarà un rinnovamento del naturalismo che si realizzerà con l’arte minoica.
Al tipo femminile “a braccia incrociate”, si affiancano altri tipi più rari, che per le loro caratteristiche, in particolare l’inclinazione della testa e il modellato del naso, sono sicuramente da attribuire alla stessa fase culturale. Un gruppo di statuette, composto da un certo numero di esemplari, rappresenta figure maschili di musicanti.
Diversi sono suonatori seduti di arpa, di cui solamente uno però proviene da un contesto sicuro: si tratta di un esemplare frammentario rinvenuto ad Aphendika sull’isola di Naxos. Il più interessante è quello conservato al Museo Archeologico di Atene, ritenuto proveniente da Keros (sch. 84). Altri due arpisti seduti, forse da Thera, sono conservati nel Badisches Landesmuseum di Karlsruhe, e sono probabilmente autentici. Alcune incertezze gravano invece sull’esemplare del Metropolitan Museum of Art di New York (Renfrew 1969: 14).
Notevole è il suonatore di doppio flauto, in posizione stante, del Museo Archeologico di Atene, ritenuto proveniente da Keros (sch. 85). È probabile che questo, assieme all’arpista dello stesso museo, sia stato ritrovato nella necropoli di Dhaskalio, che ha restituito una grande varietà di figurine e una base simile a quella dello stesso flautista (Renfrew 1969: 13).
Unica è la figura di bevitore seduto del Museo Goulandris di Atene che alza la coppa verso il cielo, nell’atto, probabilmente, di brindare (sch. 87).
Con queste opere di indubbio livello artistico gli scultori cicladici raggiungono l’apice della loro arte, arrivando a conquistare lo spazio: l’immobilità delle FAF viene qui sostituita da una virtuosa ricerca della terza dimensione e dalla volontà di esprimere movimento. Senza dubbio il salto di qualità, che culmina con la realizzazione dei migliori esemplari delle statuette cicladiche, è dovuto all’esperienza degli scultori. Gli artisti del Cicladico Antico II si iscrivono in una tradizione ormai secolare che ha fatto delle Cicladi il fulcro della produzione delle statue marmoree. Tra l’inizio del Cicladico Antico I ed il Cicladico Antico II, le tecniche si sono perfezionate e gli artisti della fine del III millennio hanno potuto utilizzare nuovi arnesi in bronzo, ignoti, per ovvie ragioni, ai loro predecessori. Gli artisti sono diventati così dei grandi maestri nella realizzazione di opere scultoree (Godart 1994: 80-82).
Dal punto di vista stilistico, il trattamento scultoreo delle varie parti (braccia, gambe, strumenti musicali, sedili) e la plasticità dei volumi rendono queste statuette vicine alla varietà di Kapsala (Doumas 2000: 49).
Sono note anche alcune figurine sedute con le braccia incrociate e quindi non impegnate in alcuna azione. Una maschile da Teke sull’isola di Creta, è l’unica di questo tipo trovata al di fuori delle Cicladi (Vassilakis 1999: 92). Un’altra femminile, assisa su un elaborato sgabello con schienale, proviene dalla necropoli di Aplomata a Naxos (www.fhw.gr).
I prototipi della variante seduta delle FAF si possono individuare nelle due culture neolitiche di Hamangia (Romania) e di Dimini (Tessaglia), dove sono attestate statuette fittili assise su sedili molto simili a quelli cicladici (Renfrew 1969: 31). Inoltre esiste una statuetta in picrolite seduta e con le braccia incrociate, proveniente da Cipro e risalente al Calcolitico, che però, per il momento, non trova confronti (Getz-Gentle 2001: 32; fig. 16b).
Dell’Antico Cicladico II si conoscono anche gruppi di statuette, che per le loro caratteristiche stilistiche si possono ricondurre alla varietà di Spedos (Doumas 2000: 49). Esistono alcuni esemplari frammentari di due statuette affiancate, nell’intento o di abbracciarsi oppure di sorreggerne un’altra, più piccola, con le braccia. Il meglio conservato è quello del Museo Goulandris di Atene (Doumas 2000: fig. 324), un altro proveniente da Amorgos si trova al British Museum, un terzo è stato rinvenuto nella necropoli di Dhaskalio a Keros. Di Teke sull’isola di Creta è una piccola coppia di figurine in steatite leggermente oblique e collocate sulla stessa base (Renfrew 1969: pl. 9b). Vi sono anche figure femminili che hanno sul capo un’altra figurina stante, nello stesso identico atteggiamento di quella inferiore. Secondo alcuni si tratterebbe della rappresentazione della madre con il proprio figlio (Getz-Gentle 2001: 36). Un esemplare ben conservato si trova al Museo Archeologico Nazionale di Atene (sch. 88).